E a me che importa!” Sfogò Svetlana agitando le braccia. “Mamma, ma quanto ancora dobbiamo sopportare? Le mie amiche ridono di me!

7 ottobre 2023

“Che me ne frega!” Beatrice attraversò la stanza agitando le braccia. “Mamma, ma quanto dobbiamo ancora sopportare? Le mie amiche già ridono di me!”

“Mamma, ancora perde! Ancora!” urlò Bea, uscendo dal bagno con i capelli bagnati e un asciugamano in mano. “Te lavevo detto che cera qualcosa che non andava in questo appartamento!”

“Parla piano! I vicini ti sentono!” sibilò Anna Maria, lasciando cadere lo straccio e correndo verso la figlia. “Dove perde esattamente?”

“Dappertutto! Dal rubinetto, dalla doccia, cè addirittura una pozza sotto il lavandino!” Bea agitò le braccia, spruzzando acqua nel corridoio. “Te lavevo detto! Non avremmo mai dovuto prendere questo rudere!”

Anna Maria entrò in silenzio in bagno, osservò lacqua che si espandeva sul pavimento e si sedette pesantemente sullo sgabello. Un mese prima si erano trasferite in questo bilocale in centro a Milano, vendendo la loro casetta in periferia. Sembrava che la vita finalmente si sistemasse: vicino al lavoro, ai negozi, allospedale. E invece

“Mamma, che fai seduta? Dobbiamo fare qualcosa!” Bea rimase sulla porta, avvolta nella vestaglia.

“E cosa vuoi che faccia?” disse stancamente Anna Maria. “Chiamare lidraulico? A nostre spese di nuovo? È la terza volta questo mese.”

“Allora forse dovremmo parlare con la padrona di casa! Che paghi lei, è il suo appartamento!”

“Ci ho già parlato. Dice che è colpa nostra, che usiamo male i rubinetti. Ma come si fa a usare male un rubinetto?” Anna Maria si alzò e iniziò a raccogliere lacqua con lo straccio. “Vai a fare colazione, sennò fai tardi al lavoro.”

“Che colazione? Il fornello non funziona di nuovo!” sbuffò Bea. “Ieri sera ho fatto fatica a cucinare la pasta, e oggi non si accende proprio.”

Anna Maria si limitò a sospirare. Il fornello era davvero malfunzionante dal primo giorno, ma la padrona, la signora Elisabetta, sosteneva che fosse perfettamente funzionante, solo che dovevano “abituarsi”. Abituarsi a cosa? Alle piastre che si accendevano a caso e al forno che decideva da solo se funzionare o meno.

“Va bene, vado da Giulia, le chiedo di farmi bollire lacqua per il caffè,” borbottò Bea, infilando i jeans.

“Non disturbare i vicini!” la fermò la madre. “Già abbiamo chiesto lolio ieri e il sale laltro ieri. Pensiamo già che siamo delle pezzenti.”

“E allora? Andiamo al lavoro digiune?”

Anna Maria guardò la figlia e sentì un groppo in gola. Perché avevano accettato questo trasloco? Nella loro casetta i problemi erano meno, e vivevano tranquille. Qui, invece, ogni giorno una sorpresa nuova.

Bea uscì di casa affamata e arrabbiata, mentre Anna Maria rimase a sistemare il disastro in bagno. Asciugò lacqua, provò a stringere i rubinetti, ma niente: un filo dacqua continuava a sgorgare.

Il telefono squillò proprio mentre stava per chiamare lidraulico.

“Anna Maria? Sono Elisabetta. Tutto bene? Nessun problema, spero.”

“Ecco, in realtà la rubinetteria perde di nuovo.”

“Di nuovo?” la interruppe la padrona. “Ma cosa fate nel mio appartamento? Ve lho detto di usare le cose con delicatezza!”

“Non facciamo niente di strano! Apriamo e chiudiamo i rubinetti normalmente.”

“E allora perché chiamate lidraulico ogni settimana? Forse avete rotto qualcosa? Avete fatto cadere qualcosa di pesante?”

Anna Maria strinse le labbra. Non avevano fatto cadere niente, semplicemente lappartamento non era in buone condizioni come la signora Elisabetta aveva fatto credere. Al momento della visita, tutto funzionava: lacqua, il gas, le prese elettriche. E ora? Sorprese ogni giorno.

“Elisabetta, potrebbe mandare un tecnico? Sarebbe meglio”

“Quale tecnico? La colpa è vostra! Vi avevo avvertito che gli impianti sono vecchi, vanno usati con attenzione!”

“Ma nel contratto cè scritto che tutto è a norma”

“A norma, a norma! Le vostre mani sono quelle sbagliate!” ringhiò Elisabetta, riattaccando in faccia.

Anna Maria posò lentamente il telefono e si guardò intorno. Lappartamento era davvero in centro, luminoso, con bei soffitti. Ma giorno dopo giorno diventava chiaro che la bellezza era solo apparenza. Gli impianti erano vecchi, le finestre non chiudevano bene, e la padrona non voleva sentir parlare di riparazioni.

A pranzo tornò Bea, cupa come una giornata di novembre.

“Allora? Sistemato qualcosa?” chiese, lasciando cadere la borsa.

“Figurati. La padrona dice che è colpa nostra.”

“Colpa nostra? Di cosa? Del fatto che il suo appartamento cade a pezzi?”

“Bea, non gridare. I muri sono sottili, i vicini sentono.”

“Che me ne frega!” Bea attraversò la stanza, agitando le braccia. “Mamma, ma quanto dobbiamo sopportare? Le mie amiche ridono di me! Dicono che vivo come una barbona: niente acqua, niente luce, niente gas!”

“Le tue amiche farebbero meglio a tacere,” borbottò Anna Maria. “I loro genitori hanno case di proprietà, non in affitto.”

“E noi perché non ne compriamo una?” propose improvvisamente Bea. “Con i soldi della casetta, più qualche risparmio”

“Quali soldi?” sbuffò la madre. “Abbiamo speso quasi tutto per la tua operazione.”

Bea tacque. Lintervento era costato caro, ed era proprio per questo che si erano trasferite vicino allospedale. Pensavano di affittare temporaneamente, durante la convalescenza. Invece erano finite in trappola.

“Forse possiamo cercare unaltra casa?” propose incerta Bea.

“Con cosa?” Anna Maria indicò i conti sul tavolo. “Guarda. Bollette, affitto, le tue medicine. A malapena arriviamo a fine mese.”

Bea sfogliò le fatture e fischiò.

“Cavolo! Non sapevo che costasse così tanto”

“Non dovevi saperlo. Sono affari miei.” Anna Maria raccolse le carte. “Ma ora capisci perché non possiamo permetterci di cambiare casa?”

La figlia annuì in silenzio. Poi chiese:

“Mamma, ti pent

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E a me che importa!” Sfogò Svetlana agitando le braccia. “Mamma, ma quanto ancora dobbiamo sopportare? Le mie amiche ridono di me!