**Diario di Anna**
Ho solo voluto essere felice.
Anna scostò la coperta, girò il cuscino bagnato dall’altra parte e si coricò di nuovo. Faceva un po’ più fresco, ma dormire era impossibile. Il rumore delle gomme delle rare macchine fuori dalla finestra la disturbava. E i pensieri. Soprattutto quelli. «Dove va di fretta quell’automobilista in ritardo? A casa? Oppure scappa da qualcuno, nella notte? Chi aspetta quel viaggiatore frettoloso?… Maledetto caldo…»
Anna sospirò e si alzò. Conosceva l’appartamento come le sue tasche, quindi non accese la luce. In cucina, si avvicinò alla finestra. Nella casa di fronte, due finestre erano illuminate. «Qualcuno aspetta il suo viaggiatore o piange la sua partenza?»
Le giovani foglie sugli alberi impedivano di vedere se qualcuno si affacciava alle finestre. Anna accese la lucina notturna e riempì un bicchiere con l’acqua dalla brocca. Spense e guardò di nuovo la casa di fronte. Una finestra si era spenta. Bevve a piccoli sorsi, sentendo il suo corpo raffreddarsi insieme all’acqua. Il linoleum sotto i piedi nudi era piacevolmente fresco.
Posò il bicchiere vuoto sul davanzale e tornò in camera. Ma non si sdraiò sul letto umido e disfatto. Andò nell’altra stanza e si stese sul divano stretto e rigido, appoggiando la testa su un cuscino duro, imbottito chissà con cosa.
E all’improvviso iniziò a scivolare nel sonno…
***
«Bacio! Bacio!» gridavano gli ospiti, tenendo in mano i bicchieri di spumante.
Matteo si alzò e prese Anna per mano. Con i tacchi alti delle scarpe da sposa, era quasi della sua altezza, poteva guardarlo negli occhi invece che dal basso, come al solito. Matteo la fissava con ammirazione, amore e desiderio chiaro. E Anna si avvicinò, inclinando leggermente la testa così che il velo nascondesse il suo profilo agli ospiti.
«Uno, due, tre…» contavano insieme gli invitati ubriachi.
La mamma le aveva insegnato che nella famiglia tutto dipendeva dalla donna, che doveva occuparsi della casa e sostenere il marito. E Anna si era lanciata con coraggio nella costruzione della sua felicità familiare.
All’inizio facevano tutto insieme: andavano al mercato, preparavano la cena ridendo e baciandosi. Finché una volta non si dimenticarono delle patate nella padella, troppo presi dai baci, e rischiarono di bruciarle. Si amavano. Sembrava sarebbe stato così per sempre, giovani e felici tutta la vita.
Dopo due anni, Anna diede alla luce la piccola Sofia. All’inizio la aiutò la mamma.
«Sono stanca…» si lamentava Anna con Matteo, che non la aiutava mai.
«Il marito lavora, è stanco. È destino della donna occuparsi della casa e dei figli» diceva la mamma. «Puoi dormire di giorno con Sofia. Se lui non riposa, come farà a lavorare?»
Anna si abituò a dormire a pezzi, persino a crollare per qualche minuto sulla panchina mentre spingeva il passeggino. Quando Sofia compì due anni, Anna la iscrisse all’asilo e tornò a lavorare.
«Tra cinque anni andrò in pensione, prenderemo Sofia con noi, e voi potrete avere un altro bambino» sognava la mamma.
Ma tornando al lavoro, Anna non voleva nemmeno pensarci. Nemmeno Matteo insisteva. E così non ebbero altri figli.
«Perché gli uomini tradiscono? Perché la amante è sempre curata e perfetta, mentre la moglie si permette di girare sciatta in vestaglia» insegnava la mamma.
E Anna si sforzava di essere sempre elegante e truccata. Si alzava prima per sistemarsi prima che Matteo si svegliasse.
Ma non bastò a salvare il loro matrimonio. La figlia crebbe, lasciò il nido, e Anna notò con sorpresa che Matteo preferiva jeans e felpe invece dei soliti completi. Cominciò a correre la mattina, anche se era già in forma.
«È di moda» diceva. «Bisogna stare al passo.»
Quando trovò tracce di rossetto sulla sua camicia, gli chiese direttamente dell’amante. Colto alla sprovvista, balbettò qualcosa di incomprensibile, poi confessò e le chiese di lasciarlo.
«Ti trattengo forse? Vai. Ma non ti riprenderò, sai.»
Gli preparò lei stessa le valigie, senza una lacrima. Matteo si vestì lentamente nell’ingresso, fingendo di controllare di non aver dimenticato nulla, ma in realtà la guardava di sottecchi, aspettando che si aggrappasse a lui, lo supplicasse di restare.
Anna rimase sulla soglia, le braccia incrociate. «Non ci contare» diceva il suo sguardo.
Se n’è andato, e lei tornò in camera, si sdraiò sul divano, affondò la faccia in quel cuscino duro e urlò come una lupa ferita. La vita aveva perso senso. Pianse tutta la notte. Al mattino decise di prendere una manciata di pillole. Tirò fuori anche la confezione. Ma prima volle salutare un’amica e le telefonò.
Lei capì che qualcosa non andava e arrivò.
«Non pensare neanche di farti del male. Immagina che soddisfazione per lui, se morissi per colpa sua. Tutti penserebbero che vale la pena far perdere la testa alle donne. No, non gli fare questo favore.»
E Anna non prese le pillole. Lentamente iniziò a riprendersi, imparando a vivere da sola. Scoprì inaspettati piaceri della solitudine: dormire a lungo, girare per casa come mamma l’aveva fatta, non truccarsi nei weekend, non cucinare troppo. Iniziò a mangiare poco, dimagrì, ringiovanì. Con i soldi risparmiati, si comprò vestiti nuovi. Lo shopping, si sa, è la miglior medicina per una donna.
Poi Sofia le diede un nipote, e Anna trovò un nuovo senso alla vita. Le piaceva moltissimo fare la nonna. Gli cantava ninne nanne, leggeva fiabe, faceva castelli di sabbia con lui.
Le sarebbe piaciuto che Matteo la vedesse per caso, capisse cosa si era perso. Cercava di immaginarlo con la nuova moglie. Gli preparava la colazione o solo panini? Forse le portava il caffè a letto? E la fantasia le mostrava immagini di lui in grembiule fiorito che cucinava o faceva la spesa.
Le faceva male. Anche lui era felice, senza di lei.
Un giorno, mentre giocava con il nipote nel cortile, un uomo della sua età si sedette accanto a lei.
«Che bel tempo, eh? Sembra già estate, e siamo solo ad aprile. Come si divertono i bambini nella sabbiera. È tuo nipote? Ti somiglia. Quella bambina lì è la mia nipotina, Giulia. Una bellezza, vero?»
Non aspettava risposte, era felice che qualcuno lo ascoltasse.
«Sai, quando nacquero i miei figli, mia moglie non mi faceva avvicinare. Aveva paura che sbagliassi. E io ero contento. Non me ne sono accorto, sono cresciuti senza di me. Non so quando hanno camminato, quale fu la prima parola. Non ricordo niente. La loro vita è passata senza di me.»
Ma quando suo figlio gli diede una nipotina, capì cosa si era perso. «Non c’è niente di più bello che vederla crescere. So di lei più dei suoi genitori.» Sospirò. «Se potessi tornare indietro… Miai moglie faceva tuttoSorrise tra sé, stringendo la mano di suo nipote, e capì che la felicità non era mai stata una cosa da cercare lontano, ma da costruire ogni giorno, proprio come i castelli di sabbia che facevano insieme.