29 ottobre, 2023
Oggi mi torna in mente una storia che mi fa riflettere. Era una tipica serata autunnale a Milano quando ho incontrato Marta su una panchina del parco Sempione. Aveva gli occhi gonfi di pianto, e quel cane birichino di Leo, il mio meticcio, le aveva quasi saltato addosso con la sua solita esuberanza.
“Scusi, signora, Leo è troppo vivace a volte…” dissi cercando di calmare il cane.
Lei si asciugò le lacrime con un sorriso stanco. “No, no, è colpa mia… ero persa nei miei pensieri.”
Così iniziammo a parlare. Marta, una donna elegante nonostante la tristezza, mi raccontò della sua vita. Era nata in una famiglia perbene di Firenze, laureata in Lettere all’Università di Bologna. Ma la vita, si sa, a volte gioca brutti scherzi.
A vent’anni conobbe Luca a una festa universitaria. Lui, un operaio della Fabbrica Pirelli, l’affascinò con quel suo sorriso spensierato. Si sposarono presto, ma dopo la nascita di Matteo, il loro figlio, tutto cambiò. Luca beveva, sprecava lo stipendio in osteria, e lei si ritrovò sola a crescere quel ragazzo che, anno dopo anno, diventava sempre più simile al padre.
“Santo cielo, professoressa, Matteo ha preso di nuovo quattro in matematica e non studia!” Le lamentele dei professori erano continue. E ogni volta Marta si sentiva morire dentro. Aveva provato di tutto: suppliche, minacce, promesse. Niente. Matteo a quindici anni era già svogliato, arrogante, con la stessa passione del padre per il vino e la movida.
“Ma perché non mi ascolti? Vuoi finire come tuo padre?” gli urlava una sera, mentre Luca russava ubriaco sul divano.
“E che c’è di male? Papà campa bene!” rispondeva il ragazzo, scrollando le spalle.
La svolta arrivò quando, tornando dal lavoro all’azienda di moda dove faceva la contabile, trovò Matteo steso nell’ingresso, ubriaco marcio, proprio come Luca vent’anni prima. In quel momento, capì che non poteva più salvarlo.
Fu allora che ci conoscemmo, io e lei. Un caffè al bar vicino, due chiacchiere, e pian piano Marta si aprì. Io, architetto con un passato diverso dal suo, le offrii una via d’uscita. Quando propose di trasferirsi insieme a Roma, accettò senza esitare.
“Guardate ‘sta santarellina! Ha trovato il riccone, eh?” urlò Luca il giorno che Marta se ne andò, mentre Matteo, già mezzo brillo, annuiva ridacchiando.
Ora siamo qui, su questo aereo. Lei fissa il finestrino, pensierosa.
“Ti penti?” le chiedo.
Marta scuote la testa. “No. Mai.”
E io le stringo la mano, sapendo che a volte, per salvare se stessi, bisogna avere il coraggio di voltare pagina.
La lezione? I figli assorbono ciò che vedono, non ciò che gli si dice. E purtroppo, non tutti possono essere salvati.