A 65 anni abbiamo capito che i nostri figli non hanno più bisogno di noi. Come accettarlo e cominciare a vivere per noi stessi?
Ho 65 anni, e per la prima volta nella mia vita mi trovo di fronte a una domanda amara: è possibile che i nostri figli, per i quali io e mio marito abbiamo sacrificato tutto, ci abbiano escluso dalla loro vita come vecchi oggetti inutili? I nostri tre figli, a cui abbiamo dedicato la nostra giovinezza, energie e gli ultimi centesimi, hanno ottenuto da noi tutto ciò che desideravano e se ne sono andati senza voltarsi indietro. Mio figlio non risponde al telefono quando chiamo, e mi chiedo: davvero nessuno di loro ci porgerà un bicchiere d’acqua, quando saremo molto anziani? Questo pensiero trafigge il cuore come un coltello e lascia solo desolazione.
Mi sono sposata a 25 anni, in un piccolo paese vicino a Torino. Mio marito, Marco, era mio compagno di scuola, un romantico testardo che per anni cercò di attirare la mia attenzione. Si iscrisse alla stessa università per starmi vicino. Un anno dopo il nostro modesto matrimonio, rimasi incinta. Nacque la nostra prima figlia. Marco lasciò gli studi per lavorare, mentre io presi un congedo accademico. Furono tempi difficili: lui lavorava nei cantieri dall’alba al tramonto, e io imparavo a essere madre, cercando comunque di non fallire gli esami. Due anni dopo, rimasi di nuovo incinta. Dovetti passare agli studi serali, mentre Marco faceva sempre più turni per mantenere la nostra famiglia.
Nonostante tutte le difficoltà, siamo riusciti a crescere i nostri due figli: la nostra primogenita Giulia e nostro figlio Luca. Quando Giulia iniziò la scuola, riuscii finalmente a trovare un lavoro nel mio campo. La vita cominciò a migliorare: Marco trovò un impiego stabile con un buon stipendio e riuscimmo a sistemare casa. Ma appena riuscimmo a riprendere fiato, scoprii di aspettare il terzo figlio. Fu un nuovo colpo. Marco lavorava ancora di più per sostenere la famiglia, e io restai a casa con la piccola Chiara. Come ci riuscimmo, ancora non lo capisco, ma passo dopo passo riuscimmo a ritrovare una certa stabilità. Quando Chiara iniziò la scuola, mi sentii sollevata, come se un peso enorme fosse stato rimosso.
Ma le prove non erano finite. Giulia, appena entrata all’università, ci comunicò che avrebbe sposato un suo compagno. Non la scoraggiammo — anche noi ci eravamo sposati giovani. Matrimonio, aiuto per una casa — tutto questo ci prosciugò i risparmi. Poi Luca chiese di avere una casa propria. Come dire di no a nostro figlio? Prendemmo un prestito e gli comprammo un appartamento. Fortunatamente, trovò presto lavoro in una grande azienda, e noi ci sentimmo più tranquilli. Ma Chiara, nell’ultimo anno di liceo, ci stupì con il desiderio di studiare all’estero. Un duro colpo per il nostro bilancio, ma ci impegnammo e, stringendo i denti, la mandammo oltreoceano. Lei partì e noi rimanemmo soli in una casa vuota.
Col tempo, i figli apparivano sempre meno alla porta di casa. Giulia, sebbene vivesse nella nostra città, ci faceva visita ogni sei mesi, declinando i nostri inviti. Luca vendette il suo appartamento, ne acquistò uno a Milano e veniva ancora più di rado — una volta all’anno, se eravamo fortunati. Chiara, finiti gli studi, rimase all’estero a costruire la sua vita. Abbiamo dato loro tutto — tempo, salute, sogni — e alla fine siamo diventati invisibili per loro. Non ci aspettiamo denaro o aiuto — Dio ci scampi. Vogliamo solo un po’ di calore: una telefonata, una visita, una parola gentile. Ma nulla di ciò accade. Il telefono tace, la porta non si apre, e nel petto cresce un freddo solitudine.
Ora sono qui, guardando la pioggia autunnale dalla finestra, e penso: è davvero tutto qui? Possibile che noi, che abbiamo dedicato ogni respiro ai nostri figli, siamo destinati all’oblio? Forse è ora di smettere di aspettare che si ricordino di noi e di iniziare a pensare a noi stessi? A 65 anni, io e Marco siamo a un bivio. Davanti a noi c’è l’incertezza, ma, da qualche parte, oltre l’orizzonte, brilla la speranza di una felicità — nostra, non di qualcun altro. Abbiamo sempre messo noi stessi all’ultimo posto, ma non meritiamo forse un po’ di gioia per noi? Voglio credere di sì. Voglio imparare a vivere di nuovo, per noi due, finché i nostri cuori batteranno. Come accettare questo vuoto e trovare in esso la luce? Cosa ne pensate?