Nonna ha scelto la parte sbagliata
Lidia Rossi si affacciò alla finestra e osservò i bambini giocare nel cortile. Una bambina con le trecce le ricordò la sua nipotina Annina, che non vedeva da sei mesi. Eppure avrebbe potuto vederla ogni giorno.
“Lidia, perché sei così triste?” le chiese la vicina Valeria, con una tazza di caffè in mano. “Stai pensando di nuovo ai nipotini?”
“Sì, mi vengono tanti pensieri,” sospirò Lidia. “Guardo quei bambini e penso che potrei essere qui a raccontare storie ad Annina.”
“Ma perché tormentarti? Hai fatto una scelta, ora devi conviverci.”
Valeria aveva ragione. La scelta c’era stata, e Lidia l’aveva fatta. Peccato che le conseguenze non fossero affatto quelle che si aspettava.
Tutto era iniziato con la malattia di suo marito. Grave, i medici avevano detto che serviva assistenza continua. Lidia aveva lasciato il lavoro, si era trasformata in un’infermiera. Per un anno e mezzo non si era allontanata da Luca neanche un momento. Lo imboccava, lo aiutava a girarsi, lo lavava, gli leggeva il giornale.
In tutto quel tempo, il figlio maggiore, Matteo, era venuto tre volte, non di più. Sempre troppo lavoro, troppi impegni. Il figlio minore, invece, Andrea, passava spesso. Lo aiutava con le medicine, la spesa, gli dava qualche soldo. La moglie di Andrea, Simona, era una ragazza per bene – a volte portava una pasta al forno, altre le offriva di lavare il bucato.
“Mamma, perché non portiamo papà in una clinica?” propose Matteo durante una delle sue rare visite. “Lì avrebbe assistenza, e tu potresti riposare.”
“Ma come, in clinica?” si indignò Lidia. “Senza di me sarebbe perso. Abbiamo passato quarant’anni insieme, e ora dovrei abbandonarlo?”
“Non abbandonarlo, garantirgli cure migliori.”
“Le cure migliori sono a casa, con la famiglia.”
Matteo scrollò le spalle e se ne andò. Andrea, invece, continuò ad aiutare. Portava anche la moglie e la figlia, così il nonno poteva vedere la nipotina.
Quando Luca morì, Lidia rimase completamente sola. La casa le sembrava enorme e vuota. Ogni angolo le ricordava il marito, ogni oggetto le spezzava il cuore.
“Mamma, vieni a vivere con noi,” propose Andrea al funerale. “Perché rimanere qui da sola?”
“Non lo so…” rispose Lidia incerta. “Sono abituata qui.”
“Mamma, da noi non c’è molto spazio,” intervenne Matteo. “Andrea ha un appartamento più grande, per loro è più facile.”
“Troveremo il modo,” disse Andrea deciso. “L’importante è che mamma non resti sola.”
Lidia guardò i figli e rifletté. Matteo era di successo: un trilocale in centro, soldi da spendere. Andrea viveva più modestamente, un bilocale in periferia, uno stipendio normale. Ma aveva un cuore buono, questo era certo.
“Ci penserò,” disse alla fine.
Ci pensò a lungo. Matteo passava di rado, ma portava sempre cibi costosi, medicine straniere. Parlava di quanto sarebbe stato bello per lei vivere nel suo quartiere – la farmacia lì vicino, i negozi, il parco per le passeggiate.
“Mamma, sono il figlio maggiore,” diceva. “Per tradizione i genitori vivono con il primogenito.”
Andrea, invece, si presentava e aiutava. Sistemava una lampadina, portava la spesa, a volte si sedeva solo a chiacchierare. Simona preparava dolci, Annina disegnava regali per lei.
“Nonna, quando vieni a vivere da noi?” chiedeva la nipotina, abbracciandola. “Ti faccio vedere la mia stanza. Ho una casa delle bambole, potremo giocare insieme!”
“Presto, tesoro, presto,” rispondeva Lidia, ma non riusciva mai a decidere.
