**Diario di un viaggio al mare**
A cinquantanove anni, Marco Valerio Rossi si ritrovò vedovo. Subito dopo il funerale della madre, sua figlia gli propose di trasferirsi da lei.
“Papà, vieni a vivere con noi. Come farai qui da solo? È troppo difficile. Magari solo per un po’, finché non ti riprendi…”
“Grazie, tesoro, ma preferisco restare. Non preoccuparti per me, non sono un vecchio debole, so badare a me stesso. Cosa farei da voi? Meglio che tu rimanga qui più a lungo,” disse Marco Valerio, guardando la figlia con un filo di speranza.
“Papà, Luca e Federico sono soli. Luca sta attraversando l’adolescenza, Federico è sempre al lavoro… Devo tornare,” rispose Giulia, abbracciandolo con un tono colpevole.
“Capisco.” Marco le diede una pacca sulla mano.
“Promettimi che mi chiamerai se avrai bisogno di qualcosa?”
“Di cosa potrei aver bisogno? Cucino, la lavatrice funziona, riesco a pulire. Mentre Rosetta era malata, ho imparato tutto. Lei mi guidava solo. O forse pensi che sia sporco qui?” Nella sua voce c’era una punta di risentimento.
“No, papà, è tutto perfetto. Non arrabbiarti, mi preoccupo solo per te.” Giulia appoggiò la testa sulla sua spalla.
“Non diventerò un ubriacone. Da giovane non toccavo neanche il vino, figuriamoci ora. Non ti agitare, va’ pure.”
Così decisero. Marco riempì una borsa di dolci e cibi per la figlia. Giulia la sollevò, sorpresa dal peso.
“Papà, perché così tanto? Abbiamo già tutto.”
“Provaci a dire di no a tua madre. Prendila, non sarà di troppo. Il treno ti porterà, e Federico ti aspetterà,” borbottò, senza rancore.
Arrivarono alla stazione pochi minuti prima della partenza. La controllora controllò il biglietto e li invitò a salire.
Giulia abbracciò il padre un’ultima volta, baciandolo sulla guancia rasposa. Prese la borsa con fretta, nascondendo le lacrime. Salì sul treno e, mentre la porta si chiudeva, gli sorrise tra i singhiozzi, agitando la mano.
Marco rimase a guardare il treno allontanarsi, finché non scomparve all’orizzonte. Il cuore gli doleva di solitudine e dolore. Era rimasto solo. Con la figlia accanto, aveva fatto il forte, ma ora le lacrime scendevano libere. Intorno a lui la gente rideva, parlava, ma lui camminava verso la fermata dell’autobus come in un deserto, senza vedere nulla.
“Rosetta, come farò senza di te? Forse avrei dovuto andare con Giulia?” Giunto alla fermata, decise di tornare a casa a piedi, rimandando l’incontro con l’appartamento vuoto.
Camminò lentamente per le strade polverose, ricordando il giorno in cui aveva conosciuto Rosetta…
***
Da ragazzo, Marco era innamorato di Tiziana, una ragazza fragile con una cascata di lentiggini dorate e capelli color rame. Le lentiggini non sparivano neanche d’inverno, solo si schiarivano. Lui la chiamava “sole”.
Nell’ultimo anno di liceo, il padre di Tiziana si ammalò di tubercolosi. I medici consigliarono di trasferirsi in un clima più caldo, lontano dall’umidità del nord. I suoi genitori vendettero l’appartamento e partirono per il sud, sulle coste del mar Adriatico.
All’inizio, Marco e Tiziana si scrissero spesso. Ogni volta che la madre entrava nella sua stanza, lo trovava assorto a guardare fuori dalla finestra o a scrivere lettere. In ognuna, prometteva che l’estate seguente sarebbe andato da lei. La madre si arrabbiava: invece di studiare per l’università, perdeva tempo. Ma Marco non la ascoltava, era già lì, con Tiziana.
Dopo il primo anno, Marco lavorò in un cantiere per pagarsi il viaggio, senza chiedere soldi ai genitori. Tornò a metà agosto, magro e abbronzato, e annunciò che partiva per il sud.
“No, da solo no,” oppose la madre. “Scrivi prima, avvertili. Un anno è passato, tutto potrebbe essere cambiato.”
Allora dovette aspettare una risposta, perdendo tempo prezioso. Quando arrivò, era troppo tardi: i treni erano pieni. Quell’estate, non la vide.
Scrisse a Tiziana, promettendo che l’anno dopo sarebbe andato. Lei non rispose mai. Marco soffrì, si chiuse in sé, scrisse altre lettere, invano.
Una mattina piovosa d’autunno, correndo alla fermata, sbatté contro una ragazza. La sua borsa cadde in una pozzanghera. Quel giorno, non andò a lezione.
Lui e Rosetta sedettero in un bar a parlare. Con lei era facile, come se si conoscessero da sempre. Anche lei studiava, infermieristica. I suoi libri asciugavano sul termosifone.
“Ho perso un esame importante per colpa tua,” scherzò Marco.
“Anatomia. Tanto, con quel professore, non l’avrei passato,” rispose lei, sorridendo.
Gli colpirono i suoi occhi neri, profondi come un abisso. All’inizio, pensò ancora a Tiziana, ma Rosetta era lì, vicina, e l’amore nuovo cancellò il vecchio.
Alla madre piacque subito: seria, modesta, con un lavoro dignitoso. Si sposarono, ebbero una figlia, e la vita fu tranquilla.
Qualche volta, Tiziana tornava nei suoi sogni, ma poi c’erano Rosetta e Giulia. E poi, chissà, anche Tiziana avrà avuto una sua famiglia.
***
Tornato a casa, Marco decise di non lasciarsi vincere dalla malinconia. TogDalla finestra vide il sole tramontare sul mare, e per un attimo gli parve di sentire la mano di Rosetta stringere la sua, leggera come un soffio, mentre il cuore finalmente trovava pace.