La vena blu

La Vena Blu

Quanto l’amava, Niccolò. Ne era pazzo, passava le sere sotto le sue finestre, felice se riusciva a intravvedere la sua silhouette. Lei gli sembrava irraggiungibile, distante. Lo inteneriva la sua fragilità, quella pelle pallida e sottile attraverso cui si intravedevano le venature azzurrine. E lui si sentiva soffocare dalla tenerezza e dall’amore.

Alla festa di Capodanno della scuola, Niccolò la invitò a ballare. Cristina era più bassa di lui, non era comodo. Tremava tutto, la fronte gli si imperlò di sudore, i palmi umidi sulla sua vita bruciavano come fuoco. Non riusciva a controllare l’emozione e arrossiva dalla vergogna, sapendo che lei se ne accorgeva. Quando la musica finì, Niccolò si allontanò da Cristina e finalmente respirò.

Gli stupiva che gli altri ragazzi non fossero innamorati di lei.

A Sandro, per esempio, piaceva la robusta Stella, con le sue gambe lunghe e forti. Quando correva nello stadio durante l’educazione fisica, svettando sulle altre ragazze, la sua coda di cavallo oscillava come un pendolo.

Per Niccolò, invece, l’ideale di bellezza era la delicata Cristina. Era il suo sogno ossessivo, una fissazione, una malattia. Sua madre non condivideva la passione del figlio per quella ragazza. “Carina, ma troppo fragile,” disse al padre, preoccupata.

“Bisogna fare qualcosa. Devi distrarlo da quella mingherlina. Non è la ragazza per lui. Chissà cosa ha in testa. È così eterea, troppo delicata. Che moglie e padrona di casa sarebbe? E poi, quel nome non è dei nostri, suona strano. Convincilo a studiare in un’altra città, a Milano, per esempio. Basta che sia lontano da lei.”

Il padre approvò e parlò al figlio da uomo a uomo. Gli disse che a Milano avrebbe avuto più opportunità, che dopo un’università prestigiosa lo aspettava un futuro luminoso. E che erano disposti a pagargli gli studi se non fosse entrato al pubblico. Niccolò accettò.

Nella sua stanza in affitto, appese sopra il letto una foto di Cristina, ingrandita da quella di classe. Ma Cristina era rimasta a casa, e Niccolò era giovane. Accumulò esperienze, uscì con altre ragazze, mentre il ricordo di quella compagna fragile rimase nei suoi sogni.

Poi incontrò Marina. Con lei non tremava, la mente restava lucida. Si capivano al volo. Era facile e sicuro stare con lei. E il fantasma di Cristina svanì sullo sfondo.

Dopo la laurea, Niccolò sposò Marina e restò a Milano. La madre era felice della scelta del figlio. “Meglio così, piuttosto che quella strana Cristina.”

Un anno dopo, nacque la loro bambina, Sofia. Niccolò era pazzo d’amore per lei. Al minimo starnuto, sarebbe corso a chiamare i migliori dottori di Milano. E Cristina diventò solo un ricordo lontano della sua adolescenza.

Un giorno, la madre chiamò: “Tuo padre è in ospedale. Devono operarlo. Non si sa mai, vieni.”

Sofia aveva il raffreddore, così Marina e la piccola restarono a casa. Niccolò prese un permesso e partì da solo.

Milano lo salutò con una pioggia gelida, mentre la sua città natale lo accolse con un sole tiepido e una pioggia dorata di foglie. Il padre faceva il forte, non voleva preoccuparli.

L’operazione andò bene. La madre stava giorno e notte in ospedale, e Niccolò rimase solo. Ormai il pericolo era passato, poteva tornare dalle sue ragazze, come chiamava moglie e figlia.

Mentre tornava a piedi dall’ospedale, senza fretta, il cuore più leggero, vide una giovane donna fermarsi davanti a una carrozzina. Il cuore gli fece un balzo, la riconobbe prima ancora della mente.

