“La mamma ha bisogno di riposare”: queste parole le ripeteva ogni giorno dopo la nascita di nostro figlio… e fino alla fine.
Ogni sera, tornando a casa dal lavoro, la prima cosa che faceva era lavarsi le mani e andare subito dal piccolo. Né il profumo della cena, né il suo giornale preferito potevano distrarlo. Si avvicinava alla culla, si chinava, prendeva in braccio il bambino — e in quel momento mi innamoravo di lui di nuovo. Dell’uomo che non aveva paura di essere padre. Del marito che si ricordava di me.
“La mamma ha bisogno di riposare”, diceva sorridendo, cullando dolcemente il piccolo Matteo addormentato e canticchiando una ninna nanna fino a quando non si addormentava.
“La mamma ha bisogno di riposare”, sussurrava di notte, alzandosi per primo a cambiare il pannolino, poi passandomi delicatamente nostro figlio, aspettando che lo allattassi, e infine riponendolo con cura nella culla.
“La mamma ha bisogno di riposare”, ripeteva ogni sera, indossando il grembiule e imboccando il nostro bambino capriccioso e testardo, trasformando ogni pappa in un’avventura.
“La mamma ha bisogno di riposare”, continuava a dire, preparando il piccolo Matteo di un anno per la passeggiata, così io potevo fare una doccia tranquilla e stare sola — anche solo per mezz’ora.
“La mamma ha bisogno di riposare”, affermava mentre lo teneva in braccio ormai cresciuto, raccontandogli storie magiche inventate al volo, pur di darmi un po’ di silenzio.
“La mamma ha bisogno di riposare”, pronunciò pazientemente mentre gli controllava i compiti, spiegandogli la matematica che proprio non gli entrava in testa.
“La mamma ha bisogno di riposare”, mormorò quella sera in cui Matteo, ormai grande, tornò tardi dalla festa di maturità e attraversò la cucina in silenzio.
Ogni volta che lo sentivo dire quelle parole, un’onda di tenerezza mi travolgeva. Il cuore si stringeva e gli occhi si riempivano di lacrime — non per dolore, no, ma per felicità. Avrei voluto fermare il tempo e restare per sempre in quell’amore.
Poi venne la terza fase dell’amore. Quando la parola “mamma” sulle sue labbra divenne “nonna”.
“La nonna ha bisogno di riposare!”, sorrideva al nostro nipotino quando, rimasto con noi per il weekend, cominciava a fare i capricci e a chiamare i genitori. E allora lui riprendeva a canticchiare la stessa ninna nanna — ma a un altro bambino.
“La nonna ha bisogno di riposare”, ammiccava, preparando l’attrezzatura da pesca e portando il nipote con nostro figlio al laghetto.
“La nonna ha bisogno di riposare”, diceva dolcemente, porgendogli le cuffie per abbassare il volume del tablet.
Non fece in tempo a conoscere la nipotina. Se n’è andato troppo presto, troppo in silenzio. I miei figli mi hanno accolto da loro — non volevano lasciarmi sola nella nostra casa vuota.
E quando, per la prima volta, ho preso in braccio la piccola Viola, non ho resistito — mi sono messa a piangere. Quasi sentivo la sua voce, come se fosse lì dietro di me e avesse sussurrato:
“La nonna ha bisogno di riposare…”
Mi sono voltata. Una speranza sciocca… e se fosse?
Più tardi, quando la sera era calata sulla casa e stavo quasi per addormentarmi, dalla sala arrivò un sussurro. La voce di mio figlio Matteo, ormai adulto:
“Dormi, tesoro, dormi. La mamma ha bisogno di riposare…”
Mi sono alzata, ho aperto la porta e l’ho visto cullare sua figlia, canticchiando quella stessa ninna nanna. Quella che una volta suo padre cantava a lui.
Lui non c’è più. Ma le parole “la mamma ha bisogno di riposare” vivono ancora. Sono in noi. In nostro figlio. Nei suoi bambini. E nella memoria che nemmeno il tempo potrà portare via.