Nonna per un Giorno

Ero davanti allo specchio del bagno, il mascara tremava tra le mie dita. Non mi truccavo con tanta cura da sette anni, da quel maledetto happy hour dove avevo conosciuto Massimo. Se n’era andato un anno dopo la nascita di nostro figlio, lasciandoci l’appartamento come unico gesto di nobiltà.

La mano si diresse verso il solito lucidalabbra, ma all’ultimo istante afferrò il rossetto scarlatto. Era lì intatto da quando ero diventata semplicemente «la mamma di Gianni».

Il telefono vibrò sul bordo del lavandino, cadendo rumorosamente a terra. La mano con il pennello tremò, lasciando una striscia nera sulla tempia. Elena chiamava per la terza volta in un’ora.

«Ma ti decidi?» la sua voce risuonò seccata. «Dovevi passare a prendermi un’ora fa!»

Mordicchiai il labbro, osservando Gianni dalla porta socchiusa. Mio figlio era seduto davanti alla TV, circondato da un cerchio di corn flakes. Deglutii il groppo in gola.

«Devo trovare una babysitter. Subito.»

«Cosa?!» Elena sbuffò. «Avevi detto che era tutto sistemato!»

«La tata ha cancellato all’ultimo momento.»

Il silenzio dall’altra parte si fece minaccioso. Sapevo cosa pensava: «Ancora una volta, Laura non ce la fa». Cinque anni da sola con un bambino, e ancora non prevedevo queste situazioni.

«Mamma!» Gianni apparve sulla soglia, lasciando una scia di cereali. «Papà viene stasera?»

Un pugno allo stomaco. Quella domanda arrivava ogni venerdì, ma l’ex marito non faceva la fila per vedere nostro figlio. E nemmeno io insistevo più di tanto.

«No, tesoro» gli aggiustai il colletto. «Ma stasera viene la tata più brava del mondo!»

Il laptop mostrò una dozzina di annunci per «babysitter urgente». Il banner «Nonna a ore», con la foto di una vecchietta sorridente, sembrava una presa in giro. Mia madre viveva a Rimini da tre anni. I nostri rapporti erano tesi: io non volevo preoccuparla, lei mi accusava di essermi allontanata.

Cliccai sul banner e selezionai «Chiama».

Alle 19:03 precise, il campanello squarciò il silenzio del nostro appartamento.

La donna sulla soglia sembrava uscita da un manuale di economia domestica degli anni ’50. Alta, dritta, con un tailleur grigio e una camicia impeccabile. Un solo dettaglio insolito: una spilla a forma di civetta sull’occhiello.

«Avete ordinato una babysitter?» la sua voce era chiara, con una lieve raucedine, da chi è abituato a essere ascoltato.

Indietreggiai automaticamente, facendola entrare. Per la prima volta mi sentii un’ospite in casa mia, balbettando:

«Sì, ma… mi aspettavo…»

«Chi esattamente?» si voltò di scatto, la spilla luccicò sotto la luce del lampadario. Rimasi senza parole. Assomigliava poco alla nonnina sorridente della pubblicità.

Dietro di me, scalpitare di piedi nudi. Gianni fissò il suo tailleur:

«Sei la strega della casetta di marzapane? Quella del cartone?»

«Gianni!» lo schermai d’istinto.

La donna sbuffò. Si chinò e sorrise a mio figlio con inaspettata dolcezza.

«Osservatore. Ma oggi sono solo zia Valeria. La tua tata. Per questa sera.»

Si tolse la giacca con lo stesso gesto preciso di un chirurgo che si toglie i guanti dopo un’operazione, appoggiandola con cura all’attaccapanni. Osservò il soggiorno con uno sguardo professionale.

«Regole semplici. Voi uscite. Potete chiamare, ma solo per motivi gravi. Io mi occupo del bambino, e le vostre chiamate nervose non servono a nulla.»

Mordicchiai il labbro, guardandola passare un dito sullo scaffale, controllando la polvere.

«Avete referenze?»

Zia Valeria si voltò, e nei suoi occhi vidi qualcosa di vagamente familiare:

«Trentacinque anni come maestra d’asilo. Ho cresciuto generazioni di bambini. Il vostro Gianni è in mani sicure.»

* * *

La pioggia sferzava i vetri del bar, trasformando le luci della città in macchie sfocate. Ero in ritardo di venti minuti—il tempo necessario per convincermi che Gianni fosse al sicuro.

«Laura, finalmente!» Elena agitò una mano. Il suo smalto era perfetto—rosa pallido, senza una scheggiatura. «Ti abbiamo ordinato un tè verde.»

Sergio si alzò al mio arrivo, aggiustandosi gli occhiali goffamente. Ci vedevamo da due mesi. Era stato un invito di Elena, amico d’infanzia reduce da un divorzio complicato.

«Scusate il ritardo» appesi il cappotto bagnato. «Dovevo trovare una babysitter all’ultimo momento.»

Elena socchiuse gli occhi—quello sguardo che conoscevo dai tempi dell’università:

«Cosa è successo con la signora Marisa? Avevi detto che era prenotata per un mese.»

Afferrai lo zucchero, evitando il suo sguardo:

«Ha trovato un impegno migliore e ci ha lasciati.»

Sergio mi passò il latte con delicatezza—lo prendevo sempre nel tè.

«La nuova babysitter è affidabile?» chiese cautamente.

«Che importa?» interruppe Elena, agitando la forchetta. «Non lasci neppure tua suocera vicino a Gianni, e ora una sconosciuta…»

Il telefono vibrò nella tasca. Un messaggio vocale di Gianni:

«Mamma, la strega ha trovato la tua collana nella scatola con le cose di papà. Dice che ti fa male guardarla e per questo l’hai nascosta.»

Le dita serrarono il telefono. Quella collana me l’aveva regalata Massimo per l’anniversario. L’avevo davvero nascosta con le sue cose…

«Laura?» Sergio si avvicinò. «Che succede?»

Elena mi strappò il telefono:

«Ma che diavolo…» imprecò. «Questa babysitter fruga nei tuoi cassetti?!»

Arrivò un altro messaggio:

«E che ti fa male la schiena per la stanchezza. La strega ha detto che ti darà una pomata.»

Sergio si alzò di colpo, rovesciando il bicchiere:

«Ti riaccompagno a casa.»

«Aspetta» Elena mi afferrò il braccio. «Chi è questa…»

«Era un sito affidabile!» la voce mi si ruppe. Alcuni avventori si girarono. «Ma lei sa…» abbassai il tono, «sa cose che non può sapere. La schiena mi fa male davvero. E quella scatola era nell’angolo più remoto della dispensa.»

Silenzio. Persino Elena ammutolì.

Sergio parlò per primo:

«Andiamo. Tutti insieme.»

* * *

L’ascensore saliva con lentezza esasperante. Elena schioccaZia Valeria ci aspettava sulla porta, con un sorriso che sembrava sapere già tutto, e in quel momento capii che a volte il miracolo più grande è lasciarsi aiutare.

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