“Ciao,” disse avvicinandosi.

Cristina si raddrizzò, lo riconobbe e sorrise. Niccolò osservò quel viso stretto e familiare, la pelle trasparente solcata da venature azzurre, lo stesso sguardo malinconico e distante.

“Ciao. Sei venuto a trovare i tuoi? In vacanza?”

“Mio padre è in ospedale, hanno operato.”

“È grave?” Nei suoi occhi passò un’ombra di preoccupazione.

“No, tutto bene. E tu? È tuo?” Fece un cenno alla carrozzina.

“Mia.” Dal modo in cui rispose, capì che non era sposata.

Gli venne una tale tenerezza che avrebbe voluto prenderle il viso tra le mani e baciarla lì, per strada. L’accompagnò a casa, le chiese dei compagni di scuola. Le parlò di sé senza aspettare le domande. L’aiutò a portare su la carrozzina. Cristina viveva ancora lì. I genitori le avevano lasciato l’appartamento e si erano trasferiti in campagna.

“Passa a trovarmi, un giorno,” disse prima di salutarlo.

Niccolò pensò che avrebbe potuto salire subito con lei, ma tacque. Come allora, lei gli sembrava irraggiungibile. Non poteva semplicemente bussare alla sua porta per un caffè.

Il mattino dopo, tornò in ospedale con la madre. Il padre stava meglio, scherzava persino. La madre restò con lui, e Niccolò comprò un mazzo di rose e andò da Cristina. Lei non sembrò sorpresa, solo lo pregò di fare silenzio: la bambina dormiva.

“Vuoi qualcosa da mangiare? O un caffè?” propose in cucina, mettendo i fiori in un vaso.

“No, grazie. Mia madre mi riempie di cibo.”

Essere così vicino a Cristina, in quella piccola cucina, lo turbava. Niccolò sentiva di nuovo quel fremito, quella tenerezza. Cristina posò il vaso sul tavolo. Il suo viso era a un palmo dal suo. Vide pulsare una vena azzurra sulla sua tempia.

Non resistette, si chinò e la baciò. Cristina restò immobile un attimo, poi gli si avvinghiò al collo con le sue braccia sottili, appoggiandosi a lui come un giunco a un tronco robusto. La sollevò e la mise sul bordo del tavolo…

Dalla stanza arrivò il pianto della bambina. Cristina lo respinse, scese dal tavolo e corse dalla figlia. Niccolò scosse la testa, cercando di scacciare l’incantesimo. Respirò profondamente e uscì dalla cucina. Cristina era in piedi in salotto con la piccola in braccio, gli occhi ancora lucidi di lacrime.

“Devo andare,” disse Niccolò, la voce roca.

Cristina annuì e lo accompagnò all’ingresso con la bambina. Stava per aprire la porta quando sentì una voce sussurrargli dietro:

“Si addormenta presto e dorme tranquilla. Vieni dopo le dieci.”

Niccolò si voltò di scatto, incredulo. Cristina lo guardava con disperazione e speranza.

Camminando per strada, cercò di capire i suoi sentimenti. Se l’avesse sentito anni prima, sarebbe saltato di gioia. Ma ora capiva che la sua vita non sarebbe più stata la stessa se fosse tornato da lei. E perché farlo? Si rimproverava per quell’impeto. Se non ci fosse stata la bambina, lei gli si sarebbe concessa lì, in cucina. Una volta gli sembrava irraggiungibile. O lo era stata solo per lui? Pensò a Marina. Con lei tutto era chiaro, semplice.

A casa, Niccolò si fece una doccia e bevve un caffè. La mente si schiarì, l’ossessione svanì. Decise che non sarebbe tornato da Cristina, e cosa avrebbe detto a suaE quando, anni dopo, incontrò di nuovo Cristina per caso in una giornata di sole, sorrise dolcemente al ricordo di quella vena blu, ormai solo un’eco lontana di un amore che non sarebbe mai stato.

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