**5 marzo 2024**
Vittoria Rossi ha vissuto per anni nella sua accogliente bilocale in un vecchio quartiere di Bologna. La casa era calda, i vicini gentili, e ogni angolo del quartiere le era familiare. Con l’età, passava più tempo in casa o a fare due passi nel cortile, dove tutti la conoscevano, dai giovani agli anziani. Era rimasta vedova presto, ma non si lamentava mai. Aveva cresciuto sua figlia Giulia, le aveva dato un’istruzione e l’aveva aiutata a comprare casa quando si era sposata.
Giulia e il marito se la passavano bene, con il figlio Alessio, e Vittoria li vedeva quasi solo alle feste. Non si offendeva: sapeva che i giovani hanno la loro vita. Ma tutto cambiò quando il marito lasciò Giulia per un’altra, lasciandole il bimbo e una montagna di bollette da pagare.
All’inizio Giulia resisteva, poi crollò. I soldi scarseggiavano, c’era Alessio da mantenere e lei voleva ancora vivere—vestirsi bene, uscire. Un’amica allora le suggerì: “Fai vendere a tua madre l’appartamento e falla trasferire da te. Così non è sola e tu hai un aiuto”. Giulia ci pensò poco e convinse Vittoria. “Che ci dividiamo? Siamo famiglia”, diceva. Alessio sarebbe stato sorvegliato, i soldi della vendita sarebbero serviti per la scuola—tutti contenti.
Vittoria, dopo tante esitazioni, accettò. Vendette la casa, diede i soldi a Giulia, prese le sue cose e si trasferì. All’inizio andava tutto come sperato: cucinava, puliva, andava a prendere Alessio a scuola. Passeggiava ancora nel cortile, raccontando a tutti come i figli non l’avessero abbandonata. Le vicine ascoltavano, e molte—lo ammetto—invidiavano: chi non vorrebbe sentirsi utile in vecchiaia?
Ma dopo qualche mese, la gioia si trasformò in lacrime.
Giulia, dopo il divorzio, era sempre più irritabile. E sfogava tutto su Vittoria. Come se fosse colpa sua se il marito l’aveva tradita. Prima arrivarono i rimproveri: “Perché hai fatto il minestrone se volevo le polpette?”, “Hai riordinato e non trovo più niente!”. Poi silenzi, urla, porte sbattute. “Non uscire dalla stanza quando ho ospiti”, le disse una volta. E Vittoria capì: lì non era più una madre, né padrona di casa. Era di troppo.
Alessio, seguendo l’esempio della madre, iniziò a trattare la nonna con freddezza. Rispondeva male, poi smise di salutarla. Come se avesse preso quel rancore per osmosi.
Eppure lei pensava che il nipote sarebbe stato la sua ragione di vivere. Che avrebbero letto insieme, passeggiato al parco, parlato di scuola. Invece: vuoto. E un nodo in gola ogni sera.
Piangueva in silenzio. Non si lamentava con nessuno. Solo ogni tanto, seduta sulla panchina del cortile, confidava alle vecchie amiche ciò che la soffocava. E ripeteva sempre: “Ragazze, non fate il mio errore. Meglio soli, ma a casa propria. Che ‘in famiglia’, ma di troppo”.
Ora Vittoria vive come un’affittuaria senza diritti. Quello che poteva offrire è finito da tempo. I soldi della casa sono evaporati. Il suo aiuto non ha più valore. Le resta solo la sua stanzetta, con la coperta comprata prima del trasloco.
Non si vanta più, non sorride. Guarda solo dalla finestra, ricordando quando cucinava frittelle con Giulia, ascoltava le sue risate, baciava Alessio sulla testa. Allora erano una famiglia. Ora solo muri e sguardi estranei.
Cosa è successo? Perché? Vittoria non lo sa. Forse è Giulia che ha qualcosa che non va. O forse è vero il detto: “Lontano dagli occhi, vicino al cuore”. Quando vivevano separate, c’erano rispetto e affetto. Appena sotto lo stesso tetto, è svanito tutto.
E ogni giorno si chiede: è questa la gratitudine per una vita di aiuti, di amore? O è colpa sua per aver creduto nell’illusione di essere necessaria?
Una storia amara. Silenziosa. Senza scandali. Ma con un dolore che fa più rumore di un urlo.
**Lezione:** Mai rinunciare alla propria indipendenza, neppure per amore. A volte, la vicinanza logora ciò che la distanza teneva unito.