Il suono stridente del campanello squarciò il silenzio, annunciando visite indesiderate. Francesca si tolse il grembiule, si asciugò le mani e si avviò verso la porta. Sua figlia era lì, in piedi accanto a un giovane sconosciuto. Con un sospiro, li fece entrare.
«Ciao, mamma», disse la ragazza, posandole un bacio sulla guancia. «Lui è Sandro, abiterà con noi.»
«Buonasera», borbottò il giovane con un cenno del capo.
«E questa è mia mamma, zia Francesca.»
«Francesca Lombardi», corresse lei, asciutta.
«Mamma, cosa cè per cena?»
«Purè di piselli e salsicce.»
«Io non mangio piselli», dichiarò Sandro, togliendosi le scarpe e dirigendosi verso il salotto.
«Ma mamma, Sandro non li vuole!», protestò la figlia con occhi imploranti.
Lui si lasciò cadere sul divano, gettando lo zaino a terra.
«Quello è il mio spazio», osservò Francesca.
«Sandro, vieni, ti faccio vedere la casa!», chiamò Sofia.
«Mi piace qui», bofonchiò lui, alzandosi a fatica.
«Mamma, pensa a cosa preparare per Sandro.»
«Non so, abbiamo solo mezzo pacco di salsicce», rispose Francesca, alzando le spalle.
«Va bene, con senape, ketchup e un po di pane», annunciò lui con entusiasmo.
«Come vuoi», mormorò Francesca, avviandosi verso la cucina. «Prima portava a casa gattini e cagnolini, adesso si presenta con questo e io dovrei pure nutrirlo.»
Si servì una porzione di purè, aggiunse due salsicce, un po dinsalata e iniziò a mangiare con appetito.
«Mamma, perché mangi da sola?», chiese Sofia, entrando in cucina.
«Perché torno dal lavoro e ho fame», rispose Francesca, masticando. «Se volete mangiare, servitevi o cucinate. E dimmi una cosa: perché Sandro deve vivere qui?»
«Come perché? È mio marito.»
«Cosa?! Tuo marito?»
«Esatto. Tua figlia è adulta e decide da sola se sposarsi o no. Ho già diciannove anni, sai.»
«Ma non mi avete neanche invitato al matrimonio.»
«Non cè stato matrimonio, solo un atto in comune. Ora siamo marito e moglie, vivremo insieme», disse Sofia, fissando la madre.
«Ah, complimenti. E perché senza festa?»
«Se hai soldi per un banchetto, possiamo usarli meglio.»
«Capisco», replicò Francesca, continuando a mangiare. «Ma perché proprio qui?»
«Perché nel suo monolocale siamo in quattro.»
«Quindi affittare non era unopzione?»
«Perché dovremmo pagare un affitto se ho già una stanza qui?», rispose Sofia, stupita.
«Capisco.»
«Ci dai da mangiare?»
«Sofia, il purè è sul fuoco, le salsicce in padella. Se non basta, nel frigo cè mezzo pacco. Prendete quello che vi serve.»
«Mamma, non capisci, hai un GENERO adesso!», esclamò Sofia, scandendo lultima parola.
«E allora? Devo ballare la tarantella? Sofia, sono stanca, niente festeggiamenti. Avete mani e piedi, arrangiatevi.»
«Ecco perché sei sola!» Sofia le lanciò unocchiata carica di odio e sbatté la porta della sua stanza. Francesca finì di mangiare, lavò i piatti, pulì il tavolo e si ritirò. Si cambiò, prese la borsa della palestra e uscì. Tre volte a settimana, la sera, si dedicava allallenamento e alla piscina.
Alle dieci rientrò. Sperando in una tazza di tè caldo, trovò invece la cucina in uno stato disastroso: qualcuno aveva tentato di cucinare. Il coperchio della pentola era scomparso, il purè secco e screpolato. La confezione delle salsicce giaceva sul tavolo, accanto a una fetta di pane indurita. La padella era bruciata, qualcuno laveva graffiata con una forchetta. I piatti erano ammucchiati nel lavello e sul pavimento una pozza di qualcosa di dolce. Nellaria, odore di sigarette.
«Ah, questa è nuova. Sofia non ha mai fatto così.»
Aprì la porta della stanza della figlia. I due giovani bevevano vino e fumavano.
«Sofia, pulisci la cucina. E domani compri una padella nuova», disse la madre, andando nella sua camera senza chiudere la porta.
Sofia balzò in piedi e la seguì.
«Perché dovremmo pulire noi? E con cosa compro la padella? Non lavoro, studio. I piatti ti interessano più di me?»
«Sofia, sai le regole: chi sporca, pulisce. Chi rompe, paga. Ognuno si fa i fatti suoi. E sì, la padella mi interessa, costa e ora è rovinata.»
«Non vuoi che stiamo qui», accusò la figlia.
«No», rispose Francesca, calma.
Non aveva voglia di litigare, Sofia non si era mai comportata così.
«Ma qui cè anche la mia parte.»
«No, la casa è mia. Lho comprata lavorando. Tu sei solo residente. Problemi a mie spese? No. Se volete vivere qui, rispettate le regole.»
«Ho vissuto tutta la vita sotto le tue regole. Sono sposata, non mi comandi più», ribatté Sofia. «Inoltre, hai vissuto la tua vita, dovresti lasciarci la casa.»
«Con piacere vi lascio landrone del palazzo e una panchina fuori. Allora, tesoro, sei sposata? Senza chiedere. O dormi qui da sola, o te ne vai con tuo marito. Lui non resta.»
«Tieniti la tua casa. Sandro, andiamo!», gridò Sofia, iniziando a fare le valigie.
Cinque minuti dopo, il genero barcollante entrò nella stanza di Francesca.
«Ehi, mamma, niente panico, tutto si sistema», disse, ubriaco. «Non ce ne andremo a notte fonda. Sii carina e faremo pure piano.»
«Che mamma dovrei essere per te?», sbottò Francesca. «I tuoi genitori sono a casa, torna da loro e porta via tua moglie.»
«Sì, lo farò», alzò il pugno, minaccioso.
«Fallo pure.»
Francesca afferrò il suo polso con forza, le unghie laccate affondando nella sua pelle.
«Ahi, lasciami, pazza!»
«Mamma, che fai?!», urlò Sofia, cercando di separarli.
Francesca la spinse via e colpì Sandro allinguine, poi un gomito alla gola.
«Documenterò le ferite!», strillò lui. «Ti denuncio!»
«Aspetta, chiamo io la polizia, così è più facile», replicò lei.
I due giovani fuggirono dallaccogliente bilocale.
«Non sei più mia madre!», gridò Sofia. «Non vedrai mai i tuoi nipoti!»
«Che perdita», commentò Francesca, sarcastica. «Finalmente posso vivere.»
Guardò le mani: qualche unghia era rotta.
«Siete solo guai», borbottò.
Dopo che se ne furono andati, pulì la cucina, buttò il purè e la sfortunata padella, cambiò le serrature. Tre mesi dopo, incontrò Sofia per caso. La figlia era dimagrita, le guance scavate, lo sguardo spento.
«Mamma, cosa cè per cena?», chiese.
«Non so, non ho ancora deciso. Cosa vorresti?»
«





