L’ombra prima della felicità

**Ombra alla Vigilia della Felicità**

In un tranquillo borgo ai piedi delle colline, dove la mattina si distende una lieve nebbia, Beatrice festeggiava il suo addio al nubilato insieme alle amiche. Il giorno dopo avrebbe sposato il suo promesso sposo, Davide. L’allegria era al culmine: il tintinnio dei bicchieri, le risate, la musica. All’improvviso, qualcuno bussò alla porta. Beatrice, aggiustandosi l’abito, andò ad aprire.

“Buonasera,” disse una donna anziana con un tono sommesso, quasi colpevole. Il suo volto segnato dalle rughe sembrava vagamente familiare.
“Buonasera,” rispose Beatrice, mentre un silenzio carico di tensione avvolgeva l’aria. Aspettò che la sconosciuta proseguisse.
“Sono venuta per avvertirti: non sposare Davide,” sbottò l’ospite inaspettata, i suoi occhi scuri che sembravano perforare Beatrice come tizzoni ardenti.
“Cosa? Perché?” chiese lei, sbalordita, fissando la vecchia senza capire.

La sera prima del matrimonio, come da tradizione, le amiche avevano organizzato la festa per Beatrice. Negli ultimi anni, aveva vissuto in una casetta ai margini del paese, ereditata dalla nonna. Era modesta, ma accogliente, con pavimenti in legno e finestre affacciate su vecchi aceri. Anche se il tragitto per il lavoro durava un’ora, Beatrice non si lamentava. Qui, l’aria profumava di assenzio, pere mature e rugiada mattutina. Al mattino frusciavano le foglie, la sera cantavano i grilli, e quella vita semplice riempiva la sua anima di pace, così rara nel caos della città.

Le amiche avevano proposto di festeggiare in un locale alla moda, ma Beatrice aveva insistito per restare a casa. Non era solo l’addio alla vita da nubile: era l’addio al suo rifugio, a quell’angolo di tranquillità.

Davide, il suo fidanzato, si rifiutava categoricamente di vivere in campagna. “Forse da pensionati ci avvicineremo alla vita rurale,” diceva, “ma ora non ho intenzione di perdere metà giornata nel traffico. Cosa c’è di bello in questo posto? È noia morta!”

Beatrice annuiva in silenzio. La casa sarebbe rimasta, ci sarebbe tornata nei weekend. Ma le loro visioni della vita spesso divergono. Litigavano per piccolezze e questioni importanti: come spendere i soldi, dove andare in vacanza, come crescere i figli. Davide era sempre il primo a fare pace, portava fiori, la invitava al bar, giurava amore. Le sue emozioni erano intense, impulsive, come un temporale estivo.

Amava Davide? Cacciava via quei pensieri. Quando ci rifletteva, al posto del batticuore sentiva un vuoto gelido, un abisso che ingoiava tutto ciò che amava: i libri con le copertine consumate, il tè alla menta nella sua tazza preferita con le margherite, persino il gatto che le faceva le fusa in grembo. La sensazione era inquietante. Certo, erano solo fantasie, ma così reali da farle venire la pelle d’oca.

Beatrice non amava Davide. Eppure stava per sposarlo. Lui aveva dieci anni più di lei, di successo, sicuro di sé. “Con lui non ti mancherà nulla,” sussurravano le amiche. Lei annuiva, nascondendo i dubbi. E ora il giorno del matrimonio era arrivato. L’abito bianco pendeva nell’armadio, seducente e spaventoso. Oggi: champagne, fragole, risate. Domani: il giuramento all’altare.

Tra il chiasso allegro, Beatrice sentì appena il bussare alla porta. Pensò di essersi sbagliata, ma il rumore si ripeté. Non aspettavano altri ospiti. Corse ad aprire.

