Vita nuova, famiglia nuova

**Una Vita Nuova, Una Famiglia Nuova**

Beatrice uscì dallo studio del medico con il cuore che batteva forte. Era incinta. Tornò a casa in fretta, ansiosa di fare la sorpresa a suo marito, Matteo, che era rientrato dal turno di notte. Di solito, dopo il lavoro, dormiva fino a metà giornata, ma oggi sapeva che era già sveglio. Si era presa un permesso per andare alla visita, e ora non vedeva l’ora di vederlo.

Ma la sorpresa fu per lei, non per lui. Quando aprì la porta con la chiave, notò una borsetta da donna sul mobiletto dell’ingresso.

“Che cos’è questa?” pensò, con un groppo in gola. “Di chi è?”

Esitò prima di aprire la porta della camera da letto. Aveva paura, ma intuiva già la verità. E quando finalmente entrò, vide ciò che aveva temuto: una donna sconosciuta nel suo letto, accanto a Matteo. Forse per l’espressione sconvolta di Beatrice, o per lo shock, la donna le passò accanto in fretta e fuggì dall’appartamento. Lui, invece, si alzò lentamente e si vestì con calma.

“Prendi la tua valigia, raccogli le tue cose e vai dalla tua amante,” disse Beatrice con voce gelida, uscendo dalla stanza.

Si sentì svuotata, come se qualcosa dentro di lei si fosse spezzato. Poco dopo, arrivò l’ambulanza, e in ospedale il verdetto del medico fu chiaro: “Ha perso il bambino.”

Tornata a casa, trovò solo silenzio e il caos lasciato dalla laccia di prima. Matteo non si fece più vivo, se non per firmare i documenti del divorzio. Lo incontrò in tribunale, con gli occhi pieni di rimorso, ma senza parole.

Passarono mesi, poi oltre un anno. Beatrice aveva ventisette anni, ma il suo cuore era chiuso. Al lavoro, le colleghe la incoraggiavano: “Bea, perché sei così spenta? La vita continua. È successo qualcosa di brutto, ma hai ancora tutto davanti a te.”

“Non lo so,” rispondeva lei. “È come se qualcosa dentro di me si fosse rotto. Non provo più gioia.”

“E Luca?” le suggerivano. “Pensi che ti aspetti fuori dall’ufficio per caso? È un brav’uomo, dai, dacci un’occhiata.”

Beatrice ci pensò, e alla fine accettò di uscire con lui. Dopo qualche mese, Luca le chiese di sposarlo.

“Dai, Bea, sposiamoci. Così non dovrò più accompagnarti a casa, la casa sarà già nostra.”

Le cose andarono bene, almeno all’inizio. Andavano e tornavano dal lavoro insieme, cenavano, passeggiavano, guardavano la televisione. Ma Beatrice desiderava una cosa più di tutto: diventare madre. Eppure, non riusciva a rimanere incinta.

Un giorno, la sua azienda organizzò una visita a un orfanotrofio come parte di un progetto di beneficenza. Lì, incrociò lo sguardo triste di una bambina di quattro anni, Sofia. Da quel momento, non riuscì più a togliersela dalla mente.

“Luca, prendiamo un bambino dall’orfanotrofio. Non riesco a rimanere incinta. Hai visto quei piccoli occhi pieni di speranza?”

“Bea, non puoi salvarli tutti,” rispose lui.

“Ma possiamo dare una famiglia a uno di loro! Solo uno, sarebbe già felicità.”

“Sei sicura?”

“Sì. Mi è piaciuta una bambina, Sofia. È dolce, ma così triste…”

Luca non si aspettava questa richiesta, ma alla fine acconsentì.

Sofia era all’orfanotrofio dalla nascita, abbandonata dalla madre. Quando Beatrice parlò con la direttrice, Isabella, questa la mise in guardia:

“Pensi davvero che adottando dimenticherai il bambino che hai perso? Non funziona così. Una figlia adottiva non è un sostituto. Ci deve essere amore vero.”

Ma Beatrice era decisa. E quando, uscendo, rivide Sofia seduta in cortile con un peluche tra le braccia, capì che era destino.

Con il tempo, Sofia diventò sua figlia. Beatrice era felice, e anche Sofia finalmente aveva una mamma e un papà. O almeno, così credeva. Perché Luca, in realtà, si stava sempre più allontanando. Un giorno, le confessò:

“Bea, credo che abbiamo fatto un errore. Io voglio un figlio mio, non posso accettare Sofia. Per me è una estranea. Se non la riportiamo, scegli: o io, o lei.”

La risposta di Beatrice fu immediata: “Non c’è scelta. Sofia è mia figlia.”

Poco dopo, divorziarono. Lei e Sofia si trasferirono in un appartamento più piccolo. La bambina iniziò la scuola elementare, e la vita sembrava andare avanti.

Un giorno, davanti al portone, incontrò Matteo.

“Bea, Dio mio, ti ho cercata dappertutto. Mi hanno detto che eri di nuovo sposata…”

“Non lo sono più, e allora?” rispose fredda.

“Voglio rimediare. So che perdesti nostro figlio per colpa mia. Perdonami.”

“No, Matteo. Adesso devo andare.”

Ma quella sera, ripensando a un’altra bambina dell’orfanotrofio, Anna, che le ricordava Sofia, decise di fare una chiamata.

“Pronto, Matteo? Dobbiamo parlare.”

Poche ore dopo, lui era nella sua ex cucina.

“Vuoi che ti aiuti ad adottare Anna?” le chiese, fissandola.

“Non importa se non vuoi. Non ti chiedo nulla.”

“Bea, come posso dire di no? Dopo tutto quello che ho fatto? Voglio una famiglia. Voglio che siamo felici.”

E così, quella notte di Capodanno, la loro casa era piena di risate. Sofia e Anna, aiutate da Matteo, avevano decorato l’albero. I regali brillavano sotto le luci, e dalla cucina usciva il profumo dei piatti che Beatrice preparava.

“Mamma, quando mettiamo le stoviglie?” chiesero le bambine impazienti.

“Presto, mie care!” rispose Beatrice, sorridendo.

Matteo li guardava, commosso: che felicità, avere una famiglia.

Quel Capodanno non era solo l’inizio di un nuovo anno. Era l’inizio di una vita nuova, di una felicità ritrovata. E insieme, avrebbero affrontato tutto.

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