Volevo solo essere felice

Volevo solo essere felice

Carlotta gettò via la coperta, girò il cuscino umido e si coricò di nuovo. Era un po’ più fresca, ma dormire era impossibile. Il fruscio delle gomme delle rare macchine fuori dalla finestra la disturbava. E i pensieri, soprattutto quelli. «Dove va di fretta quell’automobilista in ritardo? A casa? O forse scappa da qualcuno, nella notte? Chi aspetta il viaggiatore frettoloso?… Che caldo maledetto…»

Carlotta sospirò e si alzò. Conosceva l’appartamento come le sue tasche, quindi non accese la luce. In cucina, si avvicinò alla finestra. Nella casa di fronte, due finestre erano illuminate. «Qualcuno aspetta il suo vagabondo o piange la sua partenza?»

Le giovani foglie sugli alberi impedivano di vedere se qualcuno si affacciava alle finestre. Carlotta accese la lucina notturna e si versò un bicchiere d’acqua dalla brocca. Spense la luce e guardò di nuovo la casa di fronte. Una finestra si era spenta. Bevve a piccoli sorsi, sentendo il suo corpo raffreddarsi insieme all’acqua. Il linoleum sotto i suoi piedi nudi era piacevolmente fresco.

Mise il bicchiere vuoto sul davanzale e tornò in camera. Ma non si gettò sul letto disfatto e umido. Andò nell’altra stanza e si sdraiò sul divano stretto e duro, appoggiando la testa su un cuscino minuscolo, imbottito chissà con cosa.

E all’improvviso, cadde nel sonno…

***

“Bacio! Bacio!” gridavano gli ospiti, alzando i bicchieri di spumante.

Giorgio si alzò e prese Carlotta per mano. Con i tacchi alti delle scarpe da sposa, era quasi della sua stessa altezza, poteva guardarlo negli occhi senza alzare lo sguardo come al solito. Giorgio la osservava con ammirazione, amore e desiderio palese. E Carlotta si inclinò in avanti, abbassando appena la testa perché il velo nascondesse il suo profilo agli ospiti.

“Uno, due, tre…” contavano in coro gli ospiti brilli.

La mamma le aveva insegnato che in una famiglia, tutto dipendeva dalla donna, che doveva badare alla casa e sostenere il marito. E Carlotta si mise eroicamente a costruire la sua felicità familiare.

All’inizio facevano tutto insieme con Giorgio: andavano al supermercato, persino cucinavano la cena ridendo e baciandosi. Fino al giorno in cui, tra un bacio e l’altro, dimenticarono le patate in padella, che quasi bruciarono. Si amavano. Sembrava che sarebbe stato così per sempre, giovani e felici tutta la vita.

Due anni dopo, Carlotta diede alla luce la piccola Beatrice. All’inizio, la mamma la aiutava.

“Sono stanca…” si lamentava Carlotta con Giorgio, perché non la aiutava mai.

“Il marito lavora, è stanco. È il destino della donna badare alla casa e crescere i figli,” diceva la mamma. “Puoi dormire di giorno con Beatrice. Se lui non riposa, come farà a lavorare?”

Carlotta si abituò a dormire a intervalli, persino a schiacciare un pisolino sulla panchina durante le passeggiate col passeggino. Quando Beatrice compì due anni, Carlotta la iscrisse all’asilo e tornò a lavorare.

“Tra cinque anni andrò in pensione, io e tuo padre porteremo Beatrice da noi, e voi potrete avere un altro figlio,” sognava la mamma.

Ma tornata al lavoro, Carlotta non voleva nemmeno pensare a un secondo figlio. Nemmeno Giorgio insisteva. E così non ne ebbero altri.

“Perché gli uomini tradiscono? Perché l’amante è sempre curata e vestita bene, mentre la moglie si permette di andare in giro per casa sciatta e col vestito da casa consumato,” insegnava la mamma.

