**Diario Personale**
Mio marito scompare tra il lavoro e sua madre, mentre io affogo nella solitudine…
Anche se ufficialmente sono sposata, con un figlio e una casa, ormai da più di un anno mi sento come se vivessi da sola. Mio marito non è mai qui. È sempre in ufficio fino a tardi o si intrufola nell’appartamento di sua madre. E la cosa più frustrante? Lui non ci vede alcun problema. Niente empatia, nessun accenno di comprensione. Per lui va tutto bene: lavora, aiuta sua madre, e torna a casa solo per dormire.
Le amiche mi dicono: “Resisti, quando finirai il congedo di maternità, tutto si sistemerà.” Ma io so che il problema non è la maternità. È che finalmente ho aperto gli occhi. Prima lo giustificavo, trovavo scuse: “È stanco, ha un lavoro pesante.” Ora, però, vedo con chiarezza quanto lentamente, ma inesorabilmente, il mio matrimonio si stia sgretolando.
Viviamo a Firenze, in un modesto bilocale. Sono in congedo con il nostro piccolo, mentre mio marito, Matteo, lavora per una grande azienda di logistica e di recente ha avuto una promozione. Da allora, sembra essersi volatilizzato. Torna a mezzanotte, al mattino esce di corsa e sparisce. E quando non è al lavoro, la sua “seconda residenza” è l’appartamento di sua madre.
Maria, sua mamma, da quando è nato il bambino, lo trascina continuamente da lei con mille pretesti: una presa da sistemare, un tubo da cambiare, la porta che non chiude bene. Non sarebbe un problema se fosse una volta ogni tanto, ma è diventata un’abitudine. Poi, due mesi fa, ha deciso di fare ristrutturazioni. Proprio ora che Matteo è sommerso di lavoro. Indovina chi paga tutto? Lui. Noi? Ci arrangiamo con quel che resta dello stipendio. L’assegno per il bambino è una miseria, non basta neanche per metà dei pannolini.
Quando Matteo aveva le ferie, le propose di fare i lavori allora. Lei rispose: “Ma no, sta tutto benissimo, non serve.” Adesso, invece, è urgente: le piastelle si staccano, il soffitto è storto… E così, ogni weekend, mio marito è da lei. “Passo solo un’oretta,” dice. Poi rientra all’una di notte. A volte mi chiedo chi sia davvero la donna più importante nella sua vita: io o sua madre.
Maria non chiede mai di suo nipote direttamente a me. Mai un “Come sta?”, una proposta di aiuto, nemmeno per darmi una pausa. Eppure impartisce ordini: “Matteo, ricordati di passare, devi sistemarmi l’armadio e poi le piastrelle.”
Sono stanca. Stanca di sentirmi sola pur avendo un marito. Stanca di vedere mio figlio tendere le braccia verso suo padre, che, senza nemmeno togliersi le scarpe, va a farsi la doccia, cena in silenzio e dorme. Ho provato a parlargli, a spiegargli che ci serve una famiglia, non una ricerca ossessiva dell’approvazione di sua madre. Lui scrolla le spalle:
“Non vado in giro con altre, porto i soldi a casa, che altro vuoi? Che lasci il lavoro?”
Sì, porta i soldi. Ma quelli posso guadagnarli anch’io. Ciò che non posso dare a mio figlio è un padre, se lui è sempre “impegnato” con la nonna. Non ho bisogno di un bancomat. Ho bisogno di un marito. Un compagno. Un amico. Un padre per nostro figlio.
E intanto io sono qui, in questo appartamento, tra giochi, pannolini e una stanchezza infinita. Mi sento abbandonata. Dimenticata. Sola. Anche se al dito ho ancora la fede.