*5 marzo, martedì*
Luca sedeva sulla panchina alla fermata dell’autobus, osservando le macchine strisciare sulla strada bagnata. Un vento pungente di marzo gli si infilava sotto la giacca leggera, ma quasi non sentiva il freddo. Aspettava. Ma cosa? Nemmeno lui lo sapeva. Forse un segno, una risposta alla domanda che lo divorava dentro: *«E adesso?»*
La sua vita sembrava bloccata, come un disco rotto. L’ufficio gli faceva venire la nausea, a casa lo accoglieva solo il silenzio vuoto dell’appartamento, e i sogni di un tempo— luminosi come fuochi d’artificio— si erano spenti, come appartenessero a un altro. Ogni giorno era identico al precedente, e ogni mattina alzarsi diventava più faticoso.
Tirò fuori il telefono e scorse distrattamente i social. Su WhatsApp, il messaggio della madre lampeggiava: *«Come stai, tesoro? È da giorni che non chiami.»* Non rispose. Cosa poteva dirle? Che tutto gli stava crollando addosso? Che non capiva più perché sprecare la vita in quella grigia monotonia?
Arrivò l’autobus, ma Luca non si mosse. A che pro salire, se dentro di sé sentiva solo un vuoto, come in una casa abbandonata?
— Ehi, amico, che ore sono? — una voce roca lo strappò dai pensieri.
Alzò lo sguardo. Davanti a lui c’era un ragazzo sulla ventina, con una giacca logora e uno zaino pesante sulle spalle. Il volto era scavato, ma negli occhi brillava una luce viva.
— Mancano dieci alle undici — borbottò Luca, controllando l’orologio.
— Grazie. Io sono Marco — il ragazzo gli tese la mano.
Luca gliela strinse distrattamente, senza presentarsi.
— Che ci fai qui tutto solo? — chiese Marco, sedendosi accanto a lui.
— Penso.
— A cosa?
Luca sorrise amaramente:
— A come uscire da questa dannata routine.
Marco appoggiò lo zaino a terra e lo fissò con interesse.
— Capisco. Ci sono passato anch’io, non molto tempo fa. E sai cosa ho capito?
— Cosa?
— Se non trovi un senso, devi inventartelo. Io ho mollato tutto: licenziamento, zaino in spalla e via. Oggi qui, domani chissà dove. Vivo come mi pare.
— E ha funzionato?
Marco annuì, e nei suoi occhi si accese una fiamma di convinzione:
— Ora è la *mia* vita, non solo giorni da sopportare.
Luca tacque. Dentro di lui, qualcosa si strinse dolorosamente, come se il cuore si fosse ricordato di battere.
Parlarono a lungo, fino a mezzanotte, seduti sulla panchina gelida. Marco gli raccontò della decisione di lasciare l’ufficio, di come la paura lo paralizzava, ma che l’idea di una vita piena di rimpianti lo terrorizzava di più.
— Non voglio morire chiedendomi *«e se…?»* — disse. — Puoi farlo anche tu. Basta un passo.
Luca lo fissò e, per la prima volta dopo anni, sentì una speranza accendersi nel petto— fragile, ma viva.
— Forse… — sussurrò.
Quando si salutarono, Luca si avviò verso casa con la mente in tempesta, come un fiume in piena. Aveva capito: se non cambiava tutto ora, sarebbe rimasto intrappolato in quel vuoto per sempre.
A casa, si lasciò cadere sulla sedia, aprì il portatile e cercò biglietti del treno. Per ovunque. Purché fosse una fuga. Il dito gli tremò sul pulsante *«Acquista»*. Il cuore gli batteva così forte da sembrare sul punto di scoppiare.
— Dai — si disse, con voce roca.
E cliccò.
Il giorno dopo, Luca era seduto sul treno, guardando le luci sfumare dal finestrino. Aveva scelto un piccolo borgo marittimo— non troppo lontano, ma abbastanza sconosciuto da respirE mentre il treno accelerava, sorrise per la prima volta da mesi, sentendo che forse, finalmente, la vita stava ricominciando.