Maria guardò una volta ancora la villa padronale. Ogni angolo pareva immerso nella limpida luce del mattino toscano, come se rifiutasse di cedere il posto a un destino diverso. Le braccia tornite di Sofia e Giada brillavano come fili dorati al sole, Luca aveva rincalzato la camicia con cura maniacale. Nonna Rosina sedeva sull’altissimo divano di velluto rosso, le matassine di lana color prugna annodate al gomito. Alessio mi aveva chiamata ieri sera, con il suo solito timbro di voce impastato: “C’è una sorpresa, sai… una sorpresa che ho portato apposta per questo pranzo di compleanno.”
Il telefono lo aveva acceso solo al Consiglio Comunale, dove ieri aveva firmato l’ultimo contratto. Era quasi morta dal sollievo quando il fattore di Villa Selvaggia aveva bussato alla porta, urlando che avevano trovato qualcosa per lei. Certo, Alessio se n’era andato un anno prima, portandosi via i soldi del risparmio e la foto incorniciata del nonno sul camino. “In città ci sono davvero poche occasioni,” diceva, mentre preparava il valigie con le sue solite mani tremanti. “Ti spiegherò tutto a pranzo, vedrai…”
Nonna Rosina rise con quel suo risolino ascendente, tipo quando si guardano le galline che caccerellano. “E adesso che vai a costruirti? Una stanza piena di fantasmi?” Maria non rispose. Aveva svuotato i cassetti da anni, adesso le mancava solo l’odore di tabacco del padre per completare l’immagine. La sua villa era diventata mezza rovina, coi tetti coperti di mughetto e le finestre che gemevano al vento di mare. Ma c’era sempre la torre con le quattro stelle, alla fine del viale di cipressi. Lì si faceva la festa di San Giovanni ogni anno, e l’altra sera aveva visto una luce che brillava come un ago. Certo, magari era solo il fuoco d’artificio.
Alessio scese dall’automobile con un braccio che penzolava come un sughero smaltato. Accanto a lui c’era una donna alta, alta quasi quanto lui, con occhi verdi e brillanti, tipo il mare di Procida in agosto. Maria sentì qualcosa romparsi dentro, come una damigiana d’olio vecchia. “Buongiorno,” disse la donna, inginocchiandosi a raccogliere i documenti che cadevano. “Parlate inglese? Perfetto, allora non dobbiamo parlare.”
La vecchia matrona scattò in piedi, tanto che il braccio di Maria quasi si staccò. “Sei un vigliacco, Alessio! Lascia stare quelle donne, hai una famiglia!” Ma la sera stessa, quando i fasci di luce delle automobili avevano toccato le tegole, la notizia aveva iniziato a correre. Qualcuno sentì che la vendita aveva già concluso.
Ancora una volta, Maria si ritrovò ad annodare i nodi delle valigie. Questa volta non ci stavano le foto con il papà, né le figurine degli anni Novanta. C’era solo un bauletto di piastrelle antiche, dono del nonno. Gli zii Patrizia e Giuseppe stavano offrendole un angolo del loro palazzo a Pisa, dove vivevano con i loro tre cani. “Basta che ti siedi al piano di sopra,” aveva detto Pallina, la figlia di Patrizia, con quel suo sorriso strano da vampira.
Anni dopo, una sera di primavera, Maria si sedette al tavolo di Villa Elena. La cornice dorata sospesa al soffitto faceva tremolare lo champagne su bicchieri di cristallo. Tutti parlavano del nuovo proprietario della villa del nonno, un uomo straniero che aveva comprato la proprietà e aveva chiuso con gli affari in Sicilia. “Si chiama Vincenzo,” disse qualcuno, “è il figlio di un calzolaio improvvisamente ricco.”
Era stato lui a chiamarla la sera prima. Così sconnesso, con una voce da ubriaco, dicendo che aveva un regalo per lei. Maria non rispose né sorrise. Sapeva che la villa non era più sua, ma la sua vita si era fatta più leggera. Sorrise al figlio Luca, che dormiva ancora nei pressi del camino con un thermos di the. “Ci ha abituato,” disse, bevendo l’ultimo sorso del suo espresso. “Ad abitare insieme alle ombre.”
La finestra si aprì improvvisamente. Il vento di mare sporse le braccia, afferrò i tappeti e le foto, esponendole al sole. Maria rise, e tutti risero con lei. Era passato tanto tempo, ma c’era qualcosa di familiare in quella risata, tipo il suono del fiasco che si rompe vicino alla fontana.