“Che stia da sola un po’ — magari capisce chi ha perso. E tu, figlio mio, non preoccuparti, la mamma non ti lascerà mai senza difesa…”
“Allora, Valentina, tuo Sandro ha lasciato la moglie, vero?”
“L’ha lasciata. E allora? Vuoi spargere pettegolezzi per tutto il quartiere?” tagliò corto Valeria, aggiustandosi il foulard sui capelli grigi.
Alessandro e Veronica erano stati insieme poco più di tre anni. Di recente era nata la loro piccola — la nipote che Valentina aveva sognato per anni. Ma il problema era che Sandro, nonostante tutto, rimaneva un mammone. Sempre con la testa tra le nuvole, un po’ infantile, viziato dalle sue attenzioni e dal perdono infinito.
“A che mi serve una moglie?” diceva qualche anno prima. “Solo per farmi venire i nervi. Le donne sono tutte così, ti si attaccano addosso e pretendono che tu le mantenga.”
Valeria allora scuoteva la mano, come a dire “lascia stare, l’importante è che mio figlio sia qui.” Lui non aveva molta voglia di lavorare, ma a lei bastava così — era a casa, sotto il suo controllo. E che importava se ormai aveva quasi trent’anni? Era pur sempre il suo bambino.
Un giorno, però, come se avesse avuto un’illuminazione, annunciò: “Mi sposo.” Portò a casa Veronika — timida, riservata, con occhi pieni più di speranza che di sicurezza. Valeria approvò: non era una stronza, né una che se la spassava, sapeva badare alla casa. Per l’occasione, comprò persino una casetta ai giovani sposi in un paesino lì vicino.
All’inizio sembrava tutto a posto. Ma Alessandro non era pronto per la vita matrimoniale. Lavorava a caso, spesso come guardiano, poi finì a fare il becchino — “almeno lì nessuno mi comanda.”
“Non ce la faccio, mamma, lei mi fa impazzire!” si lamentava con Valentina. “Prima non le piace dove lavoro, poi dice che guadagno poco, poi vuole addirittura una sauna nuova.”
“Oh, Sandrino,” sospirava Valeria. “Che moglie ti è capitata… Non è una donna, è una sanguisuga. Stai un po’ da me, lasciala riflettere su come ci si sente a stare da sola.”
Da quel momento, Sandro cominciò a fare avanti e indietro: oggi da Veronica, domani di nuovo da sua madre. Tornava a casa con lamentele e rimproveri. E Veronica, quella dolce e silenziosa, cominciò a rispondere male, a urlare, a piangere. Finché, durante un litigio, Sandro sbatté la porta e se ne andò “per sempre.”
“Ne ho avuto abbastanza!” dichiarò, sedendosi a tavola da sua madre. “Sai cosa mi ha detto? Che non sono un uomo perché non riesco a mantenerla! Bene, ora si mantenga da sola, e pure la bambina. Io non le devo più niente!”
“Esatto, figliolo, hai ragione. Chi si crede di essere? Mangia un po’ di minestra, l’ho fatta come piace a te.”
Della figlia ormai parlava sempre meno. Diceva che badare a lei era una sciocchezza — darle da mangiare, metterla a letto, portarla a spasso. Che ci voleva? Veronica, intanto, tornò dai suoi genitori. E Valeria non perse tempo a dirle la sua:
“Che ci fai qui? Ti ho dato una casa, un marito, e ancora non ti va bene? Sopporta, come abbiamo fatto noi!”
Le vicine bisbigliavano: il bambino di Sandro stava crescendo, e lui, come se niente fosse, se ne stava a casa a guardare la televisione.
“Valeria, dovresti almeno andare a trovare tua nipote,” le disse una vicina un giorno. “Veronica è da sola con la bambina, i suoi genitori la aiutano, e voi vi comportate come se non foste parenti.”
“Ma che ti ha raccontato!” sbuffò Valentina. “Se non riesce a stare con un uomo, se la sbrighi da sola. E la bambina… me la riprenderò io. È sangue del mio sangue!”
“Ma sei seria? Vuoi togliere una figlia alla madre? Sandro non ha neanche un lavoro, è bravo solo a poltrire!”
“Non dire sciocchezze! Lui sta solo… riposando un po’. Appena si riprende, si rimette in piedi.”
Ma gli anni passavano, e Sandro continuava a poltrire. Niente lavoro, niente progetti. Solo lamentele sulle “donne rompiscatole” e piagnistei su come tutti fossero contro di lui.
“Sandro, almeno vai a trovare Veronica, fai vedere la bambina…” tentò timidamente Valeria un giorno.
“Ma che dici, mamma? E ricominciare con ‘non sei un uomo, non hai soldi’? Basta. Io vivo per me stesso!”
Fu allora che lei capì. Fino in fondo, fino al cuore.
“Basta, figlio mio,” disse una volta. “Mi vergogno già di quello che sei diventato. Se Veronica chiederà gli alimenti, arrangiati. Io non ti coprirò più. Non sei più un ragazzino.”
Era tardi. Troppo tardi. Aveva capito di aver cresciuto non un uomo, ma un bambino arrabbiato con il mondo. Veronica, nel frattempo, si era risposata. Con un uomo tranquillo, equilibrato. Aveva accolto la bambina come sua. E Sandro? Era rimasto con la madre. Senza famiglia, senza obiettivi, senza voglia di cambiare.
L’amore di una madre è infinito. Ma a volte acceca.
E se non ci si toglie la benda dagli occhi al momento giusto, ci si può ritrovare accanto a un estraneo, pigro e apatico, convinto che il mondo gli debba tutto.