**Appuntamento Per Sbaglio**
Lucia uscì dall’ufficio e respirò a pieni polmoni l’aria fresca, impregnata di quel profumo autunnale di foglie cadute e aria pungente. Il sole splendeva alto nel cielo, regalando una di quelle giornate tiepide che ti fanno credere all’estate di San Martino. Di notte ormai faceva freddo, ma di giorno si poteva ancora indossare un vestitino leggero e una giacca sottile.
Mentre camminava, si chiese cosa fare per prima cosa: andare a prendere Matteo all’asilo e poi fare la spesa insieme, o viceversa? Al supermercato c’erano sempre quelle piccole cianfrusaglie che attiravano l’attenzione di suo figlio, e lui avrebbe sicuramente iniziato a supplicare per un giocattolo inutile. E con lo stipendio ancora lontano, i soldi scarseggiavano—per non parlare del fatto che quei giochi lo interessavano per sì e no cinque minuti.
Lucia controllò l’orologio. Se si fosse sbrigata, avrebbe avuto il tempo di fare la spesa, portare le buste a casa e poi correre all’asilo. Così affrettò il passo, concentrata sulla lista mentale del da farsi. *Sale, non dimenticare il sale!* Non si capiva mai come finisse sempre all’improvviso. Giusto due giorni prima era uscita proprio per comprarlo, aveva preso di tutto… tranne il sale. Continuava a ripeterselo come un mantra. *Carote, latte, burro…* Camminava immersa nei suoi pensieri, senza accorgersi di nulla.
«Lucia! Lucia Ferraro!» una voce la chiamò.
Per inerzia, fece ancora qualche passo prima di fermarsi e voltarsi. Davanti a lei c’era una donna sorridente.
«Non mi riconosci? Eppure avevamo giurato di essere amiche per sempre!»
La frase sul giuramento la illuminò, e finalmente riconobbe la sua vecchia compagna di scuola, Francesca Moretti. Non più la ragazzina mingherlina con i capelli corvini, ma una donna elegante e curata, con un’aria decisamente alla moda.
Francesca si era trasferita nella loro scuola in seconda elementare, e da quel momento non si erano più separate fino alla maturità. In terza media si erano persino scambiate un solenne giuramento di eterna amicizia. Poi la vita le aveva portate su strade diverse. A quanto pare, nulla è eterno su questa terra—nemmeno l’amicizia, figurarsi l’amore.
«Hai la faccia di chi ha sette bocche da sfamare,» osservò Francesca, scrutandola con uno sguardo che non sfuggiva al suo look stanco e trasandato. Lucia sentiva su di sé quel giudizio silenzioso.
«Be’, a te invece sembra vada tutto alla grande,» replicò, cercando di deviare il discorso.
«Non mi lamento. Sono al secondo matrimonio. Bambini, per ora, zero. E tu?»
Nella voce dell’amica c’era una nota malinconica, e Lucia preferì non insistere.
«Non sono sposata, ma non sono sola. Ho un figlio,» disse con un velo di orgoglio.
«Di sicuro sta per finire il liceo, no? O è all’università?»
«Macché, va ancora all’asilo,» rispose Lucia con un sorriso.
«Ma dai! Eri così carina, pensavo saresti stata la prima a sposarti. Tutti ormai hanno figli grandi, alcuni addirittura con la patente, e tu hai ancora un bambino all’asilo? Beh, eri sempre così concentrata sullo studio, la tipa perfetta, non badavi neanche ai ragazzi.»
Lucia si offese, e non lo nascose. Francesca capì di aver toccato un tasto delicato.
«Su, non fare così. Mi conosci, parlo prima di pensare.»
«Scusami, devo andare a prendere mio figlio.» Fece per allontanarsi.
«Aspetta!» Francesca estrasse il cellulare dalla borsetta. «Dammi il tuo numero, ci sentiamo, organizziamo qualcosa.»
