L’amore arrivò all’improvviso, ma qualcosa andò storto
Una sera, mentre tornava dal lavoro, Elisabetta stava attraversando come al solito un piccolo parco, quando da un cespuglio le rotolò tra i piedi un cucciolo minuscolo. Era paffuto e rotondo come una palla.
“Oh, ma da dove vieni, tesorino?” si stupì lei, chinandosi verso di lui.
Il cagnolino guaiva, scodinzolava con la sua codina minuscola e le ficcava il muso nelle scarpe da ginnastica. Lo prese in braccio, e lui la fissò con occhi così devoti e malinconici che non riuscì a lasciarlo lì.
Elisabetta arrivò a casa con il cucciolo tra le braccia, aprì la porta e lo posò per terra. Lui iniziò subito a esplorare la nuova dimora.
“E adesso cosa faccio con te? Non ho mai avuto un cane… oh, e poi devo pure trovarti un nome.” Rifletteva su come chiamarlo, senza nemmeno sapere che razza fosse o se sarebbe cresciuto grande o piccolo. Intanto lui continuava a curiosare. Decise di cercarlo, ma non lo vide subito.
“Ehi, dove ti sei cacciato? Ehi, Birillo!” chiamò, e lui sbucò da dietro il mobile del televisore. “Oh, allora sei Birillo! Hai risposto al nome, quindi per ora sarai Birillo, e se diventi grande, sarai Birbone.”
Il cucciolo aveva fame e piagnucolava. Elisabetta andò in cucina, e lui la seguì. Aprendo il frigorifero, non trovò nulla di adatto per nutrirlo.
“Devo almeno comprare del latte,” pensò. “Meglio ancora andare al negozio di animali, che è proprio di fronte a casa, e chiedere consiglio.” Si preparò in fretta.
“Allora, Birillo, vado a fare la spesa. Hai fame, torno presto, aspetta,” gli disse, agitando la mano prima di uscire e chiudendo con attenzione la porta. Anche lui voleva seguirla.
Al negozio di animali, Elisabetta si rivolse al commesso, spiegando la situazione.
“Non ho la minima idea di cosa dargli da mangiare. Mi sono presa una responsabilità enorme.”
“Nessun problema, ce la farai. Ora ti spiego tutto, e poi c’è anche internet per aiutarti.”
Tornò a casa con le borse piene di cibo per cuccioli, seguendo i consigli del negozio. Giorno dopo giorno, il piccolo cresceva, e lei imparava sempre di più su come accudirlo. Lo portava a passeggio al guinzaglio, temendo di perderlo.
“Birillo, no! Birillo, smettila!” gli ordinava.
La sua più grande preoccupazione era quando era al lavoro:
“Chissà cosa combinerà Birillo questa volta. Cosa avrà distrutto?”
Birillo diventò un grande Birbone. Non enorme, ma di taglia media, di un marrone lucido e a pelo corto. La vicina, Angelica, che aveva un pastore tedesco e conosceva bene le razze, le disse:
“Elisabetta, probabilmente è un incrocio tra labrador e chissà cosa, ma assomiglia a un labrador.”
“Be’, pazienza, è quello che è,” rispose lei sorridendo. “Non l’ho scelto io, ha scelto lui me.”
Passò un anno, e continuava a chiamarlo Birillo, tranne quando era severa: allora era Birbone. Era obbediente, eseguiva tutti i comandi. La mattina e la sera “portava a spasso” la padrona, come diceva lei scherzando.
“Birbone, per colpa tua non posso dormire neanche nei weekend. Mi svegli come un orologio. Eh, sì, sei la mia sveglia,” gli diceva, accarezzandogli la testa e la schiena.
Ma Birbone adorava i fine settimana, quando andavano insieme al parco vicino al lago, dove c’era un’area per cani. Lì si scatenava. Tornava a casa lentamente, a lingua penzoloni. Birillo era un amico fedele, la consolava nei momenti tristi e viceversa. Elisabetta ormai non riusciva più a immaginare la sua vita senza di lui.
Poco prima che Birillo la trovasse nel parco, aveva lasciato il suo ragazzo, Marco. Avevano vissuto insieme per un anno nel suo appartamento, litigando continuamente. Non riusciva a fargli seguire alcuna regola. Tornando dal lavoro, lasciava le scarpe in mezzo all’ingresso, la giacca appoggiata sul mobile. All’inizio, Elisabetta riordinava per lui, poi glielo fece notare.
“Marco, c’è un posto per ogni cosa. Metti la giacca nell’armadio e le scarpe al loro posto, non sono la tua domestica.”
“Ma che devo riordinare? Tanto domani le indosso di nuovo,” ribatteva lui.
Non aveva mai conosciuto nessuno così disordinato. Se si lavava i denti, il dentifricio era ovunque: sul lavandino, sullo specchio, perfino per terra. L’asciugamano non lo rimetteva mai a posto, i piatti sporchi li lasciava in giro. Non riuscì a cambiarlo, e dopo un’ennesima lite, lo cacciò di casa prima che la situazione peggiorasse. Era anche terribilmente geloso, la controllava, le chiedeva dove fosse stata e chi l’avesse chiamata.
L’appartamento di tre stanze in centro le era stato lasciato dalla nonna, che ormai stava male e i genitori l’avevano presa con loro per assisterla. Il nonno, Gregorio, un chirurgo, l’aveva ereditato prima, ma era morto giovane per un infarto.
Elisabetta lavorava in un ufficio vicino a casa, così non doveva fare molta strada per tornare da Birbone. Lui la aspettava sempre seduto davanti alla porta, paziente. Gli metteva il guinzaglio e uscivano. Comprava il cibo per lui durante la pausa pranzo, per non farlo aspettare troppo.
Gianluca entrò nella sua vita all’improvviso, quando non voleva alcuna relazione, ancora scottata dalla precedente. Ma, come si suol dire, l’amore arriva quando meno te l’aspetti, e il suo cuore si sciolse.
La storia con Gianluca iniziò vorticosamente. Lei aveva ventisei anni, lui trenta. Si innamorò e si sentì incredibilmente felice.
“Ma è possibile?” si chiedeva. “Niente litigi, niente interrogatori, tutto semplice e leggero.”
Gianluca non faceva scenate, parlava poco e con misura, e le faceva sorprese. Dopo qualche tempo, si sposarono. Ma c’era un dettaglio che la rattristava: il suo rapporto con Birbone.
Dopo il matrimonio, si pose il problema di dove vivere. Litigarono per la prima volta. Il suo appartamento era in centro, e affittandolo avrebbe potuto non lavorare. Quello di Gianluca era mediocre, ma con una ristrutturazione poteva andare bene.
“Facciamo dei lavori da te e trasferiamoci lì,” propose lei, ma lui fu irremovibile.
“Solo senza il cane. Non mi piacciono gli animali, e Birbone nemmeno.”
Elisabetta non capiva come si potesse non amarli. Birbone, peraltro, era del tutto indifferente a Gianluca. Naturalmente, non aveva intenzione di abbandonare il suo amico fedele. Dopo lunghe discussioni, decisero di restare nel suo appartamento. Lui però avvertì:
“Non contare su di me per occuparmi del tuo cane,” e lei non glielo chiese mai.
Ma un giorno dovette partire per tre giorni: sua cugina era morta in un incidente. Doveva aiutare la zia, sconvolta dal dolore. Anche i suoi genitori partirono, era la sorella di sua madre. Gianluca, a malincuore, accettò di badare a Birbone.





