Voglio semplicemente vivere in pace e serenità

— Buongiorno — borbottò Daniela entrando in ufficio e lasciandosi cadere pesantemente sulla sua sedia. Accese il computer, distolse lo sguardo verso la finestra, dove nuvole basse si fondevano con un cielo umido, senza neppure degnare di un’occhiata le colleghe.

— Buongiorno — risposero Valeria e Giulia, scambiandosi un’occhiata e alzando le spalle. Daniela, solitamente solare e loquace, la cui gentilezza era diventata proverbiale nell’ufficio, ora taceva con le labbra serrate. Pareva che, insieme alla pioggia fuori, anche dentro di lei scendesse la stessa grigia malinconia.

Nell’ufficio lavoravano in tre: Daniela, trentenne, madre di un bambino, sposata, tranquilla e metodica; Valeria, la più anziana, trentasei anni, due figli, vivace ed energica; e Giulia, la più giovane, ventisette, convivente col fidanzato, ancora senza matrimonio alle spalle. Valeria, come da ruolo della più esperta, era sempre la prima a rompere il ghiaccio.

— Ragazze, facciamoci un caffè? — cedette alla tensione e si alzò, dirigendosi verso l’angolo con la macchinetta. — Sarà pronto in un attimo.

— Va bene — approvò Giulia. Daniela rimase in silenzio.

Qualche minuto dopo, Valeria tornò con un vassoio su cui tremolavano tre tazzine fumanti. Ne porse una a ciascuna. Daniela annuì muta, senza un gesto o uno sguardo di gratitudine. Giulia cercò di sdrammatizzare:

— Grazie, Valeria! Sei la regina del caffè.

Risero insieme, mentre un lieve sorriso sfiorò le labbra di Daniela. Valeria, incapace di resistere oltre, sospirò:

— Daniela, su, dimmi cosa è successo? Altrimenti comincerò a pensare di averti offesa senza volerlo.

— No, figurati — scosse la testa Daniela. — È solo che a casa è difficile. Anzi, non proprio a casa… con i parenti.

— Di nuovo Marina? — aggrottò la fronte Giulia. — Ascolta, ma quanto puoi sopportare… ignorala, davvero. Tenerti tutto dentro non fa bene.

— E come faccio a ignorarla se viviamo a un passo l’una dall’altra? Due case nello stesso cortile. Michele, mio marito, fa finta di niente, come sempre. Suo fratello Flavio è tranquillo, un brav’uomo. Ma Marina… quella è una calamità. Ieri non ce l’ho più fatta. Le ho detto tutto quello che avevo dentro. E ora non so più come andare avanti così.

Quando Daniela sposò Michele, suo padre fece costruire due case identiche nel cortile di famiglia: una per il figlio maggiore Flavio, l’altra per il minore, Michele. Dopo il matrimonio, Daniela e Michele si trasferirono nella loro nuova casa, e accanto a loro Flavio e sua moglie Marina. Ma appena qualche giorno dopo le nozze, la tragedia: un incidente d’auto si portò via i genitori dei due fratelli. Rimasti soli, con le rispettive famiglie, nello stesso cortile.

All’inizio tutto sembrava andare per il meglio. Quasi in contemporanea, entrambe le donne ebbero un figlio. La vita scorreva parallela, in armonia. Ma con il tempo Daniela iniziò a sentire quanto fossero diverse lei e Marina.

Marina era esplosiva, rumorosa, perennemente insoddisfatta. Daniela, al contrario, amava la quiete, il calore di casa, la solitudine in cucina accompagnata dalla musica e dal profumo del caffè al mattino. Michele, poi, era taciturno e pacato. Sotto questo aspetto, erano fatti l’uno per l’altra.

— Non ho mai amato le compagnie chiassose. La mia famiglia è il mio mondo — confidò Daniela alle colleghe. — Sto bene con mio marito e mio figlio, non ho bisogno di altre persone.

Marina, invece, la pensava diversamente.

— Siamo tutti una sola famiglia, dobbiamo stare insieme. Che razza di chiusura è questa? Dovremmo essere uniti — ripeteva.

Ma se fosse stato solo questione di parole… Marina si comportava da padrona assoluta del cortile. Considerava il suo spazio quasi proprietà comune, si intrometteva negli affari di Daniela e Michele senza chiedere. Spesso irrompeva in casa senza bussare, anche quando Daniela stava allattando o mettendo a dormire il bambino.

— Oh, pensavo fossi già in piedi! Va bene, non ti disturbo! — e sbattendo la porta se ne andava.

Nei weekend, quando Daniela si alzava presto per godersi il caffè in santa pace, Marina appariva alla finestra come un orologio:

— Fai il caffè? Versane un po’ anche per me, arrivo subito! — e un minuto dopo era seduta alla sua tavola.

— A volte vorrei solo stare da sola… — confidò Daniela al marito. — E lei sembra farlo apposta per rompere quella quiete.

Ma parlarle chiaramente? Il rispetto glielo impediva. Anche Flavio, il marito di Marina, più volte le aveva fatto notare:

— Marina, lascia in pace Michele e Daniela. Non sopporteresti se qualcuno si comportasse così con te.

Una sera, dopo una settimana pesante, Daniela ordinò a casa del sushi. Una piccola celebrazione: il figlio aveva finito il trimestre con tutti dieci. Appena uscì per ritirare l’ordine, Marina sbucò dalla porta accanto:

— Sushi?! Avete ordinato sushi e non me lo avete detto?! Perché devi sempre tenere tutto segreto? — e rovesciò su di lei un torrente di rimproveri e insulti.

Daniela rimase senza parole, Michele cercò di calmare le acque, ma Marina montò una scena da far tremare tutto il cortile. Flavio trascinò dentro la moglie, ma le urla continuarono a risuonare dalle pareti. Daniela chiuse la porta e scoppiò in lacrime.

— Perché dovrei chiederle il permesso per ogni cosa? Era la nostra cena, la nostra serata! Non devo rendere conto a nessuno! — sfogò, trattenendo le lacrime. — Lei si intromette sempre, controlla, fa rumore. E noi vogliamo solo un po’ di silenzio.

La mattina dopo arrivò in ufficio distrutta. Raccontò tutto alle colleghe, che scossero la testa incredule.

— Dieci anni così? — esclamò Valeria, aprendo le braccia. — Io al tuo posto l’avrei rimbalzata fuori di casa da un pezzo. Non ce la farei proprio.

— Tu hai la tua famiglia. Tuo marito, tuo figlio. Questo è il tuo spazio. Il resto, anche se fosse “tutta una famiglia”, possono vivere come gli pare — aggiunse Giulia.

— Già… — sospirò Daniela. — Ho sempre taciuto. Sempre ceduto. Ma ora… basta. La prossima volta la metterò al suo posto. Non importa cosa mi hanno insegnato.

Fuori continuava a cadere una pioggerellina sottile. Ma dentro Daniela, per la prima volta da molto, si accese una luce. Perché finalmente aveva capito: aveva diritto alla quiete. Alla pace. Per conto suo. Senza urla altrui oltre le mura.

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