NON SONO RIUSCITA AD AMARE

—Ragazze, confessate, chi di voi è Lilia? — La sconosciuta ci fissò con uno sguardo indagatore e un sorriso furbo, mentre io e la mia amica ci scambiavamo occhiate confuse.

—Sono io, Lilia. Perché? — risposi, perplessa.

—Tieni. Una lettera. Da Davide. — La donna estrasse dalla tasca del suo camice una busta sgualcita e me la porse.

—Da Davide? Dov’è lui? — chiesi, il cuore già accelerato.

—L’hanno trasferito in una casa di riposo per adulti. Ti aspettava, Lilia, come la manna dal cielo. Si è consumato gli occhi a cercarti. Questa lettera me l’ha data per correggere gli errori, non voleva fare brutta figura. Beh, devo andare. È quasi ora di pranzo. Sono un’educatrice qui. — Mi lanciò un’occhiata di rimprovero, sospirò e sparì in un lampo.

…Avevamo solo sedici anni, io e Silvia, quando un pomeriggio d’estate, girando senza meta, ci ritrovammo nel cortile di un edificio sconosciuto. L’aria era dolce, i nostri cuori leggeri, desiderosi di avventure.

Ci sedemmo su una panchina di legno, ridendo e chiacchierando, quando all’improvviso due ragazzi si avvicinarono.

—Ciao, ragazze! Vi annoiate? Facciamo amicizia? — Il più coraggioso mi tese la mano. — Sono Davide.

Io risposi: —Lilia. Questa è la mia amica Silvia. E il tuo muto compagno, come si chiama?

—Lorenzo, — mormorò l’altro, con voce timida.

I ragazzi sembravano fuori dal tempo, troppo seri per la loro età. Davide, con tono severo, osservò:

—Perché indossate gonne così corte? E Silvia, quel décolleté è fin troppo audace.

—Mh, ragazzi, non guardate dove non dovete. Altrimenti gli occhi vi scapperanno in direzioni opposte, — scherzammo io e Silvia.

—È impossibile non guardare. Siamo uomini, no? E poi… fumate anche? — continuò Davide, inflessibile.

—Certo che fumiamo. Ma senza aspirare, — ridevamo, beffarde.

Fu allora che notammo qualcosa di strano nelle loro gambe.

Davide si muoveva a fatica, Lorenzo zoppicava vistosamente.

—Siete qui per cure? — ipotizzai.

—Sì. Io ho avuto un incidente in moto. Lorenzo è caduto male da una scogliera, — rispose Davide, come se recitasse una lezione. — Tra poco ci dimettono.

Io e Silvia credemmo alla loro “leggenda”. Non sapevamo ancora che Davide e Lorenzo erano disabili dall’infanzia, condannati a vivere in quell’istituto. Per loro, noi eravamo un soffio di libertà.

Vivevano lì, in quel posto chiuso al mondo, ognuno con una storia inventata: un incidente, una caduta, una rissa mai avvenuta…

Ma Davide e Lorenzo erano brillanti, colti, saggi oltre i loro anni.

Iniziammo a visitarli ogni settimana.

Primo, ci facevano pena, volevamo regalare loro un po’ di gioia. Secondo, avevano tanto da insegnarci.

Diventò un’abitudine.

Davide mi portava fiori strappati dalle aiuole, Lorenzo regalava a Silvia origami intricati, fatti con le sue stesse mani.

Poi ci sedevamo in quattro su quella panchina: Davide vicino a me, Lorenzo rivolto a Silvia, che arrossiva sotto la sua timida attenzione.

Eravamo complici di chiacchiere senza senso, risate che riscaldavano l’estate.

Poi arrivò l’autunno, con la sua pioggia e la scuola. L’anno finale, gli esami, il diploma. Io e Silvia ci dimenticammo di loro.

Fino al giorno in cui, per caso, tornammo lì.

Ci sedemmo, aspettando.

Nessuno venne.

Dopo due ore, una ragazza uscì dall’istituto e corse verso di noi.

Era lei a consegnarmi la lettera.

La lessi subito:

**”Lilia mia adorata! Sei il mio fiore più prezioso! La stella che non posso raggiungere! Forse non hai capito che mi sono innamorato di te al primo sguardo. I nostri incontri erano il mio respiro, la mia vita. Per sei mesi ho fissato quella finestra, sperando. Mi hai dimenticato. Che peccato! Le nostre strade sono diverse, ma ti ringrazio per avermi fatto provare l’amore vero. Ricordo la tua voce, il tuo sorriso, le tue mani. Senza di te, sto male. Vorrei vederti ancora, solo un istante… ma non ho più fiato.

Io e Lorenzo abbiamo compiuto 18 anni. In primavera ci trasferiranno. Dubito ci rivedremo. Il mio cuore è a pezzi. Forse un giorno guarirò da te.

Addio, amore mio.”**

Firmato: **”per sempre tuo, Davide”**.

Nella busta, un fiore essiccato.

Mi sentii morire dalla vergogna. Nulla potevo cambiare. Eppure, non avrei mai potuto amarlo. Per me era solo un amico, un compagno di chiacchiere. Forse l’avevo provocato, senza volerlo, alimentando il fuoco della sua passione.

Oggi sono passati decenni. La lettera è ingiallita, il fiore polvere. Ma ricordo ancora le nostre risate, le sue battute, la luce nei suoi occhi quando mi guardava.

…C’è un epilogo. Silvia si innamorò di Lorenzo, abbandonato dai genitori per la sua gamba più corta. Ora lavora in un istituto per disabili, e Lorenzo è suo marito. Hanno due figli.

Davide, invece, visse solo. A quarant’anni, sua madre lo riportò a casa, in un paesino tra le colline. Poi, di lui, si persero le tracce.

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