Volevo solo essere felice

Volevo solo essere felice.

Lucia scostò la coperta, girò il cuscino umido e si sdraiò di nuovo. Era un po’ più fresco, ma comunque non riusciva a dormire. Le davano fastidio il fruscio delle auto rare fuori dalla finestra e i suoi pensieri. Soprattutto i pensieri. «Dove corre quell’automobilista in ritardo? A casa? O sta fuggendo da qualcuno, nella notte? Chi aspetta quel viaggiatore frettoloso?… Che caldo maledetto…»

Lucia sospirò e si alzò. Conosceva il suo appartamento come le sue tasche, quindi non accese la luce. In cucina, si avvicinò alla finestra. Nella casa di fronte, due finestre erano illuminate. «Chi aspetta il proprio viaggiatore, o piange la sua partenza?»

Le foglie giovani sugli alberi le impedivano di vedere se qualcuno si affacciava alle finestre di fronte. Accese la lucina notturna e si versò un bicchiere d’acqua dalla brocca. Spense la luce e guardò di nuovo la casa. Una finestra si era spenta. Bevve a piccoli sorsi, sentendo il suo corpo raffreddarsi insieme all’acqua. Il linoleum sotto i piedi nudi era fresco e piacevole.

Posò il bicchiere vuoto sul davanzale e tornò in camera. Ma non si sdraiò sul letto disfatto e umido. Andò nell’altra stanza e si distese sul divano stretto e duro, con un cuscino piccolo e rigido sotto la testa, imbottito chissà con cosa.

E all’improvviso, cominciò a sprofondare nel sonno…

***

«Bacio! Bacio!» gridavano gli ospiti, alzando i bicchieri di spumante.

Matteo si alzò e prese Lucia per mano. Con i tacchi alti delle scarpe da sposa, era quasi della sua stessa altezza e poteva guardarlo negli occhi, anziché dal basso come al solito. Lui la fissava con ammirazione, amore e desiderio non celato. E Lucia si piegò in avanti, inclinando la testa in modo che il velo nascondesse il suo profilo agli ospiti.

«Uno, due, tre…» contavano all’unisono gli invitati.

La mamma le aveva insegnato che in una famiglia tutto dipendeva dalla donna, che doveva tenere la casa e sostenere il marito. E Lucia si era messa a costruire la sua felicità con coraggio.

All’inizio, facevano tutto insieme con Matteo: andavano al supermercato, cucinavano la cena ridendo e baciandosi. Finché una volta, presi dai baci, dimenticarono le patate in padella, che rischiarono di bruciare. Si amavano. Sembrava che sarebbe stato così per sempre, giovani e felici.

Dopo due anni, Lucia diede alla luce la figlia Chiara. All’inizio, la mamma la aiutava.

«Sono stanca…» si lamentava Lucia con Matteo, perché non la aiutava mai.

«Il marito lavora, è stanco. È destino della donna tenere la casa e crescere i figli» diceva la mamma. «Puoi riposare di giorno con Chiara. Se lui non dorme, come farà a lavorare?»

Lucia si abituò a dormire a pezzi, persino ad addormentarsi per qualche minuto sulla panchina durante le passeggiate con il passeggino. Quando Chiara compì due anni, la mise all’asilo e riprese a lavorare.

«Tra cinque anni andrò in pensione, prenderemo Chiara con noi e tu potrai avere un altro figlio» sognava la mamma.

Ma tornando al lavoro, Lucia non voleva nemmeno pensare a un altro bambino. Nemmeno Matteo insisteva. E così non ne ebbero altri.

«Perché gli uomini tradiscono? Perché l’amante è sempre curata e truccata, mentre la moglie si lascia andare in casa con la vestaglia consunta» insegnava la mamma.

E così Lucia si sforzava di essere sempre elegante e truccata davanti al marito. Si alzava presto per sistemarsi prima che lui si svegliasse.

Ma non bastò a salvare il loro matrimonio. La figlia crebbe, volò via dal nido, e Lucia notò con sorpresa che Matteo preferiva jeans e felpe ai soliti abiti eleganti. Aveva iniziato a correre la mattina, anche se era già in forma.

«È di moda» diceva. «Bisogna stare al passo coi tempi.»

Quando notò il rossetto sulla sua camicia, gli chiese direttamente dell’amante. Colto alla sprovvista, balbettò qualcosa di incoerente, poi confessò e le chiese di lasciarlo andare.

«Ti sto trattenendo? Vai. Ma non tornare, lo sai.»

Gli preparò lei stessa le valigie, senza una lacrima. Matteo si vestì lentamente in ingresso, fingendo di controllare di non aver dimenticato nulla, mentre la guardava di sottecchi, aspettando che lo afferrasse, lo supplicasse di restare.

Lucia era sulla soglia, le braccia incrociate. «Non ci sperare» diceva il suo sguardo.

Il marito se ne andò, e lei tornò in camera, si sdraiò sul divano, affondò il viso in quel cuscino duro e si mise a piangere come una lupa ferita. La vita aveva perso senso. Pianse tutta la notte. Al mattino, decise di prendere una manciata di pillole. Tirò fuori il flacone, ma all’ultimo momento chiamò un’amica per salutarla.

Lei capì che qualcosa non andava e arrivò di corsa.

«Non fare sciocchezze. Pensa a che regalo gli faresti, morendo per lui. Tutti direbbero che vale la pena farsi del male per un uomo così. Non rendergli questo favore.»

Lucia non prese le pillole. Piano piano, riprese a vivere, imparando la solitudine. Scoprì i vantaggi dello stare da sola: dormire a lungo, girare per casa in pigiama, non truccarsi il weekend, non cucinare pasti abbondanti. Mangiava poco, dimagrì, ringiovanì. Con i soldi risparmiati, si comprò vestiti nuovi. Lo shopping, si sa, è la miglior medicina per una donna.

Poi la figlia le diede un nipotino, e Lucia trovò un nuovo significato nella vita. Le piaceva moltissimo fare la nonna. Gli cantava ninne nanne, gli leggeva storie, faceva castelli di sabbia con lui.

Le sarebbe piaciuto che Matteo la vedesse per caso, capisse cosa si era perso. Cercava di immaginarlo con la nuova moglie. Gli preparava la colazione, o solo panini? Forse era lui a portarle il caffè a letto? E la fantasia le mostrava immagini di lui con un grembiule a fiori ai fornelli, o a fare la spesa.

Le faceva un male terribile. Sembrava che anche lui fosse felice senza di lei.

Un giorno, mentre giocava con il nipotino in cortile, un uomo della sua età si sedette accanto a lei.

«Che tempo, eh? Sembra già estate, eppure è solo aprile. Come si divertono i bambini nella sabbiera. È suo il nipotino? Gli somiglia. La bambina accanto a lui è la mia nipotina Sofia. È bella, vero?»

Non aspettava risposte o approvazioni. Gli bastava essere ascoltato.

«Sa, quando nacquero i miei figli, mia moglie non mi lasciava avvicinarmi, temeva che sbagliassi. E io ero contento. Non mi accorsi di come crescevano, non so quando iniziarono a camminare, quale parola dissero per prima. Non ricordo nulla. La loro vita mi è passata accanto.»

Ma quando il figlio gli regalò una nipotina, capì cosa si era perso. Niente era più bello che vederla crescere. Ne sapeva più dei suoi genitori. Sospirò.

«Se potE in quel momento, mentre guardava il piccolo Daniele ridere sotto il sole, Lucia capì che la felicità non era solo un ricordo, ma qualcosa che poteva ancora costruire, giorno dopo giorno, con le proprie forze e il proprio cuore.

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