«Ha lasciato un bambino alla nostra porta… Ho subito capito che era destino»

«Ha lasciato un bambino davanti alla nostra porta… e ho capito subito—era destino.»

Ci sono momenti in cui il mondo sembra fermarsi. Un solo respiro, e tutto cambia per sempre. La mia storia è una di queste. Non potrò mai dimenticare quella mattina, quando sulla soglia di casa nostra a Napoli è cominciato un nuovo capitolo della mia vita. Un capitolo chiamato “mamma”.

Con mio marito siamo insieme da otto anni. In questo tempo abbiamo vissuto di tutto: speranze, delusioni, lacrime, tentativi… Sognavamo un figlio fin dal giorno del nostro matrimonio. Ma né una gravidanza naturale, né costosi trattamenti di fecondazione assistita hanno dato risultati. Volta dopo volta, ho affrontato il dolore, le iniezioni ormonali, i test negativi e una disperazione silenziosa. Il mio corpo rifiutava di accogliere una nuova vita, e l’anima rifiutava di accettarlo.

Dopo l’ennesimo fallimento, abbiamo deciso di adottare. Abbiamo raccolto tutti i documenti, superato le commissioni, ottenuto l’approvazione. Non restava che aspettare. Aspettare quella chiamata: «Venite, c’è un bambino per voi». Ma neanche questo è stato semplice. Desideravo un neonato. Non un bambino di tre anni o un ragazzino, ma proprio un piccolino—per poter vivere ogni passo, dal primo pianto ai primi passi. Ma per quelli come lui, la lista d’attesa è lunghissima. Ho usato tutte le mie conoscenze, ma niente. I giorni passavano, il telefono restava muto. E io tacevo. Ogni mattina mi svegliavo con la speranza che forse, quel giorno…

I nostri amici, i vicini, persino i colleghi sapevano che io e mio marito volevamo diventare genitori. Non nascondevamo i nostri tentativi né il nostro dolore. Tutti sapevano quanto lo desiderassimo.

Poi, quella mattina. Un bussare alla porta, prestissimo. Mi ero appena svegliata, mi sono infilata la vestaglia, pensando che fosse un vicino o un corriere. Apro… e resto senza fiato. Sul tappeto davanti alla porta, una grande borsa da palestra. Dentro, un minuscolo neonato, avvolto in una coperta vecchia. Era vivo, caldo, e sembrava già mio.

Con le mani che tremavano, l’ho portato dentro di corsa. Era una bambina. Piccolissima, con il cordone ombelicale ancora fresco. Era nata da pochissimo. Mio marito ha chiamato la polizia. Intanto, l’ho cambiata, l’ho riscaldata, l’ho stretta a me. Il mio cuore batteva di angoscia e felicità insieme.

Quando sono arrivati gli agenti, hanno compilato il verbale e, naturalmente, portato via la piccola. Io piangevo. Li supplicavo di lasciarcela. Dicevo che io e mio marito desideravamo un figlio da anni, che eravamo pronti a prenderci quella responsabilità subito. Ma la legge è la legge.

Il giorno dopo, ho presentato subito i documenti per l’adozione. Un agente mi ha detto:
«Aspetti un po’. Potrebbe riapparirsi la madre. Succede, a volte.»

E in quel “potrebbe”, ho aggrappato un pensiero. Chi poteva saperlo? Chi sapeva che aspettavamo un bambino? Chi avrebbe potuto fare una cosa del genere?

E poi ho ricordato… Nell’altro palazzo viveva una ragazza silenziosa, modesta, Valeria. Veniva da un paesino, studiava all’università. Da un po’ non la vedevo in giro. E all’improvviso, ho capito. Sono andata da lei. Quando ha aperto la porta e mi ha visto, è scoppiata in lacrime. Come se aspettasse quell’incontro.
«È mia figlia», ha detto, senza che io chiedessi. «Sapevo che volevate una bambina. Io non ce la faccio, non ho nessuno. Non potevo tornare a casa con questa vergogna. Ma con voi, sarà felice…»

Mi sono seduta accanto a lei, l’ho abbracciata. Le ho detto che nessuno l’avrebbe giudicata, che l’avrei aiutata. Che potevamo fare tutto legalmente. E che sua figlia sarebbe stata al sicuro. E amata. Tantissimo.

Adesso abbiamo Ginevra, la nostra piccola meraviglia. Una bambina con uno sguardo dolce, un caratterino, una risata fragorosa che riempie la casa. Valeria se n’è andata. Diceva che non poteva starle vicino—faceva troppo male. Ma so che sta bene, studia, lavora, e nel cuore… non è indifferente.

E io ogni giorno ringrazio il destino per quella mattina. Per quel bussare alla porta. Per Ginevra. Perché a volte, i miracoli non arrivano dagli uffici della burocrazia. A volte… si posano sulla soglia. E capisci: sei una mamma. E niente sarà più come prima. Ci sarà solo amore.

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