La vita sotto il giogo del tiranno
Quando la vita ci spinse alle strette, mio marito ed io fummo costretti a trasferirci da suo padre in un paesino vicino a Palermo. Credevamo fosse una soluzione temporanea, ma dopo pochi mesi capii che non avrei sopportato un anno intero sotto lo stesso tetto con quell’uomo. Mi sentivo come una serva nella casa di un padrone crudele, e ora, anche se dovessimo patire la fame, non tornerò mai più da quel suocero. Il suo modo di trattarmi spazzò via ogni speranza di una convivenza pacifica.
I genitori di mio marito si erano separati da anni. Era stato cresciuto dal padre, Carlo De Luca, mentre la madre, rifatta una vita lontano, quasi non si faceva mai vedere. Forse era per questo che il suocero disprezzava le donne. Il giorno che lo conobbi, mi sembrò solo un vecchio burbero, scontroso, nulla di più. Volendogli bene per aver cresciuto da solo mio marito, provai ad avvicinarmi a lui. Invano.
Non avevamo una casa nostra. Affittavamo una stanza a Palermo, risparmiavamo per un appartamento, ma poi rimasi incinta e ogni progetto svanì. I soldi bastavano a malapena, e il parto era alle porte. A malincuore, chiedemmo ospitalità a Carlo De Luca. Ma dopo due giorni già mi pentii di quella decisione, come se avessi intuito l’inferno che mi aspettava.
Non avevo mai visto così tante faccende domestiche. Pulizie, cucina, stirare—tutto ricadde su di me, come se fossi una serva senz’anima, non una donna incinta. All’ottavo mese, mi muovevo a fatica, la schiena mi doleva, ma riposare era vietato. Continuavo a lavorare per mettere da qualche soldo prima del congedo, e a casa mi aspettavano doveri infiniti.
“Cosa ti sei stesa come una principessa?” ringhiava Carlo De Luca se osavo sedermi sul divano o sdraiarmi quando non ce la facevo più. “La gravidanza non è una malattia! Nessuno correrà con lo straccio al posto tuo!”
E io, stringendo i denti, riprendevo la scopa, spolveravo, lavavo finestre, pulivo angoli che non vedevano un panno da anni. Il suocero non conosceva pietà. Criticava ogni dettaglio, inventando nuovi compiti finché non crollavo dalla stanchezza. E lo faceva solo quando mio marito non c’era. Cercavo di stare fuori più a lungo per evitare la sua rabbia, ma non serviva.
“Torno dal lavoro e tu dove te ne vai in giro?” urlava se la cena non era pronta al suo ritorno. “I pavimenti sono sporchi, si sente scricchiolare, e lei se la spassa!”
Le sue parole mi trafiggevano l’anima. Mi umiliava ogni volta che poteva, e io tacevo, non volendo gravare mio marito. Andrea lavorava già senza sosta per mantenerci. Cercavo di sopportare suo padre, sperando si abituasse a me. Ma le sue pretese crescevano come una palla di neve. La minestra era poco salata, i piatti mal lavati, il letto steso male. A volte le sue lagnanze erano così assurde che trattenevo a stento una risata amara. Dovevo lavare i pavimenti due volte al giorno, stirare non solo i nostri vestiti ma anche le sue camicie, come fossi obbligata a servirlo.
“Perché dovrei io toccare il ferro da stiro se in casa c’è una donna?” sbraitava. “Se mio figlio ha scelto una così incapace, che chieda il divorzio! Sta sdraiata tutto il giorno, pigrona!”
Vivendo con Carlo De Luca, capii perché sua moglie era scappata via appena nato il figlio. Sopportarlo era oltre ogni umana capacità. Iniziai ad ammirare quella donna che lo aveva tollerato per qualche anno. Era un’eroina. Ma un giorno raggiunsi il limite.
Ero in cucina a strofinare una pentola quando entrò e ricominciò a spiegarmi come “facevo tutto male”. La sua voce piena di disprezzo fu l’ultima goccia. Sbattetti la pentola nel lavandino, mi asciugai le mani e, senza una parola, andai a fare le valigie. Meglio vivere di stenti che lasciare quel tiranno distruggermi i nervi e la salute. Pensavo a me, ma anche al bambino che non meritava scandali e umiliazioni.
“Vattene pure dove ti pare!” mi gridò dietro, tempestandomi di insulti.
In quel momento tornò Andrea. Vedendomi in quello stato, trattenne a fatica la rabbia verso suo padre. Lo portai via, e il giorno dopo affittammo una stanzetta minuscola. Da allora, Andrea non parla più con suo padre. Carlo De Luca gli mandò messaggi pieni di veleno, accusandolo di “aver scambiato il sangue per una donna qualunque”. Dopo quello, mio marito tagliò ogni contatto.
Ancora oggi non capisco come un uomo del genere abbia potuto crescere un figlio gentile e premuroso. Forse il suocero s’era inasprito per la solitudine o la gelosia, ma non ho voglia di approfondire. Non ci parliamo più, e spero che resti così per sempre.