Vieni quando puoi

**”Vieni quando puoi”**

«Pronto, Luisa?» risuonò una voce familiare. Il cuore le balzò in gola, battendo forte e rapido, tanto che non riuscì a emettere un suono. Se non fosse stato per la televisione accesa, il rumore del suo cuore avrebbe svegliato il marito.

«Mi sei mancata. Non potevo aspettare più a lungo. Penso sempre a te. Vediamoci» continuava la voce profonda, seducente, al telefono.

Luisa uscì dalla stanza e chiuse la porta alle sue spalle. Si appoggiò al muro nell’ingresso. Le gambe le tremavano, molli come la cera.

«Luisa, ci sei?» La voce la chiamava, la tentava, la spaventava con la sua presenza.

Avrebbe fatto meglio a non rispondere, a non guardare lo schermo. Aveva cercato di dimenticarlo, di cancellare quella notte pazza. Si ripeteva che aveva un matrimonio stabile, un marito buono, una vita tranquilla insieme da anni. Non le serviva niente, né nessuno…

Con il suo futuro marito, Luisa aveva frequentato la stessa classe. Enrico era il primo della scuola, vinceva olimpiadi di matematica e fisica. Alle superiori aveva iniziato a portare gli occhiali, e così gli era rimasto il soprannome “il Professore”. Non a caso. Era un uomo quieto, paffutello, con le guance rosee – un vero personaggio tolstoiano.

Luisa, come tutte le ragazze, non lo vedeva come un possibile innamorato. Chiedergli di copiare un compito difficile, farsi aiutare durante un’interrogazione? Ecco, quello sì. A lei piacevano i ragazzi brillanti, belli, sportivi, con quel tocco di sfacciataggine.

Una volta si erano incontrati per caso in strada, avevano parlato, ricordato i compagni di classe. Enrico ora portava le lenti a contatto. «Be’, non è male» aveva pensato Luisa in quel momento.

Lui si era laureato all’Università di Milano, lei ancora studiava medicina. Si erano scambiati i numeri, tanto per. Dopo il liceo erano passati cinque anni, i vecchi compagni avevano organizzato una rimpatriata. Enrico le avrebbe chiamato per dirle quando. Lei aveva dato il suo numero, ma non aveva intenzione di andarci. Lo aveva già dimenticato.

Eppure, pochi giorni dopo, lui la chiamò per invitarla al cinema. Lei aveva avuto qualche flirt, ma niente di serio. Quelli che le piacevano non la notavano, e quelli che le corteggiavano non la interessavano.

«Ma vai, se no poi diventi una zitella!» profetizzava sua madre.

E così Luisa andò al cinema con Enrico. Iniziarono a frequentarsi. Ben presto lui le confessò il suo amore e le fece la proposta. Con lui c’era sicurezza. Lavorava in un’azienda importante, il futuro era roseo.

«E tu ci pensi ancora? Prendilo e plasmalo come vuoi» consigliò la madre, e Luisa accettò.

La loro relazione era tranquilla. Se litigavano, era quasi sempre per colpa sua.

Poi nacque la loro bambina. La suocera non si intrometteva, ma adorava stare con la nipote quando serviva. Anche i suoi genitori non si tiravano indietro.

Un secondo figlio, però, Luisa non lo volle mai. Tra loro non c’era mai stata passione. Neanche a letto Enrico era esuberante. A volte pensava che la loro intimità fosse troppo rara, troppo monotona. Eppure, con lui si sentiva al sicuro. Un uomo così non avrebbe mai tradito. Molte colleghe e pazienti le raccontavano, con le lacrime agli occhi, dei tradimenti dei mariti, dei divorzi, di quanto fosse difficile crescere i figli da sole.

La figlia crebbe, finì il liceo. Non seguì le orme né del padre né della madre: studiò design a Firenze, vivendo una vita piuttosto mondana. Quando Luisa le chiedeva dei soldi, lei rideva: «Le nonne fanno a gara a chi mi vizia di più!»

