Perché ho rifiutato di ospitare mia cognata in casa mia

Oggi ho deciso di scrivere qui quello che è successo, perché ancora mi tremano le mani.

Stavo friggendo gli arancini in cucina quando qualcuno bussò alla porta. Sulla soglia c’era Rosa, mia suocera, con quel suo sguardo freddo e senza un sorriso.

«Non sono qui per un caffè», disse tagliante, entrando senza aspettare un invito. «Ho una questione importante.»

«Che cosa?» Asciugai le mani sullo strofinaccio e sorrisi a denti stretti.

«Giulia e Luca, dopo il matrimonio, stanno da me. L’appartamento è piccolo, siamo stretti. Tu hai quella casa vuota di tua nonna. Lascia che ci vadano loro.»

«No. Dopo tutto quello che è successo, assolutamente no», ribattei, incrociando le braccia.

«Ma che cosa avrei fatto di male?» fece lei, con una faccia così sincera che quasi le credevo.

Ricordo ancora come, un mese fa, mi preoccupavo per il matrimonio di mia cognata. Cercavo di capire cosa regalarle, visto che eravamo sempre state in buoni rapporti, quasi amiche. Ero sicura che io e mio marito saremmo stati tra i primi invitati. Soprattutto perché Giulia ci aveva chiesto in prestito cinquantamila euro per il banchetto.

«Chissà se ci inviteranno», mi disse sarcastico mio marito, Luigi.

«Ma che dici? Sei suo fratello, come potrebbero non farlo?» risposi io, ancora piena di speranza.

Tirai fuori dall’armadio il mio vestito più bello e le scarpe migliori. Aspettai. Sperai.

Ma il matrimonio si avvicinava, e nessun invito arrivò. Né da Giulia, né da Rosa. Tre giorni prima del ricevimento, realizzai con il cuore pesante che ci avevano semplicemente ignorati.

Le lacrime mi scendevano senza controllo mentre rimettevo il vestito nell’armadio. Luigi, come al solito, rimase impassibile. «Meglio dormire nel weekend», fu tutto quello che disse.

Due giorni dopo il matrimonio, Rosa mi chiamò. Voleva passare a trovarmi. Decisi di affrontarla direttamente:

«Perché non ci avete invitati?»

«Be’… abbiamo deciso di invitare solo i giovani. Voi avete superato i trenta», borbottò incerta.

Ci volli credere. Ma poi, incontrando sua sorella al supermercato, scoprii che al matrimonio c’erano anziani e parenti lontani. E nessuno aveva parlato di età.

«Ma come, voi non c’eravate?» chiese lei, sorpresa.

Mi vergognai. Per quelli che avrebbero dovuto essere i miei cari.

A casa raccontai tutto a Luigi, che propose di chiamare sua madre.

«Rosa, dimmi la verità: perché non ci avete invitati?» attaccai duramente. «Non mentire. Ho appena parlato con tua sorella, mi ha detto chi c’era.»

«Io e Giulia abbiamo deciso di invitare solo chi poteva essere utile», rispose tranquilla. «Persone che avrebbero potuto fare regali importanti o aiutarci in futuro.»

«E i cinquantamila euro che vi abbiamo prestato non contano?»

«Ma tanto li ridomanderete indietro. Se li aveste regalati, sarebbe stato diverso.»

Non la riconoscevo più. Davvero per loro noi non eravamo niente?

Passarono due settimane. Rosa si ripresentò. Senza avvisare. Senza scuse.

«La tua casa è vuota, e loro stanno stretti», iniziò, con una falsa premura.

«Non è vostra. Lasciala vuota. Non chiede niente», tagliai corto.

«Ma perché sei così cattiva? Siamo famiglia.»

«Famiglia? Vi siete ricordati di noi solo quando vi serviva qualcosa. Prima, per voi, non esistevamo», dissi con la voce che tremava di rabbia.

«Ma che vi abbiamo fatto?»

«Davvero non capite? Ci avete umiliato, ignorato, e ora volete le chiavi! E poi, sapete che Giulia non ci ha restituito i soldi?»

«Se non ci fai entrare, non li rivedrete mai», rispose con arroganza.

Non riuscii a trattenermi. Afferrai una tazza d’acqua e gliela rovesciai in faccia.

«Luigi, dì qualcosa!» gridò lei, asciugandosi con la manica.

«Chi avete invitato alla festa, adesso vi aiuti loro», rispose lui, calmo.

Rosa non aggiunse altro. Si girò e uscì, sbattendo la porta con forza.

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