Lucia dettò il numero in fretta, salutò e si allontanò verso l’asilo, sperando di essersene liberata.
Ma Francesca non era il tipo che rimandava le cose. Il giorno dopo la chiamò e propose un caffè per il sabato successivo.
«Va bene, ma devo vedere se mia madre può tenere Matteo. Ti richiamo.»
*Ecco, adesso mi sono ficcata nei guai. Addio weekend di relax.* Non le andava di rivederla, ma ormai non poteva tirarsi indietro. *Che abbiamo mai in comune ora? Non siamo più le stesse.*
Sabato si ritrovarono in un bar alla moda. Lucia non c’era mai stata—anzi, non metteva piede in un locale da quando era nato Matteo. Si sentiva fuori posto, e Francesca lo notò. Per sciogliere il ghiaccio, ordinò del vino. Era buono, e tra un sorso e l’altro iniziarono a ricordare i vecchi tempi, i compagni di classe, chi si era sposato, chi lavorava dove…
Lucia ascoltava e beveva. Quando i ricordi si esaurirono, Francesca cambiò argomento.
«Senti, una mia collega ha un figlio, più o meno della nostra età. Programmista, guadagna bene, niente vizi. Però passa le giornate davanti al pc e non incontra mai nessuna. La madre è disperata, sogna i nipoti… Ti ci vedo bene con lui.»
«No, grazie. Non sono interessata,» ribatté Lucia, posando il bicchiere con un colpo secco.
«Dai, almeno incontralo!»
«Se è così perfetto, perché è ancora single? A meno che non ci sia qualcosa che non va.»
«Ha avuto una storia finita male. Sai com’è, ha paura di sbagliare di nuovo. Proprio come te,» osservò Francesca con tono perspicace.
«Be’, sono affari suoi. Io ci tengo che certe cose nascano naturalmente, non per combinazione.»
«Pensaci. Matteo ha bisogno di un padre…»
«Esatto, ho già un figlio, non mi serve anche un altro bambino da accudire. Basta parlare di questo.»
Francesca alzò le mani. «Come vuoi. Volevo solo aiutare. Se cambi idea, fammelo sapere.»
Lucia annuì, ma dentro di sé ribolliva. *Che ardire organizzarmi la vita!*
Francesca però non mollò. «Ti guardi mai allo specchio? Sei stanca, preoccupata, sempre chiusa in te stessa. Un uomo potrebbe farti rifiorire. Prova almeno un appuntamento, che ti costa?»
E alla fine, Lucia cedette. *Perché no?*
La domenica successiva lasciò Matteo a sua madre, si pettinò con cura, si mise un filo di mascara e un abito semplice. Non voleva fare colpo a tutti i costi.
Stava per uscire quando realizzò di non sapere né il nome né le fattezze del tipo. Come avrebbe fatto a riconoscerlo? Chiamò Francesca.
«Oddio, non ricordo! Matteo? Marco? Era un nome biblico, mi pare.»
«Cosa?!» esclamò Lucia. «Non ci posso credere.»
«Ho una pessima memoria per i nomi. Li associo alle cose.»
«E se fosse Pietro o Paolo? Gesù aveva dodici apostoli!»
«Aspetta, chiamo la mia collega.»
«No, lascia perdere. Tanto sarà l’unico uomo solo al tavolo.»
Arrivata al bar, si fermò sulla soglia, incerta. Nel locale semivuoto vide solo due uomini soli, entrambi in jeans e giacca di pelle. Quello più vicino la guardò e sorrise. Lei ci andò.
Davanti a lui c’era un bicchiere di vino. Lucia sentì il bisogno di un sorso per darsi coraggio. Lui intuì, chiamò il cameriere e le fece servire un altro calice. Bevve avidamente. Il vinoAlla fine, quella che sembrava una svista si rivelò il destino che le aveva messo accanto l’uomo giusto, perché a volte l’amore arriva proprio quando meno te l’aspetti, e magari al tavolo sbagliato.