Natascia dall’oncologia viene accolta dalla cugina di successo artista.

Martina fu prelevata dall’oncologia da sua cugina Francesca. Francesca era un’artista di successo. Con il suo carattere aperto, gentile e allegro, non nascondeva mai nulla e non tergiversava. Quindi, mentre teneva Martina per il braccio accompagnandola alla macchina, le raccontò subito le cose come stavano:

– Marti, senti… insomma, il tuo Marco vive con una tizia, ma non preoccuparti. Hai un posto dove stare. Non ti lascio sola, ti aiuterò come posso.

Martina, dopo l’operazione e poi diversi cicli di chemio, calva, magra e pallida, camminava pensando: forse, per prassi, in questo momento dovrei svenire, piangere, strapparmi i capelli, ma già non ne avevo.

Avrei potuto fingere uno svenimento e cadere in una pozzanghera, ma mi sarebbe dispiaciuto per il cappotto bianco di Francy che lei mi aveva dato perché ormai era autunno e faceva freddo.

In macchina c’era un bel calduccio, ma Francesca avvolse sua cugina in un plaid di pelliccia, la assicurò con la cintura di sicurezza e la portò verso una nuova vita. Mentre guidava, Francesca spiegava a Martina:

– Ho comprato la casa due anni fa per me. Pensavo di passarci l’estate a dipingere, ma ci ho vissuto un po’ e ho capito che non fa per me. Sono abituata alle comodità, ai grandi magazzini, alla folla.

Non sopporto il silenzio. Ieri ero a casa, il riscaldamento funziona, c’è l’acqua corrente, il resto fai tu. C’è un negozietto di alimentari lì vicino, ma ti ho portato tutto io. Verrò a trovarti.

Nel cortile c’era un grande cane rosso. Agitando furiosamente la coda, corse verso Martina e le mise il muso sulle ginocchia. Martina accarezzò la testa pelosa e guardò Francesca con curiosità.

– Marti, l’ho preso dal canile ieri. Hai bisogno di un amico. Come farai qui da sola? Non ti preoccupare, ho comprato il cibo per lui, basterà per un mese. In due si sta meglio. Lui si chiama Gianni.

Nel piccolo casale a due piani c’era caldo. Nel mezzo della sala da pranzo c’erano scatole con conserve, cereali, pasta, farina e biscotti.

– Fai da sola, così ti orienterai su dove sta tutto. Il frigorifero è pieno. Nell’armadio trovi vestiti per tutte le stagioni, abbiamo la stessa taglia. Dai, Marti, prepariamoci un tè e poi riparto.

Indossato il cappotto, Francesca si avvicinò a Martina, cercando di guardarla negli occhi. Ma Martina girava lo sguardo altrove.

– Marti, questo cane è stato tre anni in gabbia. Nessuno lo voleva, è grande e già anziano. Capisco che è difficile, ma hai me. E lui avrà te. Bisogna aggrapparsi a qualcosa per tornare a vivere. Dimentica Marco.

Andrà tutto bene. E inoltre, questa è casa tua, tutto è intestato a te, il terreno e la casa. I documenti sono in camera da letto, ci sono anche i soldi. Dai Marti, viviamo! Tornerò fra una settimana, chiamami se serve.

Francesca baciò Martina e partì…

Era già buio e Martina sedeva ancora sulla sedia, le gambe raccolte con la faccia sulle ginocchia. Prima pianse, poi raccontò a se stessa quanto fosse infelice, poi biasimò Francesca per averle lasciato quel cane. Mi sdraierò e morirò, non ho le forze per vivere. E il cane? Peccato. Devo almeno dargli da mangiare.

Martina indossò la giacca, guardò allo specchio la sua testa calva e, dicendo: «Non spaventiamo il cane, non è colpa sua», mise un cappello. Trovò il cibo, lo versò nella ciotola e uscì.

Gianni, mangiato il cibo, leccò la ciotola e poi il viso di Martina dalle lacrime salate, si sdraiò vicino al gradino del portico e appoggiò la testa sulle sue ginocchia.

Nel cielo nero della notte, attorno alla luminosa luna rotonda, comparivano sempre più stelle. Martina trovò l’Orsa Maggiore, le sorrise e le mandò un bacio. Poi abbracciò il cane e disse:

– Va bene, Gianni, domani ti preparerò un risotto come si deve. Con la carne.

Per tutta la settimana, Martina, guardandosi allo specchio al mattino, sobbalzava e diceva:
– Margherita…

E non di rado pensava: forse è meglio lasciare questa vita. Ma a chi interesserebbe? Poi il suo sguardo incontrava Gianni, comodo sulla sua cuccia vicino al camino, e Martina decideva: va bene, vivrò ancora un po’.

Il punto di svolta in questo dilemma per Martina lo mise una settimana dopo Francesca, tornata come promesso. Entrò con una scatola in mano, la posò sul divano e disse:

– Beh, Marti, e adesso cosa ne facciamo? Una gatta randagia, immagina, ha partorito nell’androne del palazzo, e con questo freddo! Ho portato anche il cibo…

Nella scatola c’era una magra gatta rossa che abbracciava due piccoli gattini. Alla sera Francesca ripartì. Rimase sulla soglia, in silenzio, poi tirò fuori un foglietto dalla tasca del cappotto e lo passò alla cugina:

– Marti, ecco… il tuo Marco è venuto a cercarti. Non gli ho detto dov’eri. Qui c’è il suo nuovo numero di telefono. Decidi tu.

Martina accompagnò Francesca fino alla macchina, le fece un cenno di saluto mentre si allontanava, e tornò in casa. Accarezzò la gatta:

– Ti chiamerai Micia. Adesso ti verso un po’ di latte. Andrà tutto bene.

Passando accanto al camino, gettò il foglietto nel fuoco.

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