La decisione arrivò all’improvviso. Matteo si presentò una sera, ma non da solo: con la moglie, Roberta. Si sedettero in cucina, e Roberta iniziò a raccontare quanto sarebbe stato meraviglioso vivere tutti insieme.
“Lidia, capisci che Matteo può garantirti la migliore assistenza,” disse, con un sorriso forzato. “Avrai una stanza tutta tua, mangerai bene. E da Andrea? Tre persone in un bilocale?”
“Non siamo stretti,” replicò Lidia. “Stanno benissimo.”
“Ma suvvia. Sono brava gente, certo. Ma le possibilità sono diverse. Guarda,” Roberta estrasse un foglietto, “ho già trovato un cardiologo privato. Il migliore della città. Matteo può permetterselo.”
Lidia prese il foglietto. C’era scritto un nome e un numero.
“Con lo stipendio di Andrea non potresti mai permettertelo,” continuò Roberta. “Sono cento euro a visita.”
“Così tanti?” si stupì Lidia.
“Certo. Le cure di qualità costano. E poi, pensa al futuro. Se dovesse succederti qualcosa… Matteo ha i mezzi per aiutarti.”
Matteo annuiva in silenzio.
“E poi,” aggiunse Roberta, “noi non siamo estranei. So che con Simona vai d’accordo, ma… chi ti dice che domani non litighino? Se dovessero divorziare, cosa faresti? Noi con Matteo siamo insieme da vent’anni, siamo una famiglia solida.”
Dopo che se ne furono andati, Lidia rimise a lungo in cucina, fissando il foglietto del medico. Cento euro a visita. La sua pensione era di mille al mese. Praticamente, un medico costava quasi un decimo del suo stipendio.
E Roberta aveva ragione. Matteo poteva permetterselo. Lavorava in proprio, aveva una bella macchina, casa in centro. Andrea faceva l’operaio in fabbrica, guadagnava poco. Se si fosse ammalata seriamente, cosa avrebbe potuto fare lui?
Quella sera, arrivò Andrea con Simona e Annina.
“Allora, mamma, hai deciso?” chiese, mettendo la bambina sul divano. “Quando fai le valigie?”
“Andrea, ho pensato…” esitò Lidia.
“A cosa?”
“Forse dovrei andare da Matteo.”
Un silenzio pesante. Andrea si irrigidì, Simona arrossì. Annina guardava gli adulti senza capire.
“Capisco,” disse Andrea a bassa voce. “Posso sapere perché?”
Lidia si sentì in colpa, ma ormai aveva parlato.
“Beh… ha più spazio. Casa più grande, quartiere migliore.”
“Ah, lo spazio,” ripeté Andrea. “E il fatto che abbiamo passato un anno e mezzo ad aiutarti mentre papà stava male, quello non conta?”
“Andrea, non cominciare.”
“No, mamma, lo faccio. Dov’era Matteo quando papà stava morendo? Quando ti è venuto il malore e hai chiamato l’ambulanza?”
“Lui lavorava tanto…”
“Anch’io lavoro! Ma trovavo il tempo!”
Simona posò una mano sulla spalla del marito.
“Andrea, calmati. Lidia, se hai deciso così, è un tuo diritto.”
“Certo, il suo diritto,” disse Andrea amaro. “Scegliere chi ha più soldi.”
“Non essere ingiusto,” si offese Lidia. “Non è per i soldi…”
“Per cosa allora? Per l’affetto?”
Andrea si alzò, prese Annina in braccio.
“Andiamo, Annina. Prendi le tue cose.”
“Non beviamo il tè con la nonna?” si rattristò la bambina. “Aveva promesso di finirmi la storia della principessa!”
“Un’altra volta,” rispose il padre freddamente.
Dopo che se ne furono andati, Lidia scoppiò in lacrime. Ma non cambiò idea. IlIntanto nel cortile, Annina si voltò un’ultima volta verso la finestra dove la nonna non c’era più, e nella sua innocenza capì che i veri tesori non sono nelle case grandi ma nelle mani che si stringono ogni giorno.