Ho dedicato la mia vita ai miei figli, finché a 48 anni ho scoperto la vera felicità.

Ho passato la mia vita al servizio dei miei figli, fino a quando a 48 anni ho scoperto comè la vera vita.

Per tutta la mia esistenza, sono stata la serva dei miei figli, finché a quarantanni ho capito cosa significasse davvero vivere.

Ginevra era seduta sul vecchio divano del suo appartamento a Bologna, fissando la carta da parati scolorita che non aveva mai cambiato in ventanni. Le sue mani, segnate da anni di bucato, cucina e pulizie, riposavano inerti sulle ginocchia. Era madre di tre figli, una moglie che aveva sempre messo la famiglia al primo posto. Ma a quarantotto anni, improvvisamente realizzò: tutta la vita, non era stata né madre né moglie, ma una serva. Una serva nella sua stessa casa, dove i suoi desideri e i suoi sogni si erano sciolti in una routine senza fine.

I suoi figli Matteo, Chiara e Sofia erano il centro del suo universo. Dalla loro nascita, Ginevra aveva dimenticato cosa significasse pensare a se stessa. Si alzava alle cinque per preparare la colazione, vestirli per la scuola, controllare i compiti, lavare i loro vestiti, mentre i suoi abiti appassivano nellarmadio. Quando Matteo si era ammalato da bambino, aveva vegliato notti intere al suo capezzale, dimenticandosi del sonno. Quando Chiara aveva voluto fare danza, Ginevra aveva risparmiato su tutto per pagare le lezioni. Quando Sofia aveva sognato un nuovo telefono, aveva preso lavoretti per comprarglielo. Mai si era chiesta cosa volesse lei. Credeva che il suo ruolo fosse dare tutto, fino allultima goccia.

Suo marito, Marcello, non era da meno. Tornava dal lavoro, si piazzava davanti alla televisione e aspettava la cena come fosse scontato. «Sei una madre, è il tuo dovere», diceva quando Ginevra osava lamentarsi della stanchezza. Lei taceva, inghiottendo le lacrime, e continuava a girare come un criceto in gabbia. La sua vita si riduceva a una cosa sola: rendere felici gli altri, anche se riceveva in cambio solo briciole di attenzione. I figli crescevano, diventavano più indipendenti, ma le loro richieste non diminuivano. «Mamma, fammi qualcosa di buono», «Mamma, lavami i jeans», «Mamma, dammi soldi per il cinema». Ginevra obbediva, come un automa, senza accorgersi che la sua vita le stava sfuggendo.

A quarantotto anni, si sentiva unombra. Nello specchio vedeva una donna con occhi stanchi, capelli grigi che non aveva mai avuto tempo di tingere, mani ruvide per il lavoro. La sua amica, Beatrice, un giorno le aveva detto: «Ginevra, vivi per gli altri. Ma tu, dove sei?» Quelle parole lavevano colpita, ma aveva scrollato le spalle. Poteva fare diversamente? Era madre, era moglie, il suo dovere era occuparsi della famiglia. Eppure, nel profondo, una scintilla aveva cominciato a covareuna piccola luce che presto avrebbe cambiato tutto.

La svolta arrivò allimprovviso. Quel giorno, Chiara, ormai una giovane donna, commentò con nonchalance: «Mamma, hai rovinato di nuovo i miei vestiti in lavatrice!» Ginevra, che aveva passato la notte a stirare, si bloccò. Qualcosa dentro di lei cedette. Guardò sua figlia, i vestiti sparsi, la cucina piena di piatti sporchi, e capì: non ne poteva più. Non ne voleva più. Quella sera, non preparò la cena. Per la prima volta in ventanni, si chiuse in camera e piansenon di tristezza, ma perché aveva realizzato che la sua vita le era sfuggita.

Il giorno dopo, Ginevra fece ciò che non aveva mai osato: andò dal parrucchiere. Seduta sulla poltrona, guardò i suoi capelli spenti cadere sotto le forbici e sentì il peso del passato dissolversi. Si comprò un vestitoil primo da anni, senza chiedersi se sarebbe piaciuto alla famiglia. Si iscrisse a un corso di pittura, che aveva sognato da giovane ma abbandonato per gli altri. Ogni piccolo passo era come una boccata daria dopo anni sottacqua.

I figli rimasero stupiti. «Mamma, non cucini più?» chiese Matteo, abituato alla sua dedizione. «Sì, ma non sempre. Imparate a cavarvela», rispose Ginevra, la voce tremante tra paura e determinazione. Marcello borbottò, ma lei non aveva più paura del suo disappunto. Imparò a dire «no», e quella parola divenne la sua liberazione. Non aveva smesso di amare la famiglia, ma per la prima volta, mise se stessa al primo posto.

Un anno dopo, Ginevra vedeva il mondo diversamente. Dipingeva quadri che esponeva ai mercatini locali. Rideva più di quanto piangesse. Il suo appartamento a Bologna non era più un deposito per le cose degli altriera il suo spazio, dove fluttuavano odori di caffè e colori. I figli avevano cominciato ad aiutare, anche se allinizio avevano protestato. Marcello brontolava ancora, ma Ginevra sapeva una cosa: se non lavesse accettata per come era, sarebbe andata via. Non era più una serva. A quarantotto anni, si era finalmente ritrovata.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

11 + 18 =

Ho dedicato la mia vita ai miei figli, finché a 48 anni ho scoperto la vera felicità.