La casa dove i pantaloni sono proibiti

La Casa Dove Non Si Possono Indossare i Pantaloni

Giorgio De Luca andava a far visita a qualcuno dopo tanto tempo. La sua meta era una donna che ormai gli occupava i pensieri di continuo—Alessia. Eppure, anni prima, si era giurato: niente più relazioni, niente più famiglie. Ci era già passato. Lo aveva vissuto—e ne era uscito a pezzi.

La sua ex moglie se n’era andata all’improvviso. Gli aveva detto di non averlo mai amato, che il bambino era stato un incidente. Se n’era andata, portandosi via il figlio. Giorgio non riusciva a perdonare. Non poteva dimenticare le notti passate a cullare il piccolo, a cambiargli il pannolino, la prima volta che aveva sentito «papà». Poi, il silenzio. Tribunali, divieti, distanze. Una volta era andato in un’altra città, aveva visto suo figlio sulla soglia di casa, e lui gli aveva detto: «Papà, vengo con te». Ma lo avevano allontanato. Il bambino era stato trascinato dentro, la porta si era chiusa, e lui aveva solo sentito un grido: «Voglio stare con papà!»—e poi il pianto. In quel momento, Giorgio si era spezzato. E aveva deciso: niente più legami. Solo lavoro. Solo solitudine.

Ma Alessia era diversa. Si era fatta spazio nella sua vita senza che se ne accorgesse. Senza invadere. Semplicemente, c’era. Si erano incontrati per caso, avevano parlato poco, ma poi lui aveva cominciato ad aspettare i suoi sguardi. E poi era stato lui a cercarla—vicino al supermercato, vicino all’ufficio. Senza forzare. Solo per starle accanto. Aveva scoperto che era vedova, che il figlio aveva quasi quattro anni, che viveva con la madre. E che teneva gli uomini a distanza. Ma un giorno lo aveva invitato a casa sua. «Conoscerai Matteo», gli aveva detto. La voce le tremava.

Aveva portato un regalo—un grande set di costruzioni. Si era messo il suo miglior completo. Il cuore gli batteva come a un ragazzino. Premette il campanello.

«Chi è?» una vocina dall’interno.

«Giorgio De Luca.»

«Ah, capito. Entra. La mamma arriva tra poco. La nonna dorme, le fa male la testa. Però… devi toglierti i pantaloni!»

«Cosa?» Giorgio rimase a bocca aperta.

«Beh, vieni dalla strada. La mamma dice che i pantaloni della strada hanno i batteri. Possiamo ammalarci. Devono essere tolti subito. Qui in casa siamo puliti!»

Il bambino era serissimo. Maglietta bianca, papillon, sguardo diretto.

«Ehm… Posso non farlo? Sono puliti.»

«Beh… allora metti queste pantofole. Sono tue. Le ha comprate la mamma. Così non sporchi. Io sono Matteo. Tu sei Giorgio?»

«Sì. Piacere.»

«Qui siamo severi. Io non cammino con le scarpe. Solo lungo il muro e saltando il tappeto.»

«E la mamma è severa?»

«Moltissimo. Ma buona. Specialmente se sei bravo. Allora magari non servono neanche le pantofole.»

Giorgio scoppiò a ridere. Matteo gli prese la mano e disse:

«Tu resti per sempre?»

«Lo vorrei. Se per te va bene.»

«Per me sì. La mamma sarà felice. E la nonna… la nonna si sveglierà e capirà subito.»

«Perché?»

«Ha fiuto. E cuore. Sente sempre quando una persona è buona.»

Si misero a costruire insieme. Ridevano, litigavano scherzando. Il bambino si affezionava, e Giorgio non riusciva più a staccargli gli occhi di dosso. Poi, improvvisamente, sentì la porta aprirsi alle sue spalle.

«Mamma, lui ha ancora i pantaloni!» gridò Matteo.

Alessia rise. Poi si avvicinò, gli sfiorò la spalla e sussurrò:

«Se sei pronto… resta. Ma ti avverto: qui abbiamo regole strane.»

Giorgio sorrise:

«Per voi… accetto qualsiasi regola. Pure camminare in mutande sui tappeti. Basta che siate qui con me.»

Matteo si fece serio e bisbigliò:

«Papà…»

Giorgio si voltò. Il bambino abbassò lo sguardo.

«Posso chiamarti così?»

Giorgio non rispose. Si limitò ad annuire. E sentì che qualcosa, dentro di sé, dopo tanto tempo, tornava leggero e caldo. Non era arrivato in visita. Era arrivato a casa.

A volte, le regole più strane nascondono le porte più preziose—quelle che conducono dove non sei più un ospite, ma qualcuno che appartiene.

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