Nutrire, Accogliere, Tradire

La pioggia tamburellava sul tetto della casetta in campagna quando la signora Elisabetta Rossi sentì un timido bussare alla porta. Mise da parte il suo lavoro a maglia e tese l’orecchio. Il rumore si ripeté, incerto, quasi imbarazzato.

“Chi è?” gridò avvicinandosi.

“Per favore, mi apre?” rispose una voce femminile flebile. “Mi sono persa…”

Elisabetta aprì la catenella. Sulla soglia c’era una ragazza sui venticinque anni, inzuppata dalla pioggia. I capelli scuri le si erano appiccicati al viso e il giacchetto leggero era fradicio. Stringeva una piccola borsa tra le mani.

“Mio Dio, sei tutta bagnata!” esclamò Elisabetta, togliendo la catena. “Vieni dentro prima che ti prenda un malanno!”

“Grazie mille,” sussurrò la ragazza, lasciando impronte bagnate sul pavimento. “Mi chiamo Sofia. Stavo seguendo un sentiero e mi sono persa nel bosco. Il telefono è morto e non so più dove sono…”

“Dài, spogliati subito!” si affrettò Elisabetta, aiutandola a togliersi il giacchetto grondante. “Sei tutta una pozzanghera! E come mai ti trovi da sola in giro con questo tempo?”

Sofia abbassò lo sguardo, imbarazzata.

“Ho litigato col mio ragazzo. Mi ha buttato fuori dall’auto dicendo che potevo camminare. Non pensavo fosse così lontano dal paese…”

“Mascalzone!” sbottò Elisabetta indignata. “Lasciare una ragazza sola nel bosco! Vieni in cucina, ti faccio un tè. Tremi tutta.”

Sofia entrò nella piccola ma accogliente cucina. Elisabetta accese il bollitore e prese un accappatoio di spugna dall’armadio.

“Ecco, mettiti questo intanto. Lascia i vestiti sui termosifoni, asciugheranno per domani. Di dove sei?”

“Dalla provincia,” rispose evasivamente Sofia, avvolgendosi nell’accappatoio. “Lavoro in città, in un ufficio.”

“Eh, questa gioventù!” scosse la testa Elisabetta. “Ai miei tempi gli uomini avevano un minimo di decenza, non trattavano così le donne. Ora invece… Siediti, ti preparo qualcosa da mangiare.”

Si mise al lavoro con le uova e il burro, preparando in fretta una frittata. Affettò il pane e tirò fuori le conserve fatte in casa.

“Mangia, non fare complimenti,” disse porgendole il piatto. “Si vede che sei affamata. Quand’è che hai mangiato l’ultima volta?”

“Stamattina, poco,” ammise Sofia, divorando il cibo. “Abbiamo passato la giornata a litigare in macchina…”

“E perché questa lite, se posso chiedere?”

Sofia esitò, masticando il pane imburrato.

“Lui voleva che… vivessimo insieme. Ma io ho il mio lavoro, i miei progetti. Non sono pronta. Lui si è arrabbiato, mi ha detto di tutto…”

“Fai bene a non precipitarti,” annuì Elisabetta. “Io alla tua età ho fatto di fretta con il primo venuto. Pensavo che l’amore sopportasse tutto. Non ha sopportato un bel niente. Mi ha lasciata con un figlio piccolo ed è scappato con un’altra.”

“Ha un figlio?” chiese Sofia, incuriosita.

“Avevo,” si rabbuiò Elisabetta. “Ormai è grande, ha la sua famiglia. Ma noi… non andiamo molto d’accordo. Ci vediamo raramente.”

Si versò il tè, mescolando lo zucchero pensierosa.

“E lei vive qui da sola?” chiese Sofia con delicatezza.

“Da sola. Questa casa l’ha costruita il mio secondo marito, un brav’uomo. Peccato che sia morto troppo presto. Ora vengo qui solo d’estate, e nemmeno ogni anno. In città ho un appartamento per l’inverno.”

Sofia annuì, finendo la frittata. Fuori la pioggia si era calmata, ma ormai era quasi sera.

