In un’aspettativa infinita, il tempo si fermava nel silenzio della casa.

Silvia camminava su e giù per il salotto, incapace di trovare pace. Era ormai il terzo giorno consecutivo che Luca tornava a casa tardi. Ieri sera era persino arrivato all’alba. Gli aveva rimproverato di non averla avvisata, di non averle nemmeno telefonato per tranquillizzarla. Avevano litigato. E ora eccola lì, a contare i passi, gli occhi fissi sull’orologio.

«Mi vuole bene, lo so. Ma almeno una telefonata. Prima o poi si sposerà. Dovrei abituarmi. Chissà che moglie troverà, chissà quante preoccupazioni in più. No, meglio non pensarci. È un uomo fatto, eppure… il cuore di una madre non smette di soffrire». Silvia non riusciva a frenare i suoi pensieri.

Una volta rideva delle madri troppo appiccicose con i figli grandi, e ora era diventata peggio di loro. Ogni ragazza che Luca le presentava, se mai lo faceva, le sembrava indegna di lui. Come tutte le madri, credeva che su una scelta così importante, quella di una sposa, suo figlio avrebbe dovuto chiederle consiglio. Lei sapeva meglio di chiunque altro cosa gli serviva. I pensieri si accavallavano, senza tregua. “Che torni, per l’amor del cielo”.

Il rumore della serratura la fece sobbalzare, anche se lo aspettava, in ascolto da ore. «Finalmente!» Corse verso l’ingresso, ma a metà strada si fermò, tornò in cucina e si sedette, le mani strette sul tavolo.

«Mamma, perché non dormi?» Luca era sulla soglia, lo sguardo stanco.
«Lo sai che mi preoccupo. Potevi chiamare», rispose con tono accusatorio.
«Mamma, sono adulto. Non devo rendere conto di ogni mio passo».
«Dove eri?» Silvia lo fissò, sfidante.
«Da Beatrice». La voce di Luca si fece improvvisamente dolce, più bassa.
«Un’altra ragazza, e immagino non l’ultima. Ma la madre ce l’hai solo una». Non riusciva a nascondere la gelosia.
«Un’altra? È l’unica, come te, mamma». Luca si avvicinò, le baciò la guancia. «E non parlarle male. Litigheremmo, e poi te ne pentiresti. E poi, come faccio a scegliere una sposa se non esco con nessuna? Sei tu che mi hai sempre detto di non sposare la prima che capita. O no?»
«È vero», ammise Silvia. «Quindi, ho capito bene? Hai già scelto la tua sposa?»

Luca si accucciò accanto a lei, cercando il suo sguardo. Il cuore di Silvia si riempì di tenerezza. Quanto assomigliava a suo padre! Gli stessi occhi, lo stesso sorriso.
«L’ho scelta, mamma». Abbassò la testa sulle sue ginocchia, come un bambino pentito.
«Allora presentamela», disse Silvia, più pacata.
«Certo, solo che…» Luca alzò lo sguardo.
«Che c’è? C’è qualcosa che non va in lei?» Silvia temeva che avrebbe portato a casa una sbandata, come quando da piccolo raccattava gattini e cagnolini randagi.

Avere pietà per gli animali era una cosa buona. Ma non poteva accoglierli tutti. Allora fingeva un’allergia, iniziava a starnutire. Luca li portava via, trovando loro una sistemazione. Non li abbandonava per strada. Ora non poteva più fingersi allergica. Non l’avrebbe bevuta.

Le parole le bruciavano sulla lingua, ma lo sguardo di Luca la fermò. Tacquero entrambi.
«Sta tutto bene, mamma. È bella e sa cucinare. A me piace, almeno. Ma non è sola».
«Ti sei innamorato di una donna sposata?»
Forse il terrore le si leggeva in volto, perché Luca subito aggiunse:
«No, certo. Ha un figlio. Ha cinque anni».
«Cinque?!» esclamò Silvia. «A quanti anni l’ha avuto?»
«Mamma, non gridare. Sì, è più grande di me».
«Capisco». Silvia sentì il fiato mancarle dalla rabbia.

Il suo bambino, il suo sole, per il quale avrebbe spostato le montagne, si era innamorato di una donna più grande, con un figlio!
«Che cosa capisci, mamma? Io la amo. Tutti hanno diritto a sbagliare. Lo dici sempre tu».
«Sì. Solo che certi errori durano una vita. E le ragazze giovani e libere non ti interessano più?» La voce di Silvia era tagliente.
«Ecco perché non te ne ho parlato, perché non te l’ho presentata. Sapevo che non mi avresti capito». Luca si alzò di scatto. «Ti ricordi quella collega alla quale un uomo aveva fatto un figlio e poi l’aveva abbandonata? Quanto la compativi. Dicevi che meritava di incontrare una brava persona, che sarebbe stato un padre per sua figlia. Perché questo bravo uomo deve essere un altro, e non tuo figlio?»
«Amore mio, l’amore passa. Anch’io amavo tuo padre più di ogni cosa, e lui ci ha lasciati per un’altra».
«Appunto, mamma. Non è detto che con una ragazza giovane e senza figli duri per sempre. Io amo Beatrice. E amo suo figlio. È un bambino fantastico. Se anche ti opponessi, non la lascerei. Hai capito? Basta così».
«Luca, ti ho cresciuto con il sogno che fossi felice…»
«Basta. È la mia vita, mamma. Se continui a intrometterti, me ne vado». Si voltò e sparì nella sua stanza.
«Figlio mio…»

La mattina dopo se ne andò al lavoro senza nemmeno fare colazione. Non si parlarono. Luca tornava tardi, si rinchiudeva in camera. Silvia non sapeva come sistemare quel rapporto incrinato.

Le sembrava ieri averlo cullato tra le braccia, cantargli le ninne nanne, medicargli i ginocchi sbucciati. E ora aveva una vita sua. Non era facile accettarlo.
«Luca, parliamone», provò un giorno.
«Ne parleremo quando sarai pronta ad ascoltarmi davvero».
«Deve amarla davvero. Se continui così, lo perderai», le disse la signora Bianchi, la più anziana alla fabbrica.

Silvia non resistette a lungo. Durante la pausa pranzo, si sfogò. Voleva conforto, consigli, solo un po’ di comprensione.
«So di aver sbagliato, ma non riuscivo a fermarmi…», disse, quasi in lacrime.
«Credevi che sarebbe rimasto attaccato alle tue gonne per sempre? Ha bisogno del tuo sostegno, non dei tuoi rimproveri. Tua suocera ti ha accettata subito?»
«No. Ma io ero più giovane di mio marito, e non avevo figli». Un singhiozzo le sfuggì.
«E trovava sempre qualcosa da ridire. Le madri sono così, gelose dei figli, mai contente delle loro scelte. Alcune si rassegnano e fanno pace con la nuora, altre dichiarano guerra. Non finisce mai bene. Tu hai sposato un uomo senza figli, ma l’hai cresciuto da sola».
«Luca me l’ha detto anche lui».
«Allora rassegnati. Non si sono ancora sposati. Torna a dormire a casa. Soffre anche lui. Aspetta che tu faccia il primo passo, che mostri comprensione. Vai a conoscere questa Beatrice, guarda che perla è. E smettila di piangere. Non sta andando in guerra, solo a sposarsi. Al cuore non si comanda».

Silvia si calmò poco a poco. Ormai erano tre settimane che vivevano come estSilvia prese un respiro profondo, decise di aprire il suo cuore e accogliere Beatrice e il piccolo Matteo nella loro famiglia, perché l’amore di un figlio valeva più di ogni orgoglio.

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