Amore Mai Esistito

**L’amore che non c’era**

L’autobus si fermò a un incrocio nel centro di una piccola città emiliana quando Marco la vide. La ragazza si scrollò di dosso un fiore di tarassaco dalla manica. Quel gesto delle labbra, leggero come un bacio al vento, lo colpì come un raggio di sole in una stanza buia:

«Sarai mia moglie», le disse, senza sapere perché nei suoi occhi castani vide improvvisamente tutta la sua vita.

Lei si voltò lentamente, il suo sguardo non era spaventato ma freddo, come se stesse valutando non un uomo ma una tela screpolata:

«Sei pazzo.»

«Sarò il miglior marito. Accetta.»

Lei rise, mostrando denti leggermente storti:

«Perché mai? Non ti conosco.»

«Allora conosciamoci. Ci vediamo di nuovo», rispose lui con un inchino teatrale, senza darle modo di rifiutare. «Marco, ingegnere con grandi progetti. Piacere.»

«Elena», rispose lei, come in un sogno. «Pittrice. Forse famosa, forse no.»

«Coppia perfetta: tecnico e sognatrice», sorrise lui. «Ci completeremo.»

«No, grazie», tagliò corto lei. «Io sono già completa.»

«È per questo che mi piaci», disse Marco, sentendo il cuore battere più forte. «Domani alle otto, alla fontana del parco. Ti prometto una serata indimenticabile.»

A Elena non piaceva. Non aveva intenzione di andare. Ma il giorno dopo, vantandosi con l’amica, le raccontò di come uno sconosciuto le avesse chiesto di sposarla, promettendole amore eterno.

«E tu hai rifiutato?» esclamò l’amica. «Ma sei matta! Quando qualcuno si innamora a prima vista, bisogna approfittarne. Magari è ricco! Potresti farti un giro a sue spese.»

«Mi aspetta stasera», disse Elena alzando le spalle. «Vuoi venire con me? Vediamo quanto è generoso. Da sola mi annoierei.»

«Certo, andiamo!»

Non finì con una serata. Marco si attaccò a loro come un’ombra. Non risparmiava né soldi né tempo per le due studentesse d’arte. Sapeva cosa volevano le ragazze giovani: biglietti per il cinema, caffè accoglienti, colori costosi, pennelli di qualità. Lui, ingegnere con dieci anni di esperienza, lavorava in un’azienda di nuove tecnologie e poteva permetterselo.

Elena non nascondeva la sua indifferenza. Diceva apertamente che lo frequentava per noia, finché non avesse trovato il vero amore. In qualcun altro. Insomma, gli faceva un favore.

Marco la guardava come un bambino capriccioso e dopo ogni uscita ripeteva:

«Sarai mia moglie.»

Lei rideva. Chi vorrebbe una moglie che guarda altrove? Ma Marco non si arrendeva. Non la corteggiava — la assediava.

La aspettava dopo le lezioni, la portava alle mostre, le regalava gioielli, memorizzava le sue abitudini. Scopriva i suoi pretendenti e li eliminava (uno finì “casualmente” pestato in un vicolo). Telefonava a sua madre: «Tua figlia merita di meglio di quei ragazzini.»

Elena si infuriava, gridava che non era una sua proprietà e che vivevano nel XXI secolo. Per dispetto usciva con coetanei. Un ragazzo del suo corso le piaceva, ma era povero. Uno studente di lettere di famiglia benestante la guardava dall’alto in basso. Un musicista del quartiere la amava con passione, ma dopo una settimana correva già dietro a un’altra.

Dopo ogni delusione, Marco riappariva come un fantasma:

«Te l’avevo detto, non sono fatti per te.»

La madre si schierò presto dalla sua parte. Quando Elena protestava e interrompeva i contatti, sospirava: «Fai male a resistere. Il matrimonio non è passione. Lui ti ama, e con un uomo così non ti mancherà nulla.»

«Stasera c’è jazz», diceva lui porgendole i biglietti mentre lei si preparava per un appuntamento con un altro ammiratore.

«Non ti merita», le diceva una settimana dopo, quando il ragazzo spariva dalla sua vita.

Elena non chiedeva come facesse. In fondo, quella ossessione la toccava — come in un vecchio romanzo, dove l’eroina vale la pena di essere conquistata.

«Sposami», le disse per la centesima volta, porgendole un ramo di gelsomino, il suo fiore preferito. «Mi hanno dato un terreno, costruiremo una casa, avrai il tuo studio.»

«Non ti amo», sospirò lei. «Non posso. Scusami.»

«Non hai ancora provato. Farò di tutto per farmi amare.»

All’improvviso si sentì stanca — non di lui, ma di sé stessa. Della ricerca di qualcuno che, a ventisei anni, cominciava a sospettare non esistere. Tutte le opzioni si erano sgretolate come sabbia. Forse sua madre aveva ragione: era ora di arrendersi?

«Va bene», disse. Il suo viso si illuminò di gioia, come se avesse visto la luce in fondo al tunnel.

Fu un marito perfetto. Le regalava fiori, non la rimproverava mai, costruiva mensole, sistemava la casa seguendo i suoi schizzi, la sollevava tra le braccia davanti agli ospiti. Ma la camera da letto diventò un dovere («Vieni qui, tesoro, mi sei mancata»). I figli non arrivavano.

Elena non viveva. Sopportava il suo amore. Non riusciva ad abituarsi ai baci improvvisi sulla nuca mentre tagliava l’insalata.

Le amiche le invidiavano, ma lei avrebbe voluto urlare: «Prendetevelo voi!» Il loro matrimonio era come un palcoscenico dove recitava la parte della moglie felice.

Non litigavano mai — non c’era motivo. Una volta Elena lanciò contro il muro una statuetta regalatale dalla suocera. Marco non batté ciglio:

«Niente paura, cara, la incolliamo.»

Capì: non l’avrebbe mai lasciata andare. Comprò un biglietto per il treno, preparò una valigia. Ma Marco le portò un gattino siamese che sognava da tempo:

«Sei così triste… Forse lui ti aiuterà?»

Elena rimase.

Il biglietto lo trovò anni dopo, in un libro. Capì tutto. A cena le chiese:

«Perché sei ancora con me? Se vuoi andartene, non ti trattengo.»

«Perché…», cercò le parole, «la solitudine fa più paura.»

Marco sorrise, interpretandolo come amore.

Ma Elena sapeva la verità: si era abituata alle sue attenzioni e temeva che lui fosse l’unico capace di amarla.

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