**Diario**
Viviamo alla periferia di un paesino nelle colline toscane. La nostra strada, con i suoi vecchi ciottoli sconnessi e pochi autobus che passano, sembrava dimenticata dal tempo. Ma negli ultimi anni tutto è cambiato: sempre più cittadini, stanchi del caos di Firenze, hanno cominciato a trasferirsi qui. Case vecchie comprate, ristrutturate o demolite per far spazio a villette moderne.
Anche noi, io e mio marito Luca, abbiamo deciso di lasciare la città. Abbiamo trovato una casetta in fondo alla strada, economica, e l’abbiamo sistemata con amore. Il cortile lastricato, un piccolo giardino fiorito… perfetto, come nei nostri sogni. Mia figlia e suo marito ci hanno portato un giovane cipresso dal vivaio e l’abbiamo piantato vicino al cancello, dove tutti potevano vederlo crescere.
All’inizio sembrava soffrire, quasi non volesse attecchire. Ma non ci siamo arresi: lo abbiamo curato, innaffiato, parlato a quella pianta come fosse viva. E un giorno, finalmente, ha cominciato a crescere. Non velocemente, ma con determinazione. Quell’inverno lo abbiamo decorato con lucine per Natale, e i nipoti hanno scattato foto accanto a lui. Da allora, è diventato una tradizione: ogni dicembre, addobbi, risate e ricordi di famiglia.
Dopo due anni, era bellissimo. Verde, slanciato, con i suoi rami morbidi. In estate, l’erba intorno fioriva, e io e Luca sognavamo di mettere una panchina all’ombra, per goderci le serate. Ma una mattina sono uscita in giardino e ho avuto un tuffo al cuore. Il cipresso non c’era più. Solo un ceppo. E poco più in là, vicino ai bidoni, giaceva abbandonato quello che era stato il nostro albero.
Shock. Rabbia. Disperazione. Chi avrebbe potuto fare una cosa così? Non era neanche Natale…
Luca, con i pugni stretti, è andato dalla vicina di fronte, la signora Giuseppina. Una vedova, con la casa di famiglia ben tenuta ma piena di rancore. Suo figlio la visitava raramente, e da quando ci eravamo trasferiti noi, sembrava che avessimo offeso la sua esistenza.
“Perché, signora Giuseppina? Perché fare una cosa così crudele?” ha chiesto Luca, senza alzare la voce ma con la gola stretta.
“Ah, bravi voi! Due macchine, il giardino perfetto… e quel vostro albero che mi dava fastidio! I vostri nipotini urlano, corrono… non si può vivere in pace!”
“Ma era Natale… le decorazioni… la famiglia…” ha balbettato lui.
“E io devo chiudere le finestre d’estate per colpa vostra?”
Luca è tornato a casa e mi ha raccontato tutto. Ho asciugato le lacrime e sussurrato: “È invidia. Non c’è altro modo per spiegarlo.”
“L’invidia è veleno. Siamo pensionati anche noi. Solo che amiamo vivere con un po’ di bellezza. Per noi e per i nipoti.”
Una settimana dopo, mio genero è tornato con due nuovi cipressi, piccoli ma rigogliosi. Ne abbiamo piantato uno vicino al cancello e l’altro… Luca l’ha portato da Giuseppina. Voleva fare la pace, sperando che il suo cuore si ammorbidisse.
“Non voglio la vostra elemosina!” ha sibilato. “Tenetevi i vostri alberi!”
Mentre Luca si voltava per andarsene, dall’orto accanto è spuntata la signora Rosa, la nostra vicina più anziana.
“Un alberello? Lo prendo io, caro. Lo faccio crescere.”
“Ma perché, signora Rosa? Vive da sola…”
“E allora? Magari un giorno questa casa andrà a qualcuno di buono, e troverà un bel cipresso all’ingresso… e forse si ricorderà di me.”
A Luca è mancato il fiato. Abbiamo piantato l’albero per lei, spiegandole come prendermene cura, promettendole che l’avremmo aiutata. Tornati a casa, ho preparato dei biscotti, pensando di portarli a Giuseppina per riappacificarci.
Ma Luca mi ha fermata: “Non serve. Dirà che sono avvelenati. Meglio che le dica che abbiamo installato una telecamera. Ora ogni centimetro del giardino è sorvegliato.”
E infatti, presto il sistema era attivo. Luca è andato dalla vicina e, senza minacce ma con fermezza, le ha detto: “Ora ci sono le telecamere. Se succede ancora qualcosa, andiamo dai carabinieri. È vandalismo, si rischia la denuncia.”
Lei non ha risposto. Solo i suoi occhi si muovevano nervosi.
Da allora, niente più rifiuti nel nostro cortile, né occhiatacce. La tranquillità è tornata. E il nuovo cipresso? Cresce. Quello vecchio resta nei nostri ricordi. Un simbolo di gentilezza, di semplicità… e di quanto l’invidia possa rendere le persone davvero meschine.