Quando il pane cade dalla parte del burro: una storia di perdita, dolore e famiglia

Quando il pane cade con la burro verso il basso: una storia di perdita, dolore e famiglia

Maria Rossi, come sempre, spalmava la burro su una fetta di pane fresco. Una tranquilla mattina di sabato, fuori dalla finestra il cielo cominciava a tingersi di azzurro, mentre in casa si diffondeva l’aroma del caffè. Suo marito, Andrea, seduto al tavolo, sorseggiava dalla sua tazza preferita, assorto nei pensieri. All’improvviso, il telefono squillò.

—Chi sarà a quest’ora? — borbottò Maria, asciugandosi le mani sul tovagliolo.

Andrea afferrò il ricevitore.

—Pronto? Sì, dica…

Maria osservò di nascosto mentre il suo volto perdeva ogni traccia di serenità. La pelle gli si fece pallida, gli occhi vitrei. La mano che reggeva la tazza tremava.

—Cosa è successo? — chiese lei, muovendo appena le labbra.

Andrea si voltò lentamente verso di lei:

—Elena… L’auto… Non c’è più…

Un pezzo di pane scivolò dalle mani di Maria e cadde a terra, con la burro rivolta verso il basso.

Quando il parto è solitudine
Le tornò in mente quel giorno, quattordici anni prima, quando Elena aveva partorito da sola. Senza sostegno, senza una mano da stringere durante le doglie.

Suo fratello si aggirava sotto le finestre dell’ospedale, ma non lo fecero entrare — “non è permesso”. La madre non le aveva mai perdonato la gravidanza precoce e non rispondeva al telefono.

Il padre del bambino, uno studente dello stesso corso, era sparito un mese dopo aver scoperto la notizia. Tornò a casa sua e non si fece più vivo.

Quella notte di agosto, Elena aveva gridato dal dolore e dalla paura. Quando le posarono il neonato, un maschietto, sul petto, pianse — di gioia, di disperazione, di terrore per il futuro.

Aveva solo diciotto anni. Era sola. E il mondo le sembrava tagliente come il filo spinato.

La telefonata che cambiò tutto
Da quel giorno erano passati quattordici anni. E ora, quella mattina, una chiamata. E le parole che Maria aveva temuto per tutta la vita:

—Elena… Non c’è più…

Nel corridoio, si sentirono passettini leggeri — la loro figlia di sette anni, Lucia, si preparava per scuola.

—Mamma, dov’è il mio astuccio con le farfalle?

Maria si asciugò automaticamente le mani sul grembiule, cercando di mantenere un tono normale:

—Sulla scrivania, guarda bene.

Andrea, invece, rimaneva immobile, lo sguardo perso nel vuoto.

—Era con qualcuno… stavano tornando di notte… si stavano divertendo… — riuscì a dire con voce roca. —E ora Sandro è solo. Completamente solo…

Sandro, il figlio di Elena. Il loro nipote. Aveva quattordici anni. Ed era ormai un orfano.

Il ragazzo con lo zaino e la scatola
La giornata trascorse come in una nebbia. Portarono Lucia a scuola, dicendole che la zia era malata. Il funerale fu breve — vennero poche persone.

Maria non avrebbe mai dimenticato il volto di Sandro — magro, scavato, con occhiaie profonde. Stava in disparte, tenendo tutti a distanza. Persino Andrea.

—Dobbiamo prenderlo con noi — disse Andrea. —Ora è nostro.

Maria annuì in silenzio. Di cosa discutere? Dove avrebbe potuto andare? In un orfanotrofio?

Il giorno dopo, Sandro arrivò. Con uno zaino e una scatola di cartone. Si fermò sulla soglia, guardandosi intorno con diffidenza.

—Entra pure, fatti comodo — cercò di sorridere Maria. —Questa è la tua stanza. Hai fame?

—No — borbottò lui, scomparendo dietro la porta.

La porta si chiuse con un tonfo sordo, isolandolo dal mondo.

E poi, silenzio. Freddo. Distacco.

UsAppariva solo per pranzo e cena, mangiando in silenzio senza incrociare lo sguardo di nessuno.

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