Ha citato in giudizio suo figlio e lo ha sfrattato dall’appartamento

**La Causa contro il Figlio e lo Sgombero dalla Casa**

Silvia si svegliò di soprassalto per il fracasso. Ancora. Qualcosa era caduto, rotto, frantumato. L’orologio segnava le sei e mezza del mattino. Domenica, per l’amor del cielo. L’unico giorno in cui avrebbe potuto dormire almeno fino alle otto.

—Mamma!— urlò Luca dalla cucina. —Dove hai messo la mia tazza? Hai spostato di nuovo tutto!

Cinquantadue anni. Si alzò dal letto, indossò la vestaglia. Nello specchio, il viso di una donna esausta, che non ricordava più l’ultima volta che aveva dormito bene. Capelli grigi con le radici sfiorite, occhiaie profonde. Quand’era invecchiata così?

—Arrivo, arrivo,— borbottò, trascinandosi verso la cucina.

Luca era in piedi in mezzo al caos. A terra, frammenti di un piatto, evidentemente quello che aveva scagliato nella sua ricerca della “sacra” tazza. Venticinque anni, un metro e ottanta, spalle larghe. Eppure si comportava come un bambino viziato.

—Ecco la tua tazza,— Silvia tirò fuori dalla credenza una tazza blu con la scritta “Miglior Figlio”.

L’aveva comprata anni prima, sette forse. Allora credeva ancora che si sarebbe ravveduto, trovato un lavoro, avrebbe iniziato a vivere come una persona normale. Ora quella scritta sembrava una beffa.

—Perché l’hai messa lì? Ho detto che deve restare sul tavolo!

—Luccio, ho lavato i piatti prima di dormire…

—Non Luccio! Luca! Quante volte te lo devo dire!

Le strappò la tazza di mano, ci versò i resti del tè freddo dalla teiera. Silvia guardò i cocci e pensò: ecco, di nuovo da pulire. Di nuovo un piatto da comprare. Di nuovo da sopportare.

—Mamma, cosa è successo?— apparve sulla porta Ginevra, minuta e fragile, in un pigiamino logoro. Diciannove anni, ma ne dimostrava sedici. Studiava pedagogia, sognava di lavorare con i bambini. Se avesse finito. Se avesse retto l’atmosfera di casa.

—Niente, tesoro. Si è rotto un piatto.

—Da solo, immagino,— sbuffò Luca. —Si è alzato e ha deciso di schiantarsi.

Ginevra prese la scopa e iniziò a raccogliere i cocci. Con un gesto abituale, come se piatti rotti al mattino fossero la normalità.

—Non toccare!— ringhiò Luca. —Non ti ho chiesto di pulire!

—E allora chi lo fa?— chiese piano Ginevra.

—Non è affar tuo!

Silvia sedette al tavolo, appoggiò la testa sulle mani. Dio, quanto ancora? Quante urla, litigi, questa… guerra in casa sua?

Dieci anni prima era morto Enrico. Suo marito, padre dei figli. Un infarto. O forse aveva semplicemente smesso di voler vivere in quel mondo pazzo. Allora Luca studiava ancora all’istituto tecnico. Ma dopo sei mesi aveva mollato. —Non mi piace—. Un lavoro in un negozio: due settimane. Licenziato perché il capo era “un imbecille”. Poi il cantiere: non faceva per lui. I colleghi “idioti”. L’autolavaggio: il proprietario “uno sfruttatore”. Anno dopo anno. Inizialmente Silvia sperava che trovasse la sua strada. Poi lo pregava di provare. Poi implorava. Poi si arrese.

E lui diventava sempre più aggressivo. Contro il mondo, la vita, lei e Ginevra. Ma soprattutto contro la madre. Era colpa sua se era un fallito. Se lei non l’aveva cresciuto bene. Se doveva mantenerlo, nutrirlo, vestirlo.

—Mamma, cosa c’è per colazione?— Luca si lasciò cadere su una sedia.

—Uova, porridge…

—Ancora porridge? Basta con questa robaccia! Compra dei cereali normali!

—Luca, li abbiamo comprati ieri. Li hai finiti in due giorni.

—Allora comprane altri!

—Con cosa? Lo stipendio arriva tra una settimana.

—Sono affari tuoi!

Silvia aprì il frigo. Mezza confezione di ricotta, tre uova, una fetta di pane. Una settimana fino alla paga. Ginevra cercava di mettere da parte qualcosa distribuendo volantini nei weekend. Dieci euro al giorno. Bastavano per il biglietto dell’autobus e il pranzo all’università.

—Posso fare le uova,— propose.

—Con il pancetta!

—Non c’è pancetta.

—Allora niente! Basta con questa miseria!

Si alzò, diede un calcio alla sedia, che cadde con un tonfo.

—Luca, basta,— sussurrò Ginevra.

—E tu non dirmi cosa fare!— si voltò verso la sorella. —Ti credi migliore di me? Con la tua università da sfigati?

—Non ho detto nulla…

—Sì, invece! Mi guardi come se fossi… come se fossi…

—Luca, calmati,— Silvia si frappose tra i due.

—E tu stai zitta! Avete rotto! Vivo come in galera! In questa tana maledetta!

—Nessuno ti tiene qui con la forza,— le sfuggì di bocca.

Luca si irrigidì. Si girò lentamente verso di lei.

—Cosa hai detto?

—Niente. Non ho detto niente.

—Hai detto che non mi trattengono? Stai insinuando che devo andarmene?

—Luca…

—Rispondi! Vuoi che me ne vada?

Silvia tacque. Eppure lo desiderava. Dio, quanto lo desiderava! Svegliarsi al mattino nel silenzio. Non sussultare a ogni rumore. Non camminare in punta di piedi nella propria casa.

—Stai zitta? Allora sappi che non me ne vado! Questa casa è anche mia! Sono registrato qui!

—L’appartamento è intestato a me,— disse piano Silvia.

—E allora? Sono tuo figlio! Ho i miei diritti!

—Hai dei doveri,— rispose, senza pensarci. —Sei un uomo adulto. Hai venticinque anni.

—Eccoci!— Luca sbatté un pugno sul tavolo. —Sono il figlio cattivo! Il parassita! Io…

—Urli ogni giorno!— Silvia sentì qualcosa rompersi dentro. —Non fai nulla! Vivi alle mie spalle e poi mi accusi!

—Zitta!

—No! Sono stanca! Capisci? Stanca! Ho cinquantadue anni, lavoro tutto il giorno per mantenere due figli adulti!

—Uno studia e aiuta,— intervenne Ginevra. —L’altro…

—Taci!— Luca fece un passo verso di lei.

—NON OSARE!— urlò Silvia. —Non alzare la voce con lei!

—E che mi fai? Chiami la polizia? Fallo! Non sarebbe la prima volta!

La polizia… Silvia l’aveva chiamata davvero. Tre volte in un anno. Arrivavano due agenti, chiedevano cosa fosse successo. Lei spiegava. Loro scuotevano la testa, parlavano con Luca. Lui diventava un angioletto— si scusava, prometteva di cambiare. Se ne andavano. Due giorni dopo, tutto ricominciava.

—Sai cosa?— disse Luca. —Basta rompermi! Vado a dormire!

Sbatté la porta della sua stanza. Silvia e Ginevra rimasero in cucina, tra cocci, una sedia rovesciata e una vita in frantumi.

—Mamma,— sussurrò Ginevra. —Non vuoi andare da zia Elena per un po’? Ti ha invitata…

E finalmente, dopo anni di tempesta, il sole tornò a splendere su quella casa, accarezzando le loro vite con la pace tanto agognata.

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