Voglio il divorzio, sussurrò lei distogliendo lo sguardo.

“Voglio il divorzio,” sussurrò lei, distogliendo lo sguardo.

Era una serata gelida a Milano quando Giulia pronunciò quelle parole, evitando gli occhi del marito, Marco. Il volto di lui impallidì allistante, un silenzio pesante riempì la stanza.

“Ti lascio con la donna che ami davvero,” disse Giulia, realizzando che la figura più importante nella vita di lui era sempre stata sua madre. “Non voglio più essere la sostituta.”

Sentì un nodo alla gola, le lacrime minacciavano di tradirla. Il dolore e gli anni di delusione le strapparono il fiato, come una morsa al petto.

“Di che stai parlando? Quale altra donna?” chiese Marco, sbalordito, fissandola con incredulità.

“Ne abbiamo parlato tante volte. Da quando ci siamo sposati, tua madre ci prosciuga finanziariamente, emotivamente, ruba il nostro tempo. E tu accetti tutto perché ‘la sua minestra è più saporita e le sue frittelle più soffici’. Non ce la faccio più.”

Le lacrime scendevano senza sosta sul suo viso arrossato. Rimpiangeva i sogni che aveva coltivato con tanta speranza: un fidanzato promettente, una carriera rispettabile, una vita nel cuore di Milano. Ma tutto si era rivelato una battaglia per la propria felicità.

Cinque anni prima, Giulia aveva timidamente varcato la soglia del grande salotto di Marco. I mobili, le stoviglie, le decorazioniper una ragazza cresciuta in un appartamento condiviso e poi in una stanza universitaria, tutto sembrava fragile e costoso.

“Come ho fatto a trovare un uomo con una casa di proprietà?” aveva scherzato, posando le mani sulle spalle di lui. “Aspetta che lascerò calzini ovunque, poi dimmi quanto sei impressionato.”

Si erano trasferiti insieme poco dopo essersi conosciuti. Una storia appassionata che sembrava destinata a durare.

Allora, Giulia studiava giornalismo allUniversità Statale, mentre Marco, più grande di cinque anni, lavorava come direttore commerciale con uno stipendio solido.

Un anno dopo il trasloco, si sposarono.

“Presto potremo trasformare la camera degli ospiti in una cameretta,” aveva detto Giulia abbracciandolo, accennando al desiderio di un figlio.

Ma un mese dopo, arrivò lospite inaspettato: la madre di Marco, la signora Bianchi, si presentò alla porta con due valigie. Il loro rapporto era perfettoalmeno nella sua testa.

Aveva cresciuto suo figlio con un senso di colpa costante, plasmando un uomo che si sentiva debole verso di lei. Era orgogliosa dei suoi successi, convinta che fossero merito solo suo.

A ogni stipendio, Marco ripagava i debiti per la casa, lauto, e persino la sua infanzia. Giulia lo osservava da lontano, evitando di disturbare il loro rapporto, accennando solo qualche timido commento.

“Dove avete investito i soldi della vendita della casa?” chiese Giulia versando il tè, affrontando largomento con cautela. La signora Bianchi veniva da un paesino vicino a Bergamo, dove aveva ereditato una casetta con giardino.

Ogni anno, Marco le offriva aiuto per trovare un appartamento in città, ma lei rifiutava. Poi, improvvisamente, vendette la casa: velocemente, a un prezzo basso.

“In parte per le vacanze, in parte per la mia nuova attività.”

La signora Bianchi era ambiziosa e determinata, ma anche prepotente e invadente. Con persone così, bisognava stare attenti: ti strappavano la mano se gli offrivi un dito.

Di recente, aveva scoperto unazienda di cosmetici online. Per collaborare, doveva acquistare mensilmente grandi quantitativi. Ed era lì che aveva investito i soldi della casa.

“Ho deciso che non sarà un problema se resto qui,” dichiarò, mescolando miele nel tè.

“Certo, siamo felici di averti!” Giulia cercò di chiarire che fosse solo temporaneo. “Spero di trovarti presto una sistemazione migliore. Chiederò a unamica agente immobiliare.”

“Non serve. Due case sono troppe. Meglio risparmiare, non è un problema,” replicò la suocera, facendosi passare per vittima.

Giulia guardò Marco, sperando in un sostegno. Non odiava sua madre, ma dividere lo spazio per sempre era insostenibile. Lui si strinse nelle spalle: “Come vuoi tu.”

Appoggiava ogni idea di sua madre, anche le più assurde, convinto di non aver diritto a obiettare.

E le idee non mancavano: macramè, candele, saponi, album fotografici. La signora Bianchi cercava una gallina dalle uova doroe laveva trovata in Marco, che pagava attrezzature, materiali, e le sue spese.

Da quando lui era diventato dirigente, lei non aveva lavorato un solo giorno.

La convinzione infantile di Marco di doverle gratitudine per la vita lo rendeva schiavo, finanziariamente e moralmente.

Era incredibile come un uomo adulto potesse cedere a quel controllo, cadere in ogni manipolazione.

La camera degli ospiti non divenne mai una cameretta, e in tre anni nulla cambiò. Giulia lavorava ormai in una redazione, scrivendo di relazioni e famiglia. Mentre analizzava storie altrui, nella sua vita non riusciva a trovare chiarezza.

La sua opinione non contava, sullo sfondo di una famiglia dove comandava la signora Bianchi.

Giulia capiva i motivi: un figlio unico di madre single sposa una donna che vuole tempo e soldiun pericolo da contrastare con un controllo totale.

E la suocera ci aggiungeva un senso di superiorità e il credere che Marco le dovesse tutto.

Quel nodo mentale solo lei poteva scioglierlo, ma Marco era cieco.

I prodotti di pulizia in casa erano stati sostituiti da quelli dellazienda di cosmetici. Giulia non li sopportava più. L”attività” della suocera non rendeva, e lei lo vedeva come un futile passatempo.

Ne aveva parlato spesso, ma Marco rispondeva: “Mamma sa cosa fa,” e la suocera: “La pazienza è virtù. Gli alberi non crescono in un giorno.” Ma quellalbero non cresceva da tre anni, mentre le spese aumentavano.

Quando la signora Bianchi suggerì che “anche Giulia dovesse investire nellattività di famiglia,” lei pensò per la prima volta a misure drastiche.

Lultima goccia fu una conversazione che non avrebbe dovuto avvenire.

Alla vigilia del Capodanno 2023, dopo tanto tempo, erano usciti soli. Dopo il pattinaggio, seduti in un caffè, Giulia brillava di felicità.

“Marco, sei felice?”

“Certo,” le prese la mano. “Con te accanto, come potrei non esserlo?”

“Voglio un bambino,” sussurrò avvicinandosi.

“Subito?” sorrise, baciandole la mano.

Quella sera, decisero che era il momento. Ma il giorno dopo, la signora Bianchi irruppe in camera loro.

“Non potete avere un figlio adesso!”

Giulia, scioccata, non reagì subito.

“Marco ha ancora il mutuo, i debiti per lauto”

“Ha solo paura che smetta di darle soldi per i suoi capricci,” ribatté Giulia, trovando il coraggio di affrontarla. Era la prima volta.

“Ho sempre voluto il meglio per mio figlio, anche se ho chiesto un po di aiuto. È lunico su cui contarelho cresciuto, vestito, fatto diventare un uomo.”

“Non gli deve nulla. Smettetela di farglielo credere. Lo ha avuto per scelta, non per lui. Al massimo, può sperare nel suo amore, non nel dovere.”

La su

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