Mi chiamo Giovanni e vi racconto della vita di mia cognata Ninetta, una donna che ha sempre vissuto sul filo, camminando a testa bassa su una strada grigia e stanca, come se non avesse nulla da mostrare al mondo. Il suo aspetto era quello di una ragazza comune, né più né meno.
Mio suocero, Federico, diceva sempre che Ninetta era una persona tutta ordinaria. La sua bellezza non era mai stata notata da sua moglie, Caterina, che anni fa laveva persa di vista.
Una volta Ninetta era stata una delle prime bellezze delluniversità di Bologna: snella, graziosa, con ossa delicate ma gambe larghe, ereditate da sua nonna Annalisa, una donna di campagna forte e un po ruvida, che non poteva fare altrimenti per le sue radici contadine.
Il sangue di Ninetta e i suoi antenati erano intellettuali: ingegneri, letterati, laureati. Hanno modellato la ragazza, levigandone i tratti: un naso più fine, spalle non così larghe, gambe adatte alle scarpe cittadine, non a quelle da contadina che si aggiravano nei campi di Napoli.
Così, genitori e nonna le avevano dato una figura carina, molto timida e riservata, il che non era affatto male. Annalisa però non perdeva mai occasione per commentare a gran voce, facendo arricciare le orecchie a chiunque la ascoltasse. Anche Caterina, allinizio, si comportava così, ma poi si è messa a tacere. Vivevano in un appartamento grazioso, con un ficus nellatrio, in un palazzo con vicini accademici; chiunque si mostrasse fuori posto veniva subito allontanato.
Un giorno, Annalisa, con le sue scarpe di cuoio consumate, venne a far visita a Ninetta e, sbuffando, le disse: «Cresci, ragazza, prima o poi!». Poi, rivolgendosi a Caterina, aggiunse: «Sei così debole, la vita è una steppa di grano secco, dove il vento ti spinge dove vuole!».
Federico, intanto, si nascondeva dietro le porte della cucina, profumata di aglio e di Basilicata il nome della sua famiglia di suoceri e si rifugiava nel suo studio, mentre Caterina serviva il tè alla madre e ascoltava le storie del suo passato.
La nonna Annalisa non era una donna frettolosa: iniziava con lunghi racconti sul villaggio, sui vicini, sugli orti, sui raccolti, per poi chiamare a gran voce la nipote nascosta dietro la porta di vetro della cucina. Ninetta usciva timidamente, guardando la madre, che si girava di scatto. Federico non la accoglieva, nonostante i suoi cetrioli sottaceto, e le ordinava di rimanere nella sua stanza. Tuttavia, la madre aveva sempre aiutato Ninetta quando la piccola aveva avuto la polmonite da bambina, e una suocera venuta da Milano la portò a casa in una macchina del presidente, avvolta in una pelliccia.
Federico, dopo lennesima lite, si lamentò di non aver dovuto farla entrare, ma Caterina lo calmò. Fu così che, con una buona alimentazione, Ninetta cominciò a migliorare, si avvicinò alla madre in visita e, con un sospiro, disse: «Mi sono persa». Federico la guardò con un ghigno, quasi a volerla mettere a tacere.
La signora Annalisa possedeva una forza interiore, decisa, che colpiva Ninetta come un faro, facendole vedere ciò che la madre non osava immaginare. Per questo, il genero non la amava più, temendo il suo potere.
«Perché non mi accogli, genero? Ti ho dato un bel regalo di nozze, ma non so parlare bene, è colpa mia!», si lamentò Annalisa, offrendo alla nipote una tavoletta di cioccolato Alemka. Ninetta annuì per ringraziare, ma non ne mangiò, posandola sul tavolo.
«Che cosa? Mangia!», la invitò Annalisa, ma Caterina la fermò: «Federico non permette dolci prima di cena, non è una cosa che si fa qui». Laffermazione di «qui» fece arrossire Annalisa e Caterina, ma, per forza di cose, la vita continuava.
Col tempo, Annalisa non sopportò più di stare nella casa di Federico: dopo qualche litiga, smise di venire. Quando lui non cera, chiamava, ascoltava il silenzio, poi suonava il suo nome con dolcezza: «Come stai, piccolina? Non vieni a trovarci più»
Ninetta rispose, con spalle rilassate: «Tutto bene, nonna. Studio alluniversità, oggi è giorno libero, la mamma è andata dal medico, papà è al lavoro». Per lei, tutto era normale.
Il padre Federico era un uomo colto, mentre la madre Caterina, ancora un po rustica, masticava semi di girasole, spintonando il sacchetto con la mano. Questo irritava Federico, che le chiedeva di civiltà nel mangiare, e la rimandava in balcone: «Stai lì, se non capisci che è disgustoso!». La madre rimaneva sul balcone, in una vestaglia con i ricci, sputacchiando i gusci di nocciola, ringraziando Federico per averla portata fuori dal villaggio, perdonandogli tutto.