“Buonasera,” disse la donna anziana. Assomigliava a una vecchia maestra: capelli grigi raccolti in uno chignon, un cardigan scuro sopra la camicetta, una gonna lunga e scarpe consumate. Ma i suoi occhi grigi, penetranti, sembravano leggere dentro l’anima.

“Buonasera,” rispose Beatrice, aspettando che continuasse.

“Chiamami Rosaria. Sono la madre di Luigi Esposito,” si presentò la donna.

“È successo qualcosa a Luigi? O a Matteo?” si preoccupò Beatrice. Luigi era il suo vicino, e Matteo suo figlio. La moglie di Luigi se n’era andata anni prima, lasciandolo con il bambino e i debiti. Luigi non si era arreso, aveva lavorato duramente, crescendo il figlio con fermezza ma giustizia. Beatrice li aiutava come poteva: preparava dolci, portava a Matteo libri dalla biblioteca, piantava fiori sotto le loro finestre – margherite e phlox. Luigi ricambiava aggiustando la recinzione o montando scaffali. Matteo la invitava a passeggiare, insieme raccoglievano frutti di bosco per le confetture, che dividevano equamente. Beatrice sapeva che Luigi aveva una madre, ma viveva in un paese vicino e raramente veniva a trovarlo.

“No, stanno bene,” la rassicurò Rosaria, sollevando le mani nodose. “E grazie a te, Beatrice. So come li hai aiutati. Sono venuta oggi da mio figlio e ho voluto ringraziarti.”

“Ma figurati,” si confuse lei. “È normale tra vicini…”

“Proprio per questo ti ringrazio,” la interruppe la vecchia, con una sfumatura di fermezza nella voce. “Non arrabbiarti, Beatrice. Sono vecchia, ma vedo la verità. Non sposare Davide.” I suoi occhi si fecero più scuri, fissandola.

“Scusi, cosa? Come fa a sapere di Davide? Perché mi dice questo?” balbettò Beatrice, poi capì. “Ah, non sono innamorata di Luigi, siamo solo amici!” rise nervosamente.

“Lo so,” rispose Rosaria con calma. “E so che stai commettendo un errore. Davide non è la tua strada. Con lui non sarai felice. Aspetta un po’, incontrerai il tuo destino: si chiama Alessandro.”

Beatrice si agitò, guardando il crepuscolo che si addensava per evitare quello sguardo. Dietro di lei, le amiche ridevano, qualcuna stonava una canzone, mentre lì, sulla porta, il tempo sembrava essersi fermato.

“Non capisco,” sospirò.

“Ho letto i tarocchi,” sussurrò la vecchia. “Dicono la verità. Non andare all’altare domani. È il mio modo di ringraziarti.” Si voltò e si allontanò lentamente verso la casa accanto.

“Non una maestra, ma una strega,” pensò Beatrice. La seguì con lo sguardo, scosse la testa e tornò dalle amiche.

Il matrimonio fu sontuoso. Gli ospiti festeggiarono, ma la felicità non arrivò. Davide divenne irascibile, tornava tardi dal lavoro, con l’odore dell’alcol addosso. Beatrice si arrabbiava, litigava, provava a tacere – nulla cambiava. Lui spariva sempre più spesso. Dopo tre anni, si stancò di aspettare. Raccolse le sue cose, prese il gatto e tornò alla casa della nonna. L’odore delle erbe e il silenzio la accolsero.

Sopra la porta c’erano mazzetti di assenzio legati con lo spago. “Contro la malasorte,” spiegò Luigi, sorridendo timidamente. La sua casa ora era piena delle risate della nuova moglie e dei passi del loro figlioletto. Beatrice salutò i vicini ed entrò.

Quella sera, con una tazza di tè tra le mani, ricordò l’addio al nubilato e le parole di Rosaria. Allora le aveva ignorate, ma ora ci rifE quando il telefono vibrò di nuovo, con un messaggio di Alessandro che diceva “Ti aspetto davanti alla tua porta”, Beatrice sorrise e capì che la felicità, finalmente, era arrivata.

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