Due destini

**Due Destini**

Federica camminava per le strade di una città che non era la sua. La giovane donna era allo stremo, stringendo tra le dita un piccolo foglietto, l’ultimo barlume di speranza per il futuro. Era il secondo giorno che cercava lavoro, ma niente sembrava arrivare.

“Grazie, la ricontatteremo!”, le ripetevano i datori di lavoro, come una filastrocca imparata a memoria.

“Ma io non ho un telefono. Non sono di qui, e un cellulare è un lusso che non posso permettermi”, cercava di spiegare, invano.

“Signorina, ha compilato il modulo? Bene! Valuteremo la sua candidatura!”, rispondeva la ragazza dell’ufficio personale, con uno sguardo vuoto che la metteva a disagio.

*Cosa c’è che non va in me? Laurea con lode, inglese e francese fluentissimi… Cosa vogliono da me?*, si chiedeva Federica, disorientata.

La situazione era disperata. Se non avesse trovato lavoro entro quel giorno, sarebbe tornata a casa a mani vuote. Come avrebbe guardato negli occhi sua madre, malata, a cui aveva promesso che tutto sarebbe andato bene? Che avrebbe trovato un impiego e l’avrebbe aiutata? E poi, cosa avrebbe fatto nel suo paesino con quel diploma in mano?

“Buongiorno, sono qui per l’annuncio di lavoro”, disse con una voce debole, strozzata dalla paura. Sapeva che avrebbe dovuto sembrare sicura, ma il terrore di un altro rifiuto la paralizzava.

“Compili il modulo!”, le sbatté in faccia una bionda truccatissima, senza neanche alzare lo sguardo. “Grazie, la contatteremo!”, aggiunse dieci minuti dopo, meccanicamente.

“Ma… io non ho un telefono”, mormorò Federica, gli occhi lucidi.

La bionda la fissò come se fosse un’alienata.

“Questo è un suo problema. Non mi disturbi, per favore.”

Federica si alzò e si diresse verso l’uscita. La mente era vuota, l’ultima possibilità svanita come le altre. All’improvviso, la porta si spalancò ed entrò di corsa una donna elegante, bellissima.

“Valentina, i fornitori sono passati?”, chiese alla bionda.

“No, signora Antonella. Dovrebbero arrivare da un momento all’altro.”

“Lei chi è?”, domandò ad Federica, ma le parole le morirono in gola.

Le due si fissarono, come davanti a uno specchio. Federica rimase impietrita, incapace di parlare.

“È qui per il posto da segretaria. Le ho detto che valuteremo la sua candidatura, ma sembra non capire”, rise sarcastica la bionda.

“Venga con me”, disse improvvisamente Antonella, aprendo la porta di un ufficio lussuoso.

“Ma signora, i fornitori…”, protestò la segretaria.

“Perfetto! Aspettino. Valentina, faccia il suo lavoro!”, la zittì con un tono che non ammetteva repliche.

“Si accomodi”, disse Antonella con dolcezza. “Mi mostri i suoi documenti, le referenze…”

“Non ho referenze. Mi sono appena laureata”, rispose Federica, posando i fogli sul tavolo mentre studiava il suo sosia.

“Bene… È assunta. Quando può iniziare il tirocinio?”, chiese Antonella, distratta.

“Subito!”, esclamò Federica, sorridendo per la prima volta.

“Ottimo. Valentina le spiegherà tutto, poi la accompagnerà al ristorante. La aspetterà il direttore, Marco.”

Antonella uscì, diede ordini alla segretaria e si diresse verso l’uscita.

“E i fornitori?”, ricordò Valentina.

“Rimandi l’appuntamento. Oggi sono occupata.”

Appena salita in macchina, Antonella si coprì il volto con le mani. Era certa: Federica era sua sorella. La stessa che le appariva nei sogni da anni. Non aveva mai capito perché quella ragazza le tornasse in mente ogni notte, ma ora era chiaro. Erano gemelle. Non solo il viso identico, ma persino i nei nello stesso posto.

