**29 Ottobre**
Decisone Difficile. Ritorno
— Se vuoi, vola — disse Marco, posando la tazzina nel lavandino. La sua voce era piatta, quasi indifferente. — Ma non aspettarti il mio sostegno. Né morale, né materiale.
— E non lo faccio — rispose Carla, senza guardarlo.
— Poi non lamentarti se ti pentirai.
— Forse sì, forse no. L’importante è non rimpiangere di non averci provato.
E alla fine partì.
Il volo con scalo fu ritardato, e l’aereo per la coincidenza decollò senza di lei. Sette ore di attesa snervante in un aeroporto soffocante, un panino insapore e una borsa a tracolla al posto della valigia — il vestito era rimasto nella stiva, dall’altra parte dell’oceano.
In hotel le dissero che la prenotazione «non era andata a buon fine». Il ragazzo alla reception lo spiegò con un sorriso, come se fosse una sciocchezza:
— Mi dispiace, signora, siamo al completo. Posso darle una lista di motel vicini.
— Grazie — rispose Carla, asciutta. — Proprio quello che mi mancava: un elenco dei miei fallimenti.
Si sedette in un bar all’angolo, ordinò un caffè e scorse i contatti sul telefono. Il dito si fermò su un nome: Eleonora Bianchi. Un’amica universitaria, con cui aveva studiato a Bologna. Poi messaggi sporadici, qualche like… e il nulla.
“Ma perché no?” pensò Carla, e scrisse un messaggio breve.
La risposta arrivò in tre minuti:
«Ma certo, vieni! Ho una camera per gli ospiti. E per il vestito, non ti preoccupare, troviamo qualcosa. Forse sei più magra ora — prendiamo qualcosa di ampio. È da secoli che sparisci!»
La mattina dopo, già viaggiavano per le strade della periferia di Milano. Carla sentiva che ogni curva dell’auto la trascinava più profondamente nel passato, ormai sepolto. Eleonora era cambiata — curata, sicura di sé, ma sempre gentile, senza traccia di supponenza. Le diede l’indirizzo del club, la osservò con occhio critico, le sistemò i capelli, le spruzzò lacca e le infilò una spilla:
— Non ci vai come l’ombra di ciò che eri, ma come una donna che conosce il suo valore. Lì dentro sono tutte uguali: stessi volti, stesse labbra. Ma non tutte hanno un’anima. Tieni la schiena dritta, Carla.
La festa era pretenziosa.
Tende, prati perfetti, camerieri con champagne, donne vestite da stilisti — come stampate dallo stesso stampino. Tutto costoso, elaborato e… estraneo. Volti familiari, Carla non ne trovò. Solo sconosciuti — abbronzati, rifatti, sicuri di sé.
Luca fu il primo a farsi vivo. Un po’ invecchiato, ma sempre lo stesso. Si avvicinò, sorrise colpevole, la abbracciò, sussurrandole:
— Sono felice che tu sia venuta. Scusa, non l’ho detto a Michela. Volevo che ti vedesse e basta…
Carla non rispose. Ormai era tutto chiaro.
Michela arrivò poco dopo. Non sola — con un codazzo al seguito. Abito firmato, viso perfetto, sguardo vuoto.
— Carla? Che sorpresa — disse con un ghigno che fingeva un sorriso. — Tu… qui?
— Io sono io. E qui è solo un posto — replicò Carla, serena. — Auguri per l’anniversario.
— Grazie. Spero che il viaggio non ti abbia stancato troppo.
— Un po’. Ma Eleonora Bianchi mi ha aiutata. Strano come certi legami resistano, anche dopo anni.
— Eleonora? Ah, sì… Ci salvò quando traslocammo. Dicono che abbia buon gusto. Non è il suo vestito?
— È comodo. E mi sta meglio di certi ricordi.
Michela esitò un istante.
— Beh… Spero ti diverta.
— Lo sono già. Grazie per l’invito.
— Io… non ti ho invitata.
— Ma neanche mi cacci — rispose Carla, con un mezzo sorriso.
Più tardi, quando un invitato improvvisamente collassò su una sedia, impallidendo, il salto si riempì di panico.
— Si sta strozzando! — urlò una donna vestita a zampe di leopardo. — Chiamate un’ambulanza!
— Sono un medico — disse Carla, già accanto a lui. Senza isterismi, senza fretta, precisa. Controllò il polso, gli sistemò la borsa sotto la testa, gli slacciò il colletto. Agiva come se lo facesse ogni giorno. E lo faceva.
L’ambulanza arrivò in quindici minuti. Michela e la sua corte nemmeno si avvicinarono.
Al mattino, Carla si svegliò nella camera di Eleonora. L’abito era piegato con cura sulla sedia, sul tavolo un caffè e un biglietto:
«Hai fatto bene. Se vorrai sparire di nuovo in questa città, chiamami. La camera è tua».
In aeroporto, sentiva una strana leggerezza.
Non perché tutto fosse finito.
Ma perché tutto, finalmente, aveva trovato il suo posto.
Quell’amicizia era morta da tempo. Solo che i funerali si erano protratti. Ora erano avvenuti. Senza fiori. Senza lacrime. Ma con un addio.
Marco l’aspettava all’uscita. Il suo cane peloso, Artù, la travolse quasi dalla gioia.
— Allora, com’è andata? — chiese lui.
— Ho chiuso il cerchio.
— Con fracasso?
— Un po’. Ma con dignità.
— E ora?
— Non sento più il bisogno.
Lui le prese la borsa.
Lei lo prese a braccetto.
E insieme tornarono a casa.