**Festa senza Invito**
Gisella Moretti si provava davanti allo specchio il terzo vestito della sera quando dalla porta accanto iniziarono a risuonare le prime note di musica. Fece una smorfia, appoggiò la blusa azzurra e ascoltò attentamente. L’orologio segnava le sette e mezza—ancora presto per lamentarsi, anche se la vicina, la signorina Vera, di solito non organizzava feste chiassose.
«Forse è un compleanno», borbottò Gisella, infilando un cardigan grigio. «Anche se avrebbe potuto avvisare.»
La musica si fece più forte, accompagnata da risate e voci. Gisella si avvicinò al muro che divideva i due appartamenti e appoggiò l’orecchio con cautela. C’erano molte persone, certamente più di due o tre.
Qualcuno suonò alla porta. Gisella, ancora in vestaglia, sbirciò dallo spioncino. Sul pianerottolo c’era la vicina del piano di sotto, Luisa Mancini, con un’espressione tesa e cortese.
«Buonasera», iniziò lei, appena la porta si aprì. «Sa per caso cosa festeggia Vera questa sera? La musica si sente in tutto il palazzo.»
«Non ne ho idea», rispose Gisella. «Anche a me sembra strano. Di solito è così tranquilla.»
«E se per caso non ci fosse nemmeno lei?», sussurrò Luisa. «Se fossero estranei? In questi tempi…»
Le due donne si scambiarono un’occhiata. Vera viveva da sola, lavorava in biblioteca, conduceva una vita ordinata. Nessuno le aveva mai visto ospiti rumorosi.
«Andiamo insieme a controllare», propose Gisella. «Se c’è qualcosa che non va, chiamiamo la polizia.»
Salirono al piano superiore. La musica usciva direttamente da sotto la porta, mescolata a grida e risate fragorose. Gisella suonò il campanello.
La porta si aprì quasi subito. Sulla soglia c’era Vera, ma sembrava un’altra persona: capelli scomposti, guance arrossate, una coppa di qualcosa di frizzante in mano. Indossava un vestito rosso sgargiante che Gisella non le aveva mai visto.
«Oh!», esclamò Vera sorridendo. «Le mie care vicine! Entrate, entrate! Stiamo festeggiando!»
«Che festa, Vera?», chiese cauta Gisella, sbirciando oltre le spalle della vicina.
L’appartamento era pieno di gente. Almeno otto persone, forse di più. Uomini e donne di diverse età, tutti eleganti, con coppe in mano. Sul tavolo troneggiava una torta enorme, stuzzichini, bottiglie di spumante.
«Che importa!», agitò le mani Vera. «La vita è una festa! Venite, servitevi!»
«Vera, ma chi sono queste persone?», insistette Luisa. «Da dove vengono?»
«Amici!», annunciò allegra la padrona di casa. «Vecchi, cari amici! Ci siamo incontrati, siamo diventati amici, e ora festeggiamo!»
Dall’interno, una voce maschile chiamò: «Vera! Vieni qui! Stiamo per fare un brindisi!»
«Arrivo!», rispose lei. «Ragazze, davvero, entrate! O poi vengo io da voi a raccontarvi tutto!»
La porta si chiuse di colpo. Le due vicine rimasero sul pianerottolo, cercando di capire ciò che avevano visto.
«C’è qualcosa di strano», scosse la testa Luisa. «La nostra Vera con una compagnia del genere… E poi quei tipi sospetti. Uno sembrava un delinquente.»
«Forse si è innamorata?», ipotizzò Gisella. «Succede, no? L’amore cambia le persone.»
«A cinquantacinque anni? Ma per favore!»
Gisella avrebbe voluto obiettare che cinquantacinque non erano una condanna, ma la musica aumentò di volume, rendendo impossibile parlare.
Al mattino, Gisella si svegliò nel silenzio. Un silenzio insolito, metallico. Si era addormentata con la musica, che era durata fino alle tre di notte. Ora, dietro la parete, c’era un silenzio da tomba.
Mentre si preparava per il lavoro, incrociò Luisa nel palazzo.
«Beh, hai dormito?», disse lei con sarcasmo. «Io mi sono rigirata tutta la notte. E stamattina ho visto macchine di lusso davanti al portone. Adesso non ci sono più.»
«Saranno partiti gli ospiti.»
«Esatto. Ma chi erano? E cosa le è saltato in testa alla nostra Vera?»
Durante la pausa pranzo, Gisella entrò in un supermercato vicino all’ufficio. Alla cassa c’era una figura familiare: Vera, ma ora nel suo solito cappotto grigio e un foularetto scuro. Stava comprando pane, latte e una confezione di wurstel economici.
«Vera!», la chiamò Gisella. «Come va? Com’è andata la festa di ieri?»
Vera si voltò, e Gisella trasalì. Il viso della vicina era pallido, gli occhi rossi, come se avesse pianto tutta la notte.
«Quale festa?», chiese piano Vera.
«I tuoi ospiti, la musica, i festeggiamenti…»
«Ah, quello…», Vera si girò verso la cassa. «Si sono sbagliati. Entrati nell’appartamento sbagliato.»
«Come sbagliati? Tu stessa ci hai invitato!»
«Non ricordo», scosse la testa Vera. «Forse ti è sembrato.»
Pagò e uscì in fretta, lasciando Gisella perplessa.
Quella sera, Gisella non resistette e bussò alla porta di Vera. La vicina aprì dopo un po’, facendo scattare le serrature.
«Posso entrare?», chiese Gisella.
«Meglio di no», esitò Vera. «C’è disordine dopo… le pulizie.»
«Vera, cosa è successo? Sei strana oggi.»
Vera esitò, poi sussurrò: «Vieni.»
L’appartamento sembrava effettivamente teatro di una festa. Bicchieri di plastica ovunque, frammenti di una coppa rotta sul pavimento, avanzi di torta secca sul tavolo. Ma la cosa più strana era l’odore: profumi estranei, sigarette—Vera non fumava.
«Vera, cos’è successo qui?»
Vera crollò su una poltrona, prendendosi la testa tra le mani.
«Non so come spiegarlo. Ieri mattina sono andata in biblioteca, come sempre. Quando sono tornata… loro erano già qui.»
«Chi?»
«Gente. Sconosciuti. Seduti al mio tavolo, che mangiavano, bevevano, musica accesa. E un uomo, elegante, in giacca, mi si avvicina e dice: “Vera! Finalmente! L’abbiamo aspettata!”»
Gisella si sedette sul bordo del divano.
«E tu cosa hai fatto?»
«Cosa potevo fare? Ho pensato, forse ho dimenticato qualcosa, forse li avevo davvero invitati. L’età, sai… Erano così gentili, dicevano che volevano conoscermi, che avevano sentito tanto di me. Una donna elegante mi raccontava di aver lavorato in biblioteca, abbiamo trovato subito argomenti in comune.»
«Ma non li avevi mai visti prima?»
«Mai!», alzò le mani Vera. «Eppure… era come se mi conoscessero veramente. Mi chiedevano del lavoro, dei miei genitori, morti da anni. Si ricordavano persino del mio gatto Mimì, morto un anno fa.»
«Forse qualcuno gliene ha parlato?E mentre il campanello risuonava di nuovo quella sera, Vera sorrise sapendo che, qualunque cosa fossero quegli ospiti misteriosi, per la prima volta in anni non si sentiva più sola.