“Senti, tesoro,” disse Elisabetta, “resta qui per stanotte. Domani mattina ti accompagno alla fermata dell’autobus. Adesso con questo buio e con il tempo così non vai da nessuna parte.”

“È sicura? Non voglio disturbare…”

“Ma figurati! Sono felice della compagnia. Il divano in salotto è comodo, c’è biancheria pulita. Fai come se fossi a casa tua.”

Passarono la serata a chiacchierare. Sofia raccontò del suo lavoro in un’azienda commerciale, delle difficoltà a trovare affitti in città. Elisabetta parlava dei tempi andati e si lamentava della solitudine.

“Le amiche sono tutte sparse, chi è morta, chi è andata dai figli,” sospirò. “Anche i vicini qui sono anziani e malaticci. Che noia stare sola…”

“Perché non si sente con suo figlio?” osò chiedere Sofia.

Elisabetta si oscurò in volto.

“Suo moglie non mi sopporta. Dice che mi immischio nei loro affari. E io non posso neanche chiedere come stanno i miei nipoti? Ora non mi invitano neanche per le feste…”

Il mattino seguente il tempo si era rasserenato. Elisabetta preparò a Sofia una colazione da viaggio e l’accompagnò alla fermata.

“Grazie infinite,” disse commossa la ragazza. “Mi ha salvata!”

“Ma che dici! Torna quando vuoi. Prendi l’indirizzo.”

Sofia lo annotò sul telefono e salutò dal finestrino dell’autobus.

Passarono settimane. Elisabetta aveva quasi dimenticato la sua ospite occasionale quando sentì di nuovo quel bussare familiare.

“Sofia!” sorrise aprendo. “Come stai, tesoro? Entra!”

“Posso fermarmi un giorno o due?” chiese timidamente. “In città stanno facendo lavori, non posso stare in casa. La padrona mi ha detto di arrangiarmi, ma non ho parenti…”

“Certo che puoi! Resta quanto ti serve. A me fa solo piacere.”

Sofia si sistemò in una stanzetta al piano di sopra. Aiutava in casa, cucinava, puliva. Elisabetta era al settimo cielo per l’aiutante perfetta.

“Meglio di una figlia,” disse alla vicina zia Pina. “Cucina benissimo e sa anche lavorare a maglia. Se solo avessi una nuora così…”

I giorni scorrevano tranquilli. Sofia partiva ogni mattina per il lavoro e tornava la sera. Cenavano insieme, guardavano la TV, commentavano le notizie.

“Sai, Sofia,” disse un giorno Elisabetta, “voglio fare testamento. L’appartamento lo lascio a mio figlio, ma questa casa… e se la lasciassi a te? Tanto a lui non interessa, mentre qui sei stata felice.”

Sofia si turbò.

“Ma no, signora Rossi! È troppo presto per queste cose. E poi non è giusto. Lei ha un figlio, dei nipoti…”

“Il figlio c’è, ma ormai è come un estraneo. Tu invece sei come una figlia.”

Il tempo passò. Sofia si era ambientata come se ci fosse sempre vissuta. Elisabetta rifioriva per le cure e l’affetto. Non si sentiva più sola.

Ma tutto cambiò in un giorno.

Elisabetta finì in ospedale dopo un infarto. Sofia andava a trovarla ogni giorno, portandole ciò che le serviva e leggendole libri.

“Il dottore dice che la dimetteranno presto,” le annunciò un pomeriggio. “Si riprenderà a casa.”

“Sofia,” mormorò Elisabetta debolmente, “voglio dirti una cosa. Nel cassetto più nascosto del comodino c’è una busta con dei documenti importanti. Se mi succede qualcosa…”

“Non dica così!” l’interruSofia aprì il cassetto come le aveva detto Elisabetta, trovò il testamento con la casa lasciata a lei, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, irruppe in camera il figlio con la moglie gridando “Ah, ecco la ladra!” e tutto ciò che rimase a Sofia fu un ultimo sguardo al letto, mentre veniva trascinata via, senza nemmeno il tempo di spiegare che l’unica cosa che voleva era l’affetto di quella donna che le aveva aperto la porta in una notte di pioggia.

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