Quando i propri figli diventano estranei: storia di una madre
Nella mia gioventù, piena di energia e sogni, io, Maria Bianchi, dedicavo tutto il mio tempo ai miei figli. Le persone attorno mi avvertivano: «Non perderti completamente in loro, lascia qualcosa per te stessa». Ma non ascoltavo. Ora, a 69 anni, mi ritrovo sola, e nessuno mi porge un bicchiere d’acqua. Le parole di quelle persone ora risuonano nella mia testa come un eco, e rimpiango amaramente il mio comportamento passato.
Mio marito, Alessandro, se n’è andato di questo mondo quando nostro figlio aveva solo quattro anni e nostra figlia sei. Restare sola con due bambini piccoli è stata una vera sfida. Lavoravo in due posti per garantire loro tutto il necessario. Mia madre mi aiutava, ma spesso ricordava: «I bambini hanno bisogno di una madre, non solo del pane quotidiano». Ma chi ci avrebbe mantenuto se fossi rimasta a casa?
Cercavo di compensare la mancanza del padre, circondando i bambini di cure e coccole. Mi sembrava che così potessi colmare il vuoto lasciato dalla scomparsa di Alessandro. I bambini sono cresciuti, ognuno ha creato la propria famiglia. Volevo essere una nonna perfetta per i miei nipoti, continuando a dedicare tutto alla famiglia.
Una mattina mi sono svegliata e non sentivo le gambe. A fatica sono riuscita a raggiungere il telefono e ho chiamato mio figlio. Mi ha risposto: «Mamma, ho molte cose da fare adesso, non posso venire». Mia figlia non rispondeva al telefono. Chiamai l’ambulanza, che arrivò senza fare domande.
In ospedale mi diagnosticarono una trombosi alle gambe. I medici dissero che i trombi avrebbero potuto staccarsi in qualsiasi momento, portando a un esito fatale. Dovevo affrontare una lunga cura e un rigoroso riposo a letto. Pregai i miei figli di venirmi a trovare. Quando finalmente vennero, dissero apertamente: «Abbiamo le nostre preoccupazioni, non possiamo prenderci cura di te».
Mia figlia spiegò che il figlio più piccolo stava per entrare all’università e la moglie di mio figlio era influenzata. Pensavano che sarebbe stato meglio per me restare sola in ospedale. Motivi così “validi” per lasciare la madre in condizioni gravi.
Dopo la dimissione, tornai in un appartamento vuoto. Non avevo la forza neanche di cucinare. Una vicina, Anna Rossi, mi offrì aiuto per un piccolo compenso. Diventammo amiche, supportandoci reciprocamente con le nostre modeste pensioni.
Ora, guardando indietro, capisco che un’eccessiva protezione e le coccole non sostituiscono il vero amore e rispetto. Non ho insegnato ai miei figli a valorizzare e rispettare chi gli sta vicino. Da giovane ho seminato permissività, e in vecchiaia raccolgo solitudine.
Voglio rivolgermi a tutti i genitori: non dissolvetevi completamente nei figli, non dimenticatevi di voi stessi. Insegnate loro l’amore e il rispetto, e non solo a esaudire i loro capricci. Ciò che seminerete nei loro cuori durante la giovinezza determinerà ciò che raccoglierete nella vecchiaia.