Perché mamma e papà non rimasero insieme, Giulia non lo seppe mai.
Aveva tre anni quando i genitori si separarono. Sua madre tornò con la piccola Giulia dalla città al paese natale.
“Tutto fatto in fretta,” commentò nonna Lina, aspettando la figlia e la nipote vicino al cancelletto. “Hai studiato, ti sei sposata, hai avuto una figlia, ti sei lasciata. Voi giovani fate tutto così in fretta…”
Si dice che una persona si giudichi non dalle parole, ma dai fatti.
Nonna Lina era una buona nonna. Il fatto che borbottasse e brontolasse, i familiari ormai ci erano abituati.
Ma che crespelle sapeva fare! E quante storie conosceva…
Giulia adorava quando era la nonna a metterla a letto. Si sedeva sul bordo del materasso, sistemava la coperta e iniziava a raccontare con calma una nuova fiaba.
Certo, ogni bambino, oltre alle storie, vuole attenzioni e tenerezze. Ma la nonna Lina non amava i “morbidini”. Baciare prima di dormire, abbracciare, dire “ti voglio bene” — non faceva parte di lei.
La madre di Giulia aveva preso alla lettera il modo di relazionarsi della nonna.
A volte Giulia si chiedeva: forse non mi amano, e per questo non mi abbracciano?
Ma una volta Giulia si ammalò, e per tre giorni non migliorò, mentre l’ambulanza tardava ad arrivare. Nonna Lina rimase accanto a lei giorno e notte. La madre non c’era, era via per qualche motivo.
Se ci ripensava, Giulia aveva passato più tempo con la nonna che con la madre.
“Quando torna mamma?” chiedeva sempre alla nonna.
“Quando sistemerà la sua vita, allora tornerà,” rispondeva nonna Lina.
Cos’era “sistemare la sua vita”, la piccola Giulia non lo capiva bene. Ma non osava chiedere ulteriori spiegazioni.
Tuttavia, quando i viaggi della madre diventarono sempre più rari e poi cessarono del tutto, Giulia pensò: “Finalmente ha ‘sistemato’. Ora è con noi per sempre.”
Peccato che camminasse sempre triste. E sembrava non notare Giulia, persa nei suoi pensieri.
Poi la madre si ammalò. All’inizio pensarono non fosse nulla di grave, che sarebbe passato.
Smise di mangiare, cercava di stendersi appena poteva. Ma non dormiva, rimaneva sdraiata con gli occhi chiusi.
“Dovresti andare in città, farti vedere da un bravo medico, fare le analisi,” disse una vicina, chiamata da nonna Lina.
“Non andrò da nessuna parte,” rispose la madre, che fino a quel momento era rimasta in silenzio.
Giulia capì quanto quelle poche parole le fossero costate.
Una settimana dopo, la madre peggiorò. Dovettero portarla in ospedale, in ambulanza. Giulia non sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista…
E rimasero solo lei e nonna Lina.
Giulia ricordava a malapena quei giorni. Tutto sembrava un brutto sogno. La nonna che piangeva e invecchiava in un attimo… Le cose della madre che Giulia portava con sé a letto. Si copriva con il suo accappatoio caldo, stringendosi a petto i guanti che profumavano ancora del suo profumo.
“Magari sparissi anch’io,” sospirava nonna Lina. “Che disgrazia… E tu su chi rimani?”
Per la prima volta, la nonna accarezzò Giulia sulla testa con la sua mano rugosa e affaticata. La bambina aveva paura di muoversi, nel caso la nonna avesse ritirato la mano.
A poco a poco, si ripresero…
Giulia andava a scuola, poi aiutava in casa, faceva i compiti. I giorni si susseguivano, tutti uguali.
Solo più tardi la bambina capì quanto fosse stata felice allora. Nonna Lina si prendeva cura di lei, cercando di sostituirle madre e padre.
…Quindici anni non sono l’età migliore per rimanere soli al mondo. Ma il destino volle così.
Un giorno, nonna Lina si addormentò e non si svegliò più. Se ne andò in silenzio, nel sonno.
Giulia non riuscì nemmeno a piangere al funerale della nonna. Dentro di sé sentiva solo vuoto e disperazione.
La portarono in un orfanotrofio.
Dopo qualche giorno, la chiamarono dall’ufficio del direttore.
“Giulia, abbiamo trovato tuo padre. Verrà a prenderti oggi. Prepara le tue cose.”
“Ma io non lo conosco…”
Andare via con un uomo sconosciuto? Chiamarlo “papà”? Non era pronta.
“Lo conoscerai. Dovresti essere felice che tuo padre si sia fatto vivo. E che non ti abbia abbandonata. Poteva andare diversamente.”
…
“Ciao,” disse l’uomo alto, chiaramente a disagio nel vedere la figlia che ricordava appena.
Se pure la ricordava…
“Andiamo,” prese la borsa con le cose di Giulia e si avviò verso l’uscita.
La ragazza rimase immobile, incapace di muoversi.
“Non aver paura, sono nervoso anch’io,” fece un timido sorriso e le strizzò l’occhio.
“Che tipo strano,” pensò Giulia, seguendo il padre che non conosceva.
Per strada, rimasero in silenzio. Non sapevano cosa dirsi.
Sulla soglia dell’appartamento, li accolse una donna graziosa, ben truccata e vestita con eleganza. Un abito elegante, gioielli al collo e ai polsi.
“Questa è Laura, mia moglie,” disse il padre. “E questa è mia figlia, Giulia,” fece un cenno verso di lei.
“Molto piacere,” disse Laura, fissandola con uno sguardo severo.
“Mente,” pensò Giulia tra sé.
Entrò nella stanza, guardò intorno e rimase senza fiato!
Un tavolo apparecchiato con cura li aspettava! E l’intero appartamento era elegante, quasi un museo.
Quadri alle pareti, un tappeto bianco e soffice per terra, un televisore gigante, pesanti tende alle finestre!
…Giulia visse con il padre per una settimana, ma non lo chiamò mai “papà”. Non riusciva…
Laura si comportava come se Giulia non esistesse. Passava oreLaura si sdraiava a lungo a letto, si truccava con cura e beveva caffè, ignorando completamente la presenza di Giulia, finché un giorno la ragazza prese il vecchio baule di nonna Lina e, senza voltarsi, uscì dalla porta per non tornare mai più.