Sì, le nonne adoravano l’unica nipote. Un tempo la suocera l’aveva supplicata di avere un altro figlio: una bambina per ciascuna. Ma Luisa non se ne pentiva. Si chiedeva solo come avesse fatto a concepire una figlia, visto il poco interesse di Enrico per il sesso.

La loro vita continuava così. Poi, sei mesi prima, Luisa era stata nominata direttrice della clinica, prendendo il posto della precedente, andata in pensione. Il nuovo lavoro richiedeva tempo ed energie: riunioni, conferenze.

Fu a una di queste che conobbe Stefano. Gli uomini erano pochi, rispetto alle donne. Alto, giovane, attraente e curato, aveva attirato subito l’attenzione di tutte. Le più mature lo trattavano con affetto materno, ma pure a loro piaceva chiacchierare con lui. Le più giovani, invece, ci provavano senza vergogna, sedendosi al suo tavolo al ristorante, lanciando sguardi provocanti.

L’ultimo giorno c’era un buffet di chiusura. Luisa voleva tornare a casa. Non le piaceva bere, evitava certi eventi. Ma la collega con cui divideva la camera insistette:

«Le cose più interessanti succedono proprio ai buffet! Non sai mai chi può esserti utile nella vita. Fidati di me.»

E Luisa rimase.

Il rappresentante dell’ente organizzatore fece un brindisi, ringraziò i partecipanti, i relatori… Parlò così a lungo che molti iniziarono a bere senza aspettare la fine del discorso.

Un’ora dopo, i rispettabili medici e direttori erano irriconoscibili. Ubriachi di vino, raccontavano storie divertenti, simili a barzellette. I medici non hanno tabù.

Luisa non bevve, solo un sorso per fare compagnia. Rise alle battute, poi iniziarono i balli. Si spostò in disparte, aspettando il momento giusto per svignarsela, pentita di non essere già a casa.

«Anche lei si annoia?» le si avvicinò Stefano. «Scappiamo?»

Luisa accettò volentieri, felice di lasciare quella sala.

Salirono sull’ascensore, attraversarono i lunghi corridoi con i tappeti verdi. Lui parlava della sua clinica. Dalla sala arrivavano ancora echi di musica.

«Venite da me. Mi hanno regalato un vino francese, ma non ho con chi berlo. Sono solo. E poi non ho finito di raccontarvi le cose più interessanti.»

Luisa accettò. Non sapeva neanche lei perché. Forse perché non voleva stare da sola in camera. O perché quell’uomo le piaceva. E sentiva di piacere a lui. Le donne lo capiscono sempre.

Per un po’ Stefano continuò a parlare, nella stanza identica alla sua. Dal salone arrivava una melodia romantica, ben conosciuta. Lui tacque, ascoltando. Fuori dalla finestra, la città scintillava di luci.

Quando lui la baciò, Luisa non lo respinse. Si ritrovò a letto con lui. Quanto le sembrò noiosa, in confronto, la sua vita precedente! Mai aveva provato niente del genere con Enrico.

Nelle braccia di Stefano dimenticò tutto. Non sapeva che potesse essere così. Volava sulle ali del piacere, per poi precipitare in un abisso vertiginoso, dal quale non voleva uscire.

Ma ogni cosa ha una fine. La musica si era spenta da tempo, il banchetto era finito. Stanchi, sazi l’uno dell’altra, giacevano ancora abbracciati.

Il tempo dello strappo si avvicinava. La conferenza era finita, la camera d’albergo andava liberata entro mezzogiorno. Presto ognuno sarebbe tornato alla sua città, con i biglietti già pronti…

«Resta ancora un giorno. Sistemerò tutto con l’albergo«Resta» sussurrò Stefano, stringendole la mano mentre il treno accelerava, ma Luisa lo guardò negli occhi e capì che, nonostante il cuore in tumulto, la sua scelta era già fatta, e con un ultimo bacio pieno di rimpianto lasciò che il destino portasse via quel sogno per sempre.

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