Il cane abbracciò il suo padrone un’ultima volta prima di essere addormentato, quando all’improvviso il veterinario gridò: “Fermatevi!”—quel che accadde dopo fece piangere tutti nella clinica.

La clinica veterinaria sembrava rimpicciolirsi a ogni respiro, come se le pareti stesse sentissero il peso del momento. Il soffitto basso premeva verso il basso, e sotto di esso, come un inno spettrale, le lampade al neon ronzavano la loro luce fredda e costante cadeva su tutto intorno, tingendo la realtà di sfumature di dolore e addio. L’aria era densa, carica di emozioni troppo pesanti per essere espresse a parole. In quella stanza, dove ogni suono sembrava un sacrilegio, regnava un silenzio profondo, quasi sacro, come la pausa prima di un ultimo respiro.

Sul tavolo di metallo, coperto da una vecchia coperta a quadri, giaceva Leo un tempo un possente Pastore dellEst Europa, un cane le cui zampe ricordavano le infinite pianure innevate, le cui orecchie avevano ascoltato il sussurro delle foreste primaverili e il mormorio di un ruscello che si risvegliava dopo un lungo inverno. Ricordava il calore dei falò, l’odore della pioggia sul pelo e la mano che trovava sempre la sua nuca, come per dire: “Sono qui con te.” Ma ora il suo corpo era fragile, il pelo opaco e irregolare, come se la natura stessa avesse ceduto alla malattia. Il suo respiro era rauco e irregolare, ogni inspirazione una battaglia contro un nemico invisibile, ogni espirazione un sussurro di addio.

Accanto a lui, piegato su se stesso, sedeva Luca l’uomo che lo aveva cresciuto fin da cucciolo. Le sue spalle erano incurvate, la schiena piegata, come se il dolore si fosse già insediato in lui prima che la morte arrivasse. La sua mano tremante ma gentile accarezzava lentamente le orecchie di Leo, come per memorizzare ogni linea, ogni curva, ogni ciuffo di pelo. Le lacrime gli rigavano gli occhi, calde e pesanti. Non cadevano, ma restavano sospese sulle ciglia, quasi temessero di infrangere la fragile quiete di quel momento. Nel suo sguardo cera un intero universo di dolore, amore, gratitudine e un rimpianto insopportabile.

“Sei stata la mia luce, Leo,” sussurrò, la voce appena udibile, come se temesse di svegliare la morte stessa. “Sei tu che mi hai insegnato la fedeltà. Che sei rimasto al mio fianco quando sono caduto. Che hai leccato le mie lacrime quando non riuscivo più a piangere. Perdonami per non averti protetto. Perdonami, se finisce così”

E allora, quasi in risposta, Leo debole, esausto, ma ancora pieno damore aprì gli occhi. Erano velati, come coperti da qualcosa tra la vita e laldilà. Ma cera ancora riconoscimento. Una scintilla ancora viva. Raccolse le ultime forze, sollevò la testa e premette il muso contro il palmo di Luca. Quel semplice gesto gli spezzò il cuore. Non era solo un contatto era un grido dellanima: “Sono ancora qui. Ti ricordo. Ti amo.”

Luca appoggiò la fronte sulla testa del cane, chiuse gli occhi, e in quellistante il mondo scomparve. Non cera più la clinica, né la malattia, né la paura. Cerano solo loro due due cuori che battevano allunisono, due esseri legati da un legame che né il tempo né la morte potevano spezzare. Gli anni vissuti insieme: lunghe passeggiate autunnali sotto la pioggia, notti dinverno nelle tende, serate estive vicino al fuoco, con Leo che vegliava sul sonno del suo padrone ai suoi piedi. Tutto gli passò davanti agli occhi come un film un ultimo dono della memoria.

Nellangolo della stanza stavano la veterinaria e linfermiera testimoni silenziosi. Lo avevano visto infinite volte. Ma il cuore non impara mai a essere resiliente. Linfermiera, una giovane donna dagli occhi dolci, si girò per nascondere le lacrime. Le asciugò con il dorso della mano, ma fu inutile. Nessuno può restare indifferente quando lamore lotta contro la fine.

E poi un miracolo. Leo tremò tutto, come se raccogliesse gli ultimi brandelli di vita. Lentamente, con uno sforzo sovrumano, sollevò le zampe anteriori. Tremanti, ma con una forza incredibile, le avvolse intorno al collo di Luca. Non era solo un gesto. Era un ultimo dono. Perdono, gratitudine, amore tutto in un unico movimento. Come per dire: “Grazie per essere stato il mio umano. Grazie per avermi mostrato cosè la casa.”

“Ti amo” sussurrò Luca, trattenendo i singhiozzi. “Ti amo, mio piccolo per sempre”

Sapeva che quel giorno sarebbe arrivato. Si era preparato aveva letto, pianto, pregato. Ma nulla poteva prepararlo a questo, a come ci si sente a perdere chi è parte della tua anima.

Leo respirava affannosamente, il petto che si sollevava a scatti, ma le zampe non mollavano la presa. Si rifiutava di lasciarlo andare.

La veterinaria, una donna giovane dagli occhi fermi e le mani tremanti, si avvicinò. Una siringa luccicava nella sua mano sottile, fredda come il ghiaccio. Il liquido trasparente allinterno sembrava innocuo, ma portava con sé la fine.

“Quando sei pronto” sussurrò dolcemente, come se temesse di spezzare quel fragile legame.

Luca alzò gli occhi su Leo. La sua voce tremava, ma ogni sillaba era piena damore il tipo damore che arriva una sola volta nella vita.

“Puoi riposare ora, mio eroe Sei stato coraggioso. Sei stato il migliore. Ti lascio andare con amore.”

Leo sospirò profondamente. La coda si mosse appena contro la coperta. La veterinaria sollevò la mano per iniettare il farmaco

ma allimprovviso si bloccò. Aggrottò le sopracciglia, si chinò, premette lo stetoscopio sul suo petto e smise di respirare lei stessa.

Silenzio. Persino il ronzio delle lampade sembrò svanire.

Si tirò indietro, lasciò cadere la siringa sul vassoio e si girò verso linfermiera.

“Termometro! Subito! E la sua cartella ora!”

“Ma hai detto che stava morendo” balbettò Luca, senza capire.

“Pensavo di sì,” rispose la veterinaria, senza distogliere lo sguardo da Leo. “Ma questo non è un collasso cardiaco. Non è un cedimento degli organi. Questo potrebbe essere uninfezione grave. Setticemia. La sua temperatura è vicina ai quaranta! Non sta morendo sta combattendo!”

Afferrò la sua zampa, controllò le gengive, poi si raddrizzò di colpo:

“Flebo! Antibiotici ad ampio spettro! Ora! Non aspettiamo gli esami!”

“Lui potrebbe salvarsi?” Luca strinse i pugni così forte che le nocche sbiancarono. Aveva paura perfino di sperare.

“Se siamo veloci sì,” disse con fermezza. “Non lo lasceremo andare. Non ancora.”

Luca aspettò nel corridoio, su una stretta panchina di legno dove altri sconosciuti con i loro dolori avevano un tempo atteso. Ora era solo. Il tempo si fermò. Ogni rumore proveniente dallaltra parte della porta passi, fogli che frusciavano, il tintinnio del vetro lo facevano sobbalzare, aspettandosi da un momento allaltro di sentire: “Mi dispiace non siamo riusciti a salvarlo.”

Chiuse gli occhi e vide le zampe di Leo avvolte intorno al suo collo. Vide i suoi occhi pieni damore

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