Caterina aveva studiato nella scuola di insegnanti, Federico laveva incontrata a un ballo al Parco della Cultura di Bologna, e ne era nato lamore, con Ninetta come frutto. Il matrimonio fu un incontro tra due mondi: quello urbano e colto e quello rurale, che i genitori di Federico considerarono nobile. Caterina si adattò bene alla vita cittadina.
Ninetta, daltronde, seguì le orme della madre, laureandosi e scegliendo la professione di insegnante, ma non trovò ancora lavoro, come la madre. Si sposò con Giovanni, un uomo più semplice ma anchegli di intellettuali, anche se alla fine degli anni 60 i stilisti erano più popolari.
Giovanni era un tradizionalista, leggevo classici, filosofia imponente. Federico lo conosceva per qualche progetto e approvò il matrimonio. Ninetta, pur restando a casa, accettò.
Dopo il matrimonio, Ninetta si trasferì nella casa di Giovanni, un appartamento di tre locali dove viveva con i genitori. La sorella maggiore di Giovanni era partita, forse per la Svizzera. I genitori di Giovanni, ormai anziani, lasciarono la gestione della casa a Ninetta, ma le consigliarono di tornare in campagna con il padre.
«Qui non possiamo più vivere tutti insieme, la cucina non regge due padroni», disse la suocera, e se ne andò. Lappartamento era pieno di mobili scuri, vecchie tovaglie, coperte di seta, set di piatti di cristallo, lampade fioche, finestre sempre chiuse per non far vedere al vicino come vivevano.
Ninetta desiderava cambiare le tende, rinnovare i mobili, ma era troppo costoso. Giovanni non si preoccupava dei dettagli, perché la sua famiglia aveva sempre cucinato la farina per colazione. Ninetta, giovane e desiderosa di compiacere, non si lamentava.
Nel fine settimana Giovanni si alzava presto, preparava le uova in pantaloni di cotone, non spendendo soldi, e Ninetta, spaventata, guardava lorologio, chiedendosi se il marito fosse fuori o a casa. Di solito restavano a casa, non andavano al teatro né al cinema, per risparmiare.
Questa parsimonia, che Giovanni portava allestremo, si manifestò subito. Ninetta credeva che il marito fosse un capofamiglia forte, perché controllava ogni centesimo. In realtà, era abituata a pensare che luomo decidesse tutto e la moglie accettasse. Così la vita proseguiva.
Giovanni, puro intellettuale di classe media, non aveva genitori istruiti, ma lavorava come impiegato, sperando che i figli portassero onore al cognome. Aveva quasi quarantanni, una tesi di dottorato in cantiere, ma non riusciva a scriverla, sognava di ristrutturare la casa di campagna.
«Che ne dici, Ninetta, di andare al RONO?», scherzava Giovanni, «potresti persino fare la bambinaia!». Lui non comprava giacche né cappotti, risparmiava ogni euro.
Un giorno Ninetta cadde in gravidanza. «Non posso, mi sento male», disse, e Giovanni, sorpreso, non sapeva come reagire. «Non è possibile», balbettò, cercando di calcolare tutto. Decise di rimandare la questione, chiedendo a Ninetta di preparare il caffè, «ma solo un po, per far durare un mese». Poi le ordinò di andare al consultorio il giorno dopo.
Ninetta, con gli occhi pieni di olio di acciughe, vomitò sul suo ginocchio. Giovanni la cacciò via, gridò, sbatté la porta, e lappartamento rimase vuoto, tranne il profumo di un vecchio cappotto di pelle.
Il loro matrimonio finì rapidamente e silenziosamente. Ninetta portò via le sue cose; Giovanni, con un sorriso forzato, laiutò a caricarle su un taxi, dicendo ai vicini curiosi che era un periodo di separazione per il bene del bambino.
Dopo la separazione, Giovanni tornò al suo appartamento vuoto, bevve un bicchierino di grappa con acqua, accese la televisione e, come al solito, guardò le previsioni del tempo.
Ninetta diede alla luce Kiril, un bambino magro come un violino. Annalisa, la nonna, si prendeva cura di lui, sistemando piccoli camion giocattolo e soldatini. Caterina, ora più autonoma, cuciva vestiti per il nipote, dimostrando che la sua formazione in scienze domestiche non era stata vana.
Giovanni, ancora con il cappotto di lana, passeggiava con il passeggino, ma Ninetta, ora più forte, lo guardava da lontano, ricordando le parole della madre: «Il calore della famiglia è più importante dei titoli e dei diplomi».
Alla fine, la nonna Annalisa, con gli occhiali sul naso, leggeva il giornale, sorridendo. Ninetta, osservandola dalla porta, sentì una lacrima scorrere. Il piccolo Kiril, tra una risata e un abbraccio, riempì la casa di un calore che nessun denaro poteva comprare.
Così, tra tre generazioni di donne Annalisa, Caterina e Ninetta che desiderano solo il bene per tutti, la vita continua finché cè amore, speranza e un po di cioccolato Alemka.





