Ho preso in braccio Michele e abbiamo camminato sui gradini bagnati

Ero con Michele in braccia e ho messo piede sulle scale bagnate. Le piogge entravano dalla porta socchiusa del palazzo, bagnandomi i capelli. Fuori, le strade erano deserte. Nemmeno i cani si avventuravano con quel tempo. Sentivo il freddo penetrarmi negli abiti, ma non avevo un posto dove andare.

Ho vagato per ore per la città, con il bambino stretto a me. Alla fine, una vicina anziana, la signora Isabella, mi ha vista bagnata e tremante e mi ha invitata nel suo piccolo ma caldo appartamento. Mi ha dato un asciugamano, una tazza di tè e un lettino improvvisato per Michele. Quella notte ho pianto in silenzio, fissando il soffitto. Sapevo che qualcosa doveva cambiare.

I giorni seguenti furono duri. Cercavo lavoro, ma nessuno voleva assumere una madre single con un bambino piccolo. I soldi per il cibo scarseggiavano, e lumiliazione negli occhi di chi mi conosceva mi faceva più male della fame stessa. Riccardo e Sofia facevano finta che non esistessi. E io sentivo di essere svanita dalla loro vita come una macchia cancellata con una spugna.

Dopo una settimana, ho ricevuto una lettera ufficiale. Allinizio ho pensato fosse un avviso delle autorità, magari un debito di cui non sapevo. Ho aperto la busta con mani tremanti. Ma le parole scritte mi hanno cambiato la vita: *”Gentile signora Clara, la informiamo che è lunica erede del patrimonio della compianta signora Alessandra, sua zia lontana…”*

Lho riletta tre volte. Non potevo crederci. Alessandra, che avevo visto una sola volta da bambina, aveva lasciato tutto a me. Una villa imponente alla periferia della città, conti bancari consistenti e, soprattutto, azioni in una rispettabile azienda commerciale.

Sono andata subito dal notaio e, passo dopo passo, ho preso possesso delleredità. Per la prima volta dopo tanto tempo, sentivo che il sole splendeva anche per me. Ho comprato vestiti nuovi, ho dato a Michele tutto ciò che non aveva mai avuto: giocattoli, vestiti caldi, cibo buono. Ma soprattutto, gli ho dato sicurezza.

Gli anni sono passati. Ho imparato a gestire gli affari di mia zia e, con grande sorpresa di tutti, mi sono rivelata brava. Ho iniziato a investire con intelligenza, circondandomi di persone fidate. Piano piano, il mio nome è diventato noto nel mondo degli affari. Una donna forte, elegante, misteriosa. Nessuno si ricordava più dei giorni in cui ero stata cacciata sotto la pioggia.

Riccardo e Sofia, invece, non erano più al top. La loro azienda vacillava. Errori di gestione, decisioni scriteriate, partner persi tutto si accumulava come una palla di neve. Avevano cercato investitori, ma le porte si chiudevano in faccia.

Una mattina, ho ricevuto una chiamata dal mio avvocato:

*”Signora Clara, lazienda della famiglia Rossi è in vendita. Hanno grossi debiti. Se vuole, può partecipare allasta.”*

Il cuore mi è balzato in petto. Era il momento. Il destino mi stava servendo loccasione che avevo sognato quella notte, quando mi avevano cacciata con un bambino tra le braccia.

Sono andata allasta vestita con un tailleur elegante, i capelli raccolti in un perfetto chignon. Nessuno mi riconosceva. Avevo cambiato. Non ero più la donna disperata e umiliata di un tempo.

Quando è stato annunciato il nome del vincitore, i volti di Riccardo e Sofia sono impalliditi. Io, Clara, ero la nuova proprietaria della loro azienda. Non li ho neanche guardati. Ho solo firmato i documenti con un sorriso sereno.

Quella sera, Riccardo è venuto nel mio ufficio. Tremava, invecchiato, le spalle curve da preoccupazioni.

*”Clara ti prego non lasciarci per strada. Senza questa azienda, siamo finiti.”*

Lho guardato negli occhi. Era lo stesso uomo che mi aveva cacciata, che mi aveva detto che io e nostro figlio eravamo un peso. Ora mi chiedeva pietà.

*”Riccardo,”* ho risposto fredda, *”la vita è strana, no? Allora ti dissi che te ne saresti pentito. Ecco, il giorno è arrivato.”*

Anche Sofia ha provato a implorarmi. Le lacrime le scendevano sulle guance, ma io vedevo solo la donna che mi aveva spinta fuori sotto la pioggia, con un bambino spaventato tra le braccia.

*”Clara, abbiamo sbagliato. Ero arrabbiata, accecata dallorgoglio. Ti prego, abbi pietà!”*

Ho sorriso amaramente.

*”Pietà? Ne avete avuta voi, quando mi avete buttata fuori? Quando Michele piangeva e vi supplicava? Allora non vi importava.”*

Li ho lasciati andare a testa bassa. Lazienda era mia, e loro non avevano più niente.

Anni dopo, Michele è cresciuto diventando un giovane forte e intelligente. A volte gli raccontavo di quella notte di pioggia. Gli dicevo che non avrebbe mai dovuto perdere la dignità, neanche quando tutti gli voltavano le spalle.

E ogni volta che vedevo Riccardo per strada, con vestiti logori e occhi persi, sentivo una strana pace. Non per vendetta, ma per giustizia.

Perché quella notte di pioggia, anni prima, avevo giurato che un giorno si sarebbero pentiti. E così è stato.

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