Il tuo segreto è anche il mio: decidi tu a chi lo svelerò

**Il tuo segreto è mio ora, e dipende solo da te a chi lo racconterò**

Caterina tornava a casa dal supermercato con le mani piene di buste pesanti, la schiena spezzata dalla stanchezza. Era quasi arrivata al suo portone quando notò una sconosciuta seduta sulla panchina, come se aspettasse qualcuno.

«Scusi… lei è Caterina?» le chiese all’improvviso la donna.

Caterina si fermò, studiandola con attenzione. Non le ricordava affatto.

«Sì. E lei chi è?»

«Non mi conosce, ma io conosco lei molto bene» rispose l’altra con tono deciso. «E sono qui per dirle una cosa… So il suo segreto.»

Caterina aggrottò le sopracciglia.

«Quale segreto? Di cosa sta parlando?»

«Quello che riguarda sua figlia…» precisò l’intrusa con un sorriso freddo. «Dipende solo da lei se rimarrà tale.»

Caterina strinse le maniglie delle buste fino a far sbiancare le nocche.

Caterina e Enrico si erano sposati per amore. Giovani, felici, con gli occhi lucidi, avevano promesso di restare insieme per sempre, nella gioia e nel dolore, tra i brindisi degli invitati. Gli anni passavano, lavoravano, costruivano un piccolo mondo accogliente per due. Ma i bambini non arrivavano. Prima aspettarono. Poi fecero controlli. Nessuna diagnosi, i medici alzavano le spalle: «A volte una coppia aspetta dieci anni e poi, all’improvviso, arriva il miracolo.»

Ma il miracolo non arrivava. E un giorno, entrambi pronunciarono quella parola ad alta voce: «Adottare.»

Andarono all’orfanotrofio tre volte. Prima per osservare. Poi la videro lei: una bimbetta occhi azzurri, coi capelli ricci e uno sguardo pieno di fiducia. Anna aveva solo un anno e qualche mese. La madre naturale l’aveva abbandonata in ospedale, era stata privata dei diritti genitoriali.

«È così piccola. Non ricorderà niente, solo noi» diceva Caterina. «Crescerà convinta che siamo i suoi veri genitori.»

Documenti, visite, notti insonni. Ma alla fine, Anna era diventata loro figlia. Amata. Desiderata. La loro. I parenti commentavano: «Somiglia tanto a Caterina! Stessi capelli biondi, stessi occhi!» Enrico sorrideva, scaldandosi il cuore: perfino nell’aspetto, il destino gli aveva regalato una coincidenza perfetta.

Anna cresceva intelligente, curiosa, affettuosa. La scuola, i primi dieci e lode, il primo mazzetto di fiori per la maestra, le prime domande.

Ma la domanda che Enrico e Caterina temevano di più arrivò prima del previsto.

«Mamma, papà, è vero che non sono vostra figlia? Che mi avete presa dall’orfanotrofio?»

Lo disse con calma, ma nella voce tremava un dolore. Giulia, una compagna di scuola, gliel’aveva riferito. Aveva sentito sua madre parlarne con la vicina.

I genitori si scambiarono un’occhiata. Quella sera, Enrico parlò con serenità e misura. Teneva la bambina per le spalle e le raccontò come l’avevano vista per la prima volta, come si erano innamorati di lei al primo sguardo. Come volevano darle una casa. Una famiglia. Dell’amore. Come si erano promessi di non nasconderle mai la verità, ma di aspettare il momento giusto.

Anna ascoltò. Nessuna lacrima, nessuna crisi. Solo un tranquillo:

«Va bene. Tanto voi siete i miei veri genitori.»

Da quella notte, l’argomento non fu più toccato. Enrico e Caterina tirarono un sospiro di sollievo: la loro bambina era forte, dolce, matura oltre gli anni.

Quando Anna compì quindici anni, successe un altro miracolo: Caterina scoprì di essere incinta.

«Enrico, ho una cosa incredibile da dirti…» gli annunciò quando lui tornò dal lavoro.

«Hai comprato di nuovo dei fiori senza motivo?»

«Avremo un bambino.»

Lui non ci credette subito. Chiese conferma, si passò le mani tra i capelli. Poi la strinse e pianse. E per la prima volta dopo anni le disse:

«Grazie, Caterina. Per tutto.»

Anna, saputa la notizia, sorrise:

«Voglio un fratellino. Ma non rompiscatole come Giulia.»

Caterina partorì un maschietto. La famiglia era completa. E la felicità sembrava aver messo radici in casa per sempre. Anna si iscrisse all’università, il piccolo iniziò le elementari, Caterina e Enrico lavoravano, vivevano, gioivano.

Poi arrivò lei: la madre naturale di Anna.

Una volta, Caterina tornava con la spesa e la incontrò davanti al portone.

«Dì a tuo marito che se non mi date dei soldi, racconterò tutto a vostra figlia» sibilò la donna, senza nascondere il disprezzo. «So dove studia. So tutto.»

Caterina rientrò a casa pallida. Lo raccontò a Enrico.

«Non le dobbiamo nulla» disse lui. «Ma Anna non deve vederla. Non così. Non ora.»

Ripensarono alla promessa fatta anni prima: dire alla figlia la verità quando sarebbe stata pronta. Ma non gliel’avevano già detto? Non si erano già confessati?

«Era una bambina» osservò Caterina. «Ora è grande. Dobbiamo avvertirla.»

Quando Anna tornò per le vacanze, trovarono il coraggio.

«Piccola… sai che ti abbiamo adottata. Ma hai una madre naturale. Vogliamo che tu sappia che potrebbe farsi viva. Non volevamo che lo scoprissi da estranei. Ma noi siamo qui. Siamo i tuoi genitori. Sempre.»

Anna li guardò a lungo, poi sorrise:

«Mamma, papà. Ricordatevi: per me non ci sono altri genitori. Se si presenta, le dirò solo che ho già una famiglia. Quella vera.»

Caterina e Enrico la osservarono con ammirazione e stupore. Pensavano che tutto il bene in lei venisse dall’alto. Dal carattere. Dalla natura. Ma in realtà, Anna era diventata così grazie a loro.

Grazie all’amore, alla sincerità e alle cure sincere.

E nessun «segreto» avrebbe mai più avuto potere sulla loro vita.

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