Maddalena stava alla finestra della cucina, una tazza di tè ormai freddo tra le mani, osservando i bambini giocare nel cortile. Ieri aveva firmato gli ultimi documenti per il divorzio, eppure oggi si sentiva più leggera che negli ultimi anni. Strano, perché ci si sarebbe aspettato l’opposto.
“Mamma, dov’è papà?” chiese Caterina, di dieci anni, entrando in cucina con il grembiule scolastico.
“Papà ora vive da un’altra parte, ricordi? Ne abbiamo parlato,” rispose Maddalena sommessamente, carezzando i capelli della figlia. “Domani verrà a prenderti per il weekend.”
“Perché non potete fare la pace? Giorgia Ferrari dice che i suoi genitori litigavano, ma poi hanno comprato una macchina nuova e hanno smesso.”
Maddalena sorrise con malinconia. Se solo fosse stato così semplice. Se solo fossero state solo le liti.
“Vieni a fare colazione, arriverai tardi a scuola.”
Caterina obbedì, sedendosi a tavola, ma continuava a pensare, mescolando distrattamente la marmellata nella fetta biscottata.
“Mamma, sei triste?”
“Solo un pochino. Ma sai una cosa? A volte le persone si lasciano non perché smettono di amarsi, ma perché stanno male insieme. Da soli, possono tornare ad essere felici.”
La figlia annuì, anche se Maddalena sapeva che a dieci anni non si poteva capire fino in fondo. Nemmeno lei ci era arrivata subito.
Non era iniziato ieri, né un anno fa. Probabilmente tutto era cominciato quando Roberto tornava a casa sempre più tardi, e lei trovava nei suoi taschini gli scontrini di locali dove non era mai stata. Allora Maddalena pensava fossero riunioni di lavoro. Roberto era un dirigente in un’azienda edile, gli incontri erano frequenti.
“Anche stasera fai tardi?” chiedeva lei mentre lui trangugiva in fretta il caffè, gli occhi fissi sul telefono.
“Sì. Stiamo per consegnare il progetto, è un periodo di fuoco. Non aspettarmi.”
“Magari nel weekend potremmo uscire da qualche parte? Caterina vorrebbe andare in campagna da tua mamma.”
“Nel weekend lavoro anche io. Scusami, Maddalè, ma è un momento così. Riposeremo dopo.”
Ma il “dopo” non arrivava mai. Maddalena si abituò a cenare da sola, a mettere a letto Caterina da sola, a guardare la televisione da sola. A volte le sembrava di essere vedova, non una donna sposata.
Le amiche la confortavano.
“Gli uomini oggi sono tutti così,” diceva Ottavia quando si vedevano al bar. “Lavoro, lavoro. Però portano a casa i soldi.”
“Soldi sì,” concordava Maddalena, “ma che me ne faccio? Viviamo come coinquilini in un appartamento condiviso.”
“Non hai pensato che potrebbe avere un’altra?” chiese con prudenza Lavinia.
“Ci ho pensato. Ma come scoprirlo? Chiederlo direttamente non posso, frugare nelle sue cose non voglio. E poi, quando troverebbe il tempo per una storia, se è sempre al lavoro?”
Lavinia tacque, carica di significato.
E a casa, Maddalena continuava ad aspettare. Aspettava che Roberto tornasse da lei, che tornassero a parlare come un tempo, che si interessasse di nuovo a lei, ai successi scolastici di Caterina, ai progetti comuni. Ma Roberto sembrava vivere in un mondo parallelo.
“Come va al lavoro?” chiedeva Maddalena quando finalmente rientrava.
“Normale,” rispondeva lui, senza staccare gli occhi dal telefono.
“Oggi Caterina aveva la recita scolastica. Ha recitato benissimo la sua poesia.”
“Ah, sì.”
“Roberto, mi stai ascoltando?”
“Ascolto, ascolto. Brava la nostra Caterina!”
Ma dal suo sguardo si capiva che non sentiva altro che i suoni del suo telefono.
A poco a poco, Maddalena smise di raccontargli i fatti suoi. A che pro, se tanto non ascoltava? Trovò un lavoro a tempo pieno invece che part-time, si iscrisse a un corso di inglese, usciva con le amiche. La vita pian piano migliorava, anche se restava incompleta, come se mancasse qualcosa di fondamentale.
“Mamma, perché papà non viene con me sul ghiaccio?” chiese una volta Caterina.
“Papà è occupato, stellina.”
“Ma prima veniva.”
“Prima non era così occupato.”
“E quando sarà meno occupato?”
Maddalena non sapeva cosa rispondere. Quando? Mai?
Quella sera decise di affrontare la questione. Aspettò che Caterina si addormentasse,mentre preparava la cena e apparecchiava. Roberto rientrò alle 22:30.
“Siediti a cena,” disse lei. “Dobbiamo parlare.”
“Di cosa?” Roberto si lasciò cadere su una sedia, ma il telefono non lo ripose.
“Lascia il telefono. Per favore.”
Con riluttanza, lo posò a faccia in giù.
“Roberto, cosa ci sta succedendo? Non viviamo, sopravviviamo. Tu entri, mangi, dormi e te ne vai. Non parliamo, non usciamo, non ti occupi nemmeno di nostra figlia.”
“Mad, io lavoro. Devo mantenere la famiglia.”
“Ma che famiglia! Ci sono io, ci sei tu, c’è Caterina, ma famiglia non siamo. Siamo tre persone separate che abitano nello stesso appartamento.”
“Non fare drammi. È solo un periodo lavorativo difficile. Sopporta ancora un po’.”
“Sopporto da tre anni. Per quanto ancora?”
Roberto sospirò, irritato.
“Mad, sono stanco. Possiamo parlarne un’altra volta?”
“Quando un’altra volta? Domani rientrerai tardi, anche dopodomani. Quando troveremo il momento?”
“Non so. Quando avrò un attimo.”
Il telefono vibrò. Roberto istintivamente vi tese la mano.
“Roberto!”
“Cosa? Ah, scusa.” Ma comunque gettò un’
E Marina, stringendo la mano di Sergio con gratitudine, sentì che la vera vita inizia quando si accetta che alcune storie devono finire per farne spazio a quelle autentiche.






