Stavo per sposarlo, poi accadde l’impensabile

Quando mi chiedono come ci siamo conosciuti, sorrido sempre, perché sembra ancora una scena uscita da un film romantico.

Era un martedì pomeriggio di pioggia, e mi ero rifugiata in un piccolo caffè tranquillo vicino al mio ufficio. Laria profumava di cannella e chicchi di caffè. Ordinai un cappuccino e una fetta di torta di carote, e mentre aspettavo al mio tavolo, un uomo alto e dagli occhi gentili posò una tazza davanti a me.

«Ecco il tuo caffè macchiato», disse con calore.

Lo guardai, perplessa. «Ho ordinato un cappuccino.»

Lui sbirciò nella tazza, ridacchiò e si scusò. «Sembra che abbia rubato la bevanda di qualcun altro e probabilmente anche la sua torta.»

Quel piccolo equivoco si trasformò in una conversazione. Parlammo fino a quando il mio caffè diventò freddo. Si chiamava Davide. Era gentile, attento, e aveva quel raro modo di ascoltare che ti faceva sentire come lunica persona al mondo.

Da quel giorno, continuammo a vederci. Gli appuntamenti per un caffè divennero cene, le cene gite fuori porta, e in poco tempo, ogni giorno con lui sembrava una festa. Volevo sposarlo, presentarlo alla mia famiglia, condividere ogni alba e tramonto per il resto della mia vita.

Ma un anno prima del nostro matrimonio, la tragedia colpì.

Ricordo quella notte vividamente: una telefonata a mezzanotte che mi svegliò di soprassalto, il tremore nella voce del suo amico, londata di freddo che mi tolse il respiro. Davide era stato coinvolto in un grave incidente. Era sopravvissuto ma aveva perso luso delle gambe.

Per giorni, rimasi accanto al suo letto dospedale, tenendogli la mano mentre i macchinari emettevano lievi bip. Non mi importava della sedia a rotelle. Non mi importava dei cambiamenti. Ero solo grata che fosse vivo.

Ma il mondo sembrava vederla diversamente.

«Sei ancora giovane», mi disse mia madre una sera, con voce carica di preoccupazione. «Non buttare via il tuo futuro.»

«Potresti incontrare un uomo normale», aggiunse sottovoce. «Potresti avere figli, vivere felice»

Le sue parole fecero male, non perché non le importasse, ma perché non riusciva a vedere ciò che io sentivo. Ero già felice. Davide era sempre luomo che amavo la mia roccia, la mia verità. E non avevo intenzione di rinunciare alla vita che avevamo sognato insieme.

Arrivò il giorno del matrimonio. Tutto era perfetto: la musica, i fiori, laria fresca di primavera. Davide indossava una camicia bianca con le bretelle, bello come sempre. Io ero in un abito di pizzo bianco, gli occhi fissi nei suoi.

Ma lo sentivo gli sguardi, la pena negli occhi degli invitati. Mi guardavano e pensavano: *Poverina. Avrebbe potuto avere una vita diversa.*

Feriva. Ma quando Davide mi sorrise, nient’altro contava.

A metà ricevimento, dopo il nostro primo ballo lui che mi faceva volteggiare dalla sua sedia a rotelle con una grazia sorprendente Davide prese il microfono.

«Ho una sorpresa per te», disse, la voce tremante. «Spero tu sia pronta.»

Arricciai le sopracciglia, curiosa. Poi suo fratello uscì dalla folla, si avvicinò e gli offrì il braccio.

La stanza si ammutolì.

Davide afferrò il braccio del fratello e, con sforzo visibile, cominciò ad alzarsi. Lentamente, barcollando, si mise in piedi. Il respiro mi si bloccò in gola. Esitò un attimo, poi fece un passo. E poi un altro. I suoi occhi non lasciarono mai i miei.

Ogni persona nella stanza era paralizzata dallincredulità.

«Avevo promesso che lavrei fatto per te», sussurrò quando mi raggiunse, con lacrime che luccicavano nei suoi occhi. «Solo una volta sulle mie gambe. Perché tu hai creduto in me quando nessun altro lo ha fatto.»

In quel momento, la pietà nella stanza svanì, sostituita da stupore e amore. La gente piangeva apertamente. Le mie lacrime mi annebbiavano la vista mentre mi inginocchiavo e lo abbracciavo più forte che mai.

Quel giorno mi insegnò qualcosa che non dimenticherò mai: i miracoli esistono. E a volte, i più grandi non accadono in gesti eclatanti, ma nelle promesse silenziose mantenute tutto perché lamore si è rifiutato di arrendersi.

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