Decise di andare dalla madre. Doveva parlare con quella donna di ferro. Fin da piccola, Antonella aveva sentito che sua madre le era estranea. Emilia Rossi l’aveva avuta tardi, e del padre non si parlava mai.

Professoressa universitaria, donna di scienza, l’aveva cresciuta con rigidità. Antonella non aveva mai conosciuto l’amore materno, il calore di un abbraccio. Emilia era fredda, distante. *Ma oggi mi dirà la verità. Non sono più una bambina.*

“Che sorpresa”, disse la madre, asciutta. “Perché senza avvisare?”

“Volevo vederti. Come stai?”, chiese Antonella, cercando di essere dolce.

“Bene, grazie per l’interesse”, rispose Emilia, formale.

“Mamma, parlami di mia sorella.”, esplose Antonella. Doveva coglierla di sorpresa.

“Come fai a saperlo?!”, sbiancò la donna. “Chi te l’ha detto?”

*Non mi sbagliavo!*, pensò Antonella, il cuore in tumulto. Era felice: finalmente non era più sola.

“Ho dedicato la mia vita alla scienza, e quando ho deciso di avere un figlio… era troppo tardi”, confessò Emilia, gli occhi persi nel vuoto. “Tua madre fu portata al pronto soccorso. Una ragazza di paese, così giovane…” Chiuse gli occhi, riportata indietro di venticinque anni.

“Le fecero un cesareo. Fu doloroso vedere che un’altra poteva avere due figlie sane, mentre io…”

“Quindi mi hai rubata?”, chiese Antonella, trattenendo le lacrime.

“Non fu così semplice! Non immagini gli sforzi che ho fatto!”, sbottò Emilia. “Dimmi, chi ti ha parlato?”

“Nessuno…”, sussurrò Antonella. “Ho visto mia sorella. Siamo identiche. Mi è apparsa in sogno tutta la vita… Ora so perché.”

“Non puoi rimproverarmi! Ti ho dato tutto! Saresti stata solo una povera contadina, non la proprietaria di una catena di ristoranti!”, replicò Emilia, orgogliosa.

“Ma non mi hai dato l’amore! Mi hai cresciuto come un soldato! Perché mi hai strappata via?”

“Vattene! Ingrata!”, urlò la donna.

Antonella scappò in lacrime. Si sentiva smarrita, un bambino sperduto. Passò ore in un parco, incapace di reagire.

Più tardi, al ristorante, cercò Marco.

“È venuta Federica per il tirocinio?”

“Sì, signora Antonella. È in gamba. È una parente? Sembrate sorelle…”

“Mi dai i suoi dati?”

“Certo!” Marco tornò con un foglio. “Ecco l’indirizzo dove affitta una stanza. E la fotocopia del documento.”

Antonella non aspettò il giorno dopo. Bussò a una porta di una vecchia casa popolare.

“Chi è?”, sbottò una donna anziana, ubriaca.

“Federica, per favore.”

Dopo qualche minuto, apparve la ragazza, ancora assonnata.

“Che succede? Marco mi ha detto di tornare domani…”

“Possiamo parlare? È importante.”, disse Antonella, la voce rotta.

“Un attimo, mi vesto.”

Il dialogo fu doloroso. Antonella faticava a trovare le parole.

“Non ti sembriamo troppo simili?”, chiese piano.

“Ci ho pensato tutto il giorno…”, sorrise Federica.

“Siamo sorelle gemelle.”, riuscì a dire Antonella.

Silenzio. Federica la fissò, gli occhi pieni di lacrime.

“Come… come è possibile?”

“È possibile. Nostra madre non sa che ha avuto due figlie… Com’”E finalmente, dopo anni di silenzi e segreti, le due sorelle si ritrovarono tra le braccia della loro vera madre, pronti a ricostruire insieme la famiglia che il destino aveva cercato di dividere.”

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