E Carlotta si sforzava di essere sempre elegante e truccata quando il marito la vedeva. Si alzava prima la mattina per mettersi in ordine prima che lui si svegliasse.

Ma questo non salvò il loro matrimonio. La figlia crebbe, lasciò il nido, e Carlotta notò con sorpresa che il marito preferiva jeans e felpe invece del completo come un tempo. Aveva iniziato a correre la mattina, anche se già era in forma.

“È di moda,” diceva. “Bisogna stare al passo coi tempi.”

Quando notò il rossetto sulla sua camicia, gli chiese direttamente dell’amante. Colto alla sprovvista, il marito balbettò qualcosa di incomprensibile, poi confessò e le chiese di lasciarlo andare.

“Ti trattengo forse? Vai. Ma sappi che non ti riprenderei.”

Gli preparò lei stessa le valigie, senza versare una lacrima. Giorgio si vestì lentamente nell’ingresso, fingendo di controllare di non aver dimenticato nulla, ma in realtà le lanciava occhiate laterali, sperando che lo afferrasse, lo supplicasse di restare.

Carlotta rimase sulla porta, le braccia incrociate sul petto. “Non ci contare,” diceva tutto il suo atteggiamento.

Il marito se ne andò, e lei tornò in camera, si sdraiò sul divano, affondò il viso in quel cuscino duro e urlò come una lupa ferita. La vita aveva perso senso per lei. Pianse tutta la notte. La mattina dopo, decise di prendere una manciata di pillole. Tirò fuori anche il flacone. Ma prima di farlo, volle salutare l’amica e la chiamò.

L’amica capì che qualcosa non andava e corse da lei.

“Non pensare nemmeno di farti del male. Immagina che vantaggio ne trarrebbe lui se tu morissi per lui. Tutti penserebbero che vale la pena far perdere la testa alle donne. Non fargli questo favore.”

E Carlotta non prese le pillole. Lentamente, iniziò a riprendersi, a imparare a vivere da sola. Scoprì inaspettatamente i vantaggi della solitudine. Poteva dormire a lungo, girare per casa come mamma l’aveva fatta, non truccarsi nei weekend, non cucinare pasti elaborati. Mangiava meno, dimagrì, ringiovanì. Con i soldi risparmiati, si comprò vestiti nuovi. Lo shopping, si sa, è la miglior medicina per una donna.

Poi la figlia le diede un nipote, donandole un nuovo senso alla vita. Le piaceva molto il ruolo di nonna. Cantava ninne nanne al nipotino, gli leggeva libri, faceva castelli di sabbia con lui.

Carlotta voleva che Giorgio la vedesse per caso, che capisse cosa si era perso. Cercava di immaginarlo con la nuova moglie. Gli preparava la colazione o solo panini? Forse era lui a portarle il caffè a letto? E la fantasia le mostrava immagini del marito in un grembiule a fiori ai fornelli, a fare la spesa dopo il lavoro…

Le faceva male. Sembrava che anche lui fosse felice nella sua nuova vita, senza di lei.

Un giorno, mentre era al parco col nipotino, un uomo della sua età si sedette accanto a lei.

“Che bel tempo, eh? Sembra già estate, eppure è solo aprile. Come giocano bene i bambini nella sabbiera. È tuo nipote? Ti somiglia. Quella ragazzina là è mia nipote, Caterina. Una bellezza, vero?”

Non aspettava risposte o approvazione. Era felice solo di essere ascoltato.

“Sai, quando io e mia moglie abbiamo avuto figli, lei non mi lasciava avvicinare a loro, aveva paura che facessi qualcosa di sbagliato. E io ero contento così. Non crederai, non mi accorgevo nemmeno di come crescevano, non sapevo quando hanno iniziato aE mentre il vento accarezzava i suoi capelli, Carlotta sorrise, sapendo che la felicità non era solo un ricordo, ma qualcosa che poteva ancora costruire, un giorno alla volta.

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