Abbiamo un bambino, scambiamoci le stanze”: come la cognata ha provato a sfrattare Alessandro

“Beh, abbiamo un bambino, facciamo a cambio di stanze…” – così la moglie di mio fratello ha provato a cacciare Alessandro dal suo spazio

Questa storia è accaduta a un mio caro amico, con cui abbiamo studiato insieme all’università. Si chiama Alessandro, ha solo ventidue anni e vive nell’appartamento di famiglia, un trilocale in un quartiere residenziale di Milano. Sembra una situazione normale: ci vivono tre generazioni – i genitori, lui e la famiglia di suo fratello maggiore, che ha appena avuto un bimbo.

Il fratello di Ale, Matteo, guadagna poco e non può permettersi un’altra casa, quindi con sua moglie Giada e il neonato sono costretti a dividere lo spazio con i genitori e il fratello minore. Ognuno ha la sua camera, mentre cucina e bagno sono in comune. Sì, a volte è stretto, ma fino a poco fa tutti convivevano pacificamente. Alessandro non si lamentava – manteneva le distanze, studiava, faceva lavoretti e, come si suol dire, non dava fastidio a nessuno.

Ma un giorno non proprio felice, Giada, la moglie di suo fratello, si avvicinò ad Ale con una proposta “importantissima”:

“Ale, dai, abbiamo un bambino piccolo… che ne dici di scambiarci le stanze? La tua dà sul lato soleggiato, c’è così tanta luce! E nella nostra è sempre semibuio e, mi sembra, pure un po’ umido. Non fa bene al piccolo, sai…”

Alessandro rimase un attimo interdetto. Sapeva benissimo che la storia dell’umidità era una frottoletta, nessuno se n’era mai lamentato prima. Inoltre, la sua stanza, anche se più piccola di due metri quadri, era molto più comoda: quadrata, calda e accogliente. Quella di suo fratello e Giada aveva un balcone, pareti strette e una corrente d’aria costante. E poi, non dimentichiamoci che su quel balcone la mamma stendeva il bucato, il papà accumulava attrezzi e Matteo ci andava a fumare.

Giada continuava a insistere:

“Beh, la nostra stanza è comunque più grande! E se ti dà fastidio il freddo, sei un ragazzo – mettiti a riempire le fessure delle finestre, no? Mica è chirurgia!”

Alessandro bolliva dentro. Volevano portargli via il suo spazio personale, usando il bambino come scusa. Matteo – zitto come un pesce neanche una volta aveva accennato a voler cambiare stanza. Solo Giada girava intorno, insisteva, cercava di convincerlo che era giusto, che doveva farlo…

Alessandro rifiutò. Educatamente, ma con fermezza. Non voleva vivere in una stanza di passaggio con il balcone, dove ogni due ore sarebbero entrati a cercare calzini, pannolini e sigarette. Non voleva rinunciare al diritto di invitare una ragazza senza temere che qualcuno iniziasse a rumoreggiare alla ricerca del detersivo.

“La camera dei genitori è il loro territorio sacro. Quella di mio fratello è per la loro famiglia. La mia è l’unica cosa che ho,” disse a Giada. “Scusate, ma non ho intenzione di cambiare nulla.”

Dopo quella conversazione, l’atmosfera in casa si surriscaldò all’istante. Giada smise di salutarlo, lo ignorava, lo guardava di traverso come se avesse fatto chissà quale misfatto. Matteo sembrava convinto che il problema non esistesse. I genitori non intervenivano, cercavano di restare neutrali.

Alessandro vedeva tutto, ma faceva finta di niente. Sapeva che Giada aveva solo una tattica comoda – fare pressione con “gentilezza”, “premura” e “bisogno del bambino”. Ma in quelle manipolazioni non c’era spazio per i suoi interessi.

“Non sono contrario ad aiutare,” mi disse. “Ma perché deve sempre essere a spese del mio comfort? Perché devo cedere io, invece di risolvere loro i problemi?”

Ha ragione. Ognuno ha il diritto di avere i propri confini. Anche se vivi a casa dei tuoi. Anche se hai ventidue anni. Anche se qualcuno ha avuto un bambino.

Giada si offese. Naturalmente. Non era riuscita a piegare la situazione a suo favore. Ma Alessandro è sicuro – non è colpa sua. E non ha intenzione di sentirsi in colpa per aver rifiutato di sacrificare il suo unico spazio personale.

A volte, per preservare se stessi, basta dire un fermo “no.”

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