Amore senza intimità

**Amore senza il diritto di vicinanza**

La dottoressa Elena Bianchi si accarezzò il camice bianco e lanciò un’occhiata all’orologio. Mancavano ancora quattro ore alla fine del turno, ma la stanchezza già si faceva sentire. Nel corridoio del reparto di neurologia regnava il solito trambusto — infermiere che sfrecciavano tra le stanze, parenti dei pazienti che chiacchieravano sottovoce negli angoli.

«Dottoressa Bianchi, ha una visita», annunciò una giovane infermiera, Martina, affacciandosi nello studio.

«Chi, precisamente?»

«Un parente del paziente nella stanza sette. Il signor Moretti, credo.»

Elena annuì e posò la cartella clinica che stava esaminando. Moretti. Quel nome fece accelerare il suo cuore, anche se cercava con tutte le forze di controllare le emozioni.

Nello studio entrò un uomo alto, sulla cinquantina, con i capelli grigi alle tempie e occhi castani stanchi. Andrea Moretti teneva in mano un sacchetto di frutta e sembrava preoccupato.

«Buongiorno, dottoressa. Come sta mia moglie?»

«Si sieda, prego», rispose Elena indicando la sedia davanti alla scrivania. «Le condizioni di Maria Rosa sono stabili. Sta rispondendo bene alla terapia.»

Andrea lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e si passò una mano tra i capelli.

«Grazie Dio. Ho passato una settimana di ansia. Quando è arrivato l’attacco, ho pensato di perderla per sempre.»

Elena lo guardò e sentì quel dolore familiare nel petto. Lo stesso dolore che si era insediato lì sei mesi prima e non le dava pace né di giorno né di notte.

«Andrea, sua moglie è una donna forte. L’ictus non è stato esteso, sta già recuperando la parola. Con le giuste cure, potrà tornare a una vita normale.»

«Grazie per tutto quello che fa», disse lui fissandola negli occhi. «So che si occupa più degli altri medici di Maria Rosa. Me l’ha detto lei stessa.»

Elena distolse lo sguardo. Era vero, dedicava più tempo a Maria Rosa che agli altri pazienti. Ma non per interesse professionale, bensì per quel senso di colpa che la rodeva dentro.

«È il mio lavoro. Ogni paziente merita attenzione.»

«Ma lo apprezzo lo stesso. Posso vederla?»

«Certo. Solo, non la stanchi con troppe chiacchiere.»

Andrea si alzò, ma esitò prima di uscire.

«Dottoressa, posso farle una domanda personale?»

Elena si irrigidì.

«Dimmi.»

«È sposata?»

La domanda rimase sospesa nell’aria. Lo guardò e capì che non era semplice curiosità. Nei suoi occhi c’era lo stesso sentimento che tormentava lei.

«No», rispose piano. «Non sono sposata.»

«Capisco. Scusa l’indiscrezione.»

Si avviò verso la porta, ma sulla soglia si voltò.

«Elena, volevo dirti… Se le circostanze fossero diverse…»

«Non farlo», lo interruppe lei. «Ti prego, no.»

Lui annuì e uscì. Elena rimase sola nello studio, sentendo le lacrime salirle agli occhi. Si avvicinò alla finestra, dove fuori scrosciava una pioggia primaverile.

Tutto era cominciato in ottobre, quando Maria Rosa è arrivata con il primo attacco. Allora era stato un lieve ictus, e si era ripresa in fretta. Ma suo marito Andrea veniva ogni giorno in ospedale, le portava cibo fatto in casa, le leggeva libri, le raccontava le novità.

Inizialmente, Elena aveva osservato quella idillio familiare con interesse professionale. Tanta dedizione era rara nella sua esperienza. Di solito i parenti facevano visite fugaci, e alcuni pazienti non ricevevano mai nessuno.

Ma col tempo si rese conto che aspettava l’arrivo di Andrea nel reparto. Che tendeva l’orecchio al suono della sua voce nei corridoi. Che trovava scuse per soffermarsi vicino alla stanza sette quando lui era lì.

E lui, a sua volta, sembrava notarla. Le faceva domande sulle cure di sua moglie, la ringraziava, talvolta scambiavano due parole su libri e film. Niente di inappropriato, solo normale conversazione tra esseri umani.

Ma i sentimenti non chiedono permesso. Arrivano e si insediano nel cuore, senza curarsi delle circostanze.

Maria Rosa fu dimessa dopo tre settimane. Elena pensò di non rivederli più e cercò di dimenticare quel strano turbamento che provava alla vista di Andrea.

Ma a febbraio, il secondo attacco. Più grave. Il pronto soccorso, Andrea pallido come un morto.

«Dottoressa, la salvi, la prego», la implorò mentre lei usciva dalla terapia intensiva dopo la visita. «È tutto per me. Siamo insieme da trent’anni.»

Trent’anni. Elena ripeté mentalmente quel numero. Trent’anni di matrimonio, ricordi condivisi, abitudini, amore. E lei? Un appartamento vuoto, il lavoro e un sentimento non corrisposto per un uomo sposato.

«Faremo il possibile», promise.

E lo fece davvero. Consultò colleghi, studiò nuove terapie, monitorò ogni cambiamento. Maria Rosa non era solo una paziente, era la moglie dell’uomo che Elena amava senza poterlo dire.

Un amore strano. Segreto, inespresso, condannato. Si incontravano solo in ospedale, solo per la salute di sua moglie. Parlavano solo di medicine. Ma tra le parole c’era altro, qualcosa che non potevano confessare.

«Elena», la voce di un’infermiera la riportò alla realtà. «La paziente della stanza sette la cerca.»

Sospirò e andò da Maria Rosa. La donna era a letto, intenta a sfogliare una rivista. Nonostante la malattia, aveva un’aria dolce. Capelli corti e grigi ben pettinati, un tocco di trucco sul viso.

«Dottoressa, venga, si sieda», disse posando la rivista. «Voglio parlarle.»

Elena si sentì in allarme. Nella voce della paziente c’era una sfumatura indecifrabile.

«Come si sente? Le fa male la testa?»

«No, tutto bene. Il linguaggio è quasi tornato, anche i movimenti. Presto potrò tornare a casa.»

«Fantastico. Significa che le cure funzionano.»

Maria Rosa la fissò intensamente.

«Dottoressa, posso dirle una cosa? Da donna a donna?»

Elena sentì un brivido lungo la schiena.

«Certo.»

«Lei è bella, intelligente, gentile. Perché è ancora sola?»

«Non è mai capitato. Il lavoro occupa molto tempo.»

«Capisco. E i figli? Ne avrebbe voluti?»

«Sì. Ma è tardi, ormai.»

Maria Rosa annuì comprensiva.

«Ho cinquantotto anni, dottoressa. Nella vita ho visto e capito tante cose. Soprattutto il cuore di una donna.»

Elena strinse le mani, pregustando il disagio.

«Maria Rosa, di cosa sta parlando?»

«Vedo come guarda mio marito. E come lui guarda lei.»

Silenzio. Elena avrebbe voluto negare, ribellarsi, ma le parole non uscivano.

«Non capisco.»

«Capisce. E sa una cosa? Non sono arrabbiata. Andrea è un brav’uomo, potrebbe piacere a chiunque.»

«Tra noi non c’è niente che vada oltre il rapporto professionale.»

«Lo so. E non ci sarà. Perché lei è una donna perbene, e lui un uomo perbene. Ma i sentimenti ci sono, vero?»

Elena abbassò lo sguardo. Negare era inutile.

«Ci sono», ammise a voce bassa.Elena chiuse gli occhi e sorrise tristemente, sapendo che il loro amore sarebbe rimasto per sempre sospeso tra il dovere e il desiderio, come una promessa mai